La comunicazione del termine “biologico” e del segno correlato (“logo”) può essere effettuata solo se il prodotto ha rispettato le modalità di coltivazione, allevamento, trasformazione e commercializzazione, lungo tutto il processo produttivo fino al consumatore finale.
È una certificazione che riguarda l’intera filiera, con attenzione alla sostenibilità ambientale e con indicazione di origine delle materie prime. È infatti obbligo, per i prodotti biologici, di riportare l’indicazione dell’origine della materia prima impiegata, intesa come luogo di coltivazione: come si vedrà più avanti, nel precedente regime Reg. (CE) n. 834/07), tale informazione obbligatoria specifica era declinabile solo mediante la combinazione delle indicazioni UE/non UE o, nel caso di materie prime nazionali, solo a livello di singolo Stato.
Mancando il rispetto delle condizioni tecniche di processo, l’utilizzo del termine o del logo non è consentito, pena l’applicazione della sanzione amministrativa ai sensi del Decreto legislativo n. 20/2018 (articolo 10), salvo che il fatto costituisca reato, oltre ad altre conseguenze, qualora l’operatore sia iscritto al sistema di controllo e certificazione…
Donato Ferrucci (Torino 1964), Docente sistemi qualità e certificazione dei prodotti alimentari ITS Agroalimentare Roma/Viterbo. Agronomo, pubblicista, e Master in Diritto Alimentare. Responsabile Bioagricert srl per l’area Lazio/Abruzzo/Umbria/Marche. Per info: Google “Donato Ferrucci Agronomo”.
Daniele Pisanello è avvocato consulente in Diritto Alimentare, fondatore e managing Partner di Lex Alimentaria Studio Legale Associato (Pisa e Firenze); Regulatory Expert per primaria società di consulenza regolatoria statunitense.
Nel tempo, l’idea di “qualità alimentare” è stata sempre più definita attraverso assunti complementari come la comparabilità, la gradualità, la scalarità. Elementi che, invece di arricchire l’idea ed i suoi principi, si sono concentrati sugli strumenti di misurazione. Questa evoluzione verso la misurabilità ha distorto il significato di “qualità” che è divenuto una sorta di assunto matematico, ovvero, il possesso di un certo numero di caratteristiche, tali da rappresentare un gradino di una ipotetica scala graduata e consentire la definizione della classe qualitativa, la comparazione, e la progressiva ascesa verso la piramide dell’eccellenza. Questa definizione meccanicistica e riduzionista in cui, alla perfetta definizione dei criteri di analisi, corrisponde una prestazione, è realistica solo per i parametri misurabili, che però rappresentano solo una parte delle caratteristiche di un prodotto. Infatti, nella definizione della qualità alimentare, si è assistito alla comparsa progressiva di parametri non misurabili e ben più complessi, di natura spesso immateriale ed evocativa…
Nicolò Passeri, Dottore Agronomo, libero professionista. Dottore di ricerca in “Economia e Territorio” presso l’Università degli Studi della Tuscia. Consulente per la certificazione prodotti biologici e analisi tecnico economiche dei processi produttivi. Collabora con l’Università degli Studi della Tuscia a progetti di ricerca su studi relativi alla valutazione della sostenibilità ambientale dei processi produttivi agricoli.
Donato Ferrucci, Dottore agronomo libero professionista, riveste attualmente l’incarico di Responsabile di Bioagricert Lazio e di Cultore della materia presso la cattedra di Gestione e Comunicazione d’Impresa” – Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università degli Studi della Tuscia.
Un imballaggio (o imballo), è uno strumento utile alla conservazione di un bene per facilitarne la conservazione e facilitarne in tal modo il trasporto. Per riferirsi ad esso, è molto comune l’uso del termine inglese packaging: quest’ultimo, tuttavia, nel significato originale, assume un’accezione più ampia, ricomprendendo non solo la necessaria conservazione materiale del bene (scopo dell’imballaggio), ma andando a toccare anche gli aspetti immateriali del processo produttivo, industriale ed estetico. Al contrario, il termine italiano “imballaggio” assume un significato più ristretto, relativo all’involucro materiale, o all’operazione (o al complesso di operazioni) attraverso cui la merce viene racchiusa in un contenitore….
Mauro Bertuzzi, laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie presso la Facoltà di Agraria di Milano, è Presidente del Collegio dei revisori dei conti per l’Ordine interprovinciale di Milano e Lodi degli Agrotecnici e Agrotecnici Laureati.
La scienza sensoriale è un’area multidisciplinare finalizzata a: misurare, interpretare, comprendere le risposte umane alle proprietà dei prodotti così come vengono percepite dai sensi. In ogni momento della giornata ed in qualunque contesto, siamo sottoposti a stimoli sensoriali: suoni, colori, odori; quando poi ci avviciniamo e tocchiamo gli oggetti, sono le sensazioni tattili a colpirci, e, ancora, quando si tratta di cibi o bevande, sono il gusto e l’aroma a comunicarci le sensazioni più coinvolgenti e cariche di significati. Esempi che potrebbero continuare, infatti chiunque analizza e valuta gli ambienti, i materiali e i prodotti tramite sensi, per giungere a giudizi sintetici, positivi o negativi (bello-brutto, gradevole-sgradevole; buono-cattivo), che orientano scelte ed acquisti, alla ricerca del benessere.
– Claudio Cantini, Patrizia Salusti, Donato Ferrucci
– Claudio Cantini, primo tecnologo dell’Istituto per la BioEconomia (IBE CNR). Si occupa di progetti di ricerca e trasferimento indirizzati alla caratterizzazione ed utilizzazione della biodiversità agricola nelle filiere agroalimentari.
– Patrizia Salusti, Tecnologo Alimentare, libero professionista. Consulente per la Sicurezza e Qualità Alimentare nell’ambito delle certificazioni cogenti e volontarie. Collabora con l’Istituto per la BioEconomia (IBE CNR) a progetti sulla valorizzazione nutrizionale e sensoriale di prodotti agroalimentari.
– Donato Ferrucci, Dottore agronomo libero professionista, riveste attualmente l’incarico di Responsabile di Bioagricert Lazio e di Cultore della materia presso la cattedra di Gestione e Comunicazione d’Impresa” – Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università degli Studi della Tuscia.
Il latte, prima di essere messo in commercio, viene sottoposto generalmente a trattamento termico per abbassare o eliminare la carica microbica. Se invece viene posto in commercio senza subire alcun procedimento termico, a parte la filtrazione e la refrigerazione a temperatura inferiore a 6°C, e commercializzato sfuso e appena munto, viene definito “latte crudo”. Nel 2008, in seguito ad alcuni casi di intossicazione da Escherichia coli – ceppo O157, il governo italiano ha imposto, precauzionalmente, di riportare in modo visibile, sia sulla confezione del latte che sul distributore automatico, la dicitura: “prodotto da consumarsi previa bollitura”. Per la conservazione e l’eliminazione di patogeni del latte vengono utilizzati due trattamenti, la pastorizzazione e la sterilizzazione. La pastorizzazione è quel trattamento termico che consente la necessaria distruzione della quasi totalità dei microrganismi patogeni (presenti all’atto della mungitura) con il minimo impatto sulle caratteristiche nutrizionali ed organolettiche.
Marco Salvaterra, laureato in Scienze agrarie presso la Facoltà di Agraria di Bologna, già docente di Estimo ed Economia agraria all’Istituto Tecnico Agrario di Firenze.
Panforte, panpepato, cavallucci, ricciarelli e mostaccioli, continuando con panettone, pandoro, torrone, pandolce e struffoli: gustosi simboli legati in modo indissolubile al periodo natalizio. Sono solo alcuni dei molti dolci che rallegrano le nostre tavole, secondo una tradizione che si tramanda da secoli. La loro origine, passata ormai all’archivio della memoria, combina storia e leggenda e somma alla piacevolezza del gusto quella dell’ascolto di storie fantastiche che si perdono nel tempo.
In gran parte dolci del territorio, molti sono inseriti nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali e alcuni hanno ottenuto dall’Unione Europea il riconoscimento di Indicazione geografica. Caratteristiche importanti che li rendono unici. In questa occasione, tuttavia, ci concentreremo soprattutto sui miti che aleggiano intorno alla loro origine con narrazioni che spesso sconfinano nella leggenda. Iniziamo il racconto…
Maura Gori è docente di lettere presso l’Istituto Tecnico Agrario di Firenze.
Il termine, che deriva dal greco ἔντομοςéntomos, “insetti”, e φᾰγεῖνphagein, “mangiare”, indica un regime alimentare che vede gli insetti come alimento per il consumo umano o da parte di animali allevati. Dal punto di vista antropologico è una pratica diffusa presso molte popolazioni del pianeta, basata su particolari gusti o mode o sulla necessità di integrare il fabbisogno nutritivo di proteine. Dal punto di vista ecologico è un rapporto di predazione, cioè di interazione in cui un organismo usa come fonte di cibo un altro organismo di specie differente; è osservabile in un gran numero di gruppi animali come insetti, uccelli, rettili, anfibi, pesci e mammiferi e di microrganismi. Gli insetti sono stati una componente importante della dieta umana nel tempo in molte zone del Pianeta. Vincent M. Holt, autore di un manifesto del 1885, intitolato “Why Not Eat Insects?” dove espone gli argomenti a favore del consumo di insetti, menziona che casi ed esempi di consumo di insetti possono essere trovati da ogni parte del globo abitato dall’uomo attraverso le diverse epoche della civiltà umana…
Gennaro Pisciotta, laureato in Scienze e Tecnologie agrarie all’Università G. Marconi – Facoltà di Scienze e Tecnologie Applicate di Roma, è Agrotecnico e Maestro Assaggiatore ONAF (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggio). Ha insegnato presso l’ISIS “Falcone” di Pozzuoli (Napoli).
Il Latte Fieno è un prodotto molto antico anche se il riconoscimento comunitario di STG risale soltanto al 2016. E‘ infatti il Reg. 304/2016 che decreta l’iscrizione definitiva della denominazione «Heumilch»/«Haymilk»/«Latte fieno»/«Lait de Foin»/«Leche de heno» nel registro delle specialità tradizionali garantite, in seguito alla domanda di registrazione presentata dall’Austria. Il Latte Fieno è il prodotto della mungitura di animali allevati in aziende sostenibili e con metodi tradizionali che non prevedono la somministrazione di alimenti fermentati. Ed è inoltre vietato l’impiego di animali e di mangimi “geneticamente modificati”. L’alimentazione varia durante le stagioni: in estate gli animali mangiano principalmente il foraggio fresco (erba, leguminose, specie erbacee fresche e parte di fieno essiccato), mentre in inverno vengono nutriti con foraggi essiccati. I foraggi grossolani devono rappresentare almeno il 75% della razione annuale del mangime a secco. Tale latte si differenzia da quello convenzionale per le migliori caratteristiche organolettiche e nutrizionali. All’assaggio la differenza si sente subito: il latte fieno ha un gusto pieno e genuino, che riporta la mente ai pascoli di montagna e all’alimentazione a base di erba fresca e secca.
Marco Salvaterra, laureato in Scienze agrarie presso la Facoltà di Agraria di Bologna, già docente di Estimo ed Economia agraria all’Istituto Tecnico Agrario di Firenze.
Il sistema delle certificazioni comunitarie è stato introdotto nel 1992 dal Reg. CEE 2081/92 (insieme al Reg. CEE 2082/92 che riguardava le specialità tradizionali garantite), e comprendeva inizialmente soltanto i prodotti agroalimentari esclusi i vini. Con l’entrata in vigore del Reg. CE 479/2008, abrogato dal Reg. CE 491/2009, anche nel settore vini è stato introdotto il sistema di protezione DOP o IGP, creando così un quadro omogeneo per la protezione delle indicazioni geografiche sia vitivinicole che agroalimentari. Con il D.lgs. 8 aprile 2010, n. 61, si è stabilito che i vini DOCG e DOC dovevano confluire nella categoria dei vini DOP, e che i vini IGT venivano identificati attraverso l’acronimo già adoperato per i prodotti agroalimentari registrati (IGP). Veniva fatta salva la possibilità di continuare ad utilizzare, per i vini, le menzioni DOCG, DOC, IGT, in virtù della consuetudine più che decennale dell’impiego di tali acronimi, tuttora strettamente legati al mondo del vino, nel linguaggio comune…
Marco Salvaterra, laureato in Scienze agrarie presso la Facoltà di Agraria di Bologna, già docente di Estimo ed Economia agraria all’Istituto Tecnico Agrario di Firenze.
La farina di castagne è un prodotto tradizionale di molte zone pedemontane, soprattutto del centro Italia dove, in passato, ha rappresentato una fonte primaria di sostentamento. Gli aspetti qualitativi, per questo tipo di farina, originata da una pianta considerata forestale, non sono molto documentati. Pochi sono i lavori scientifici al riguardo, vista anche la minore diffusione rispetto a farine classiche. I prodotti agroalimentari rivestono fondamentale importanza per l’Italia ed il comparto produttivo è stato uno dei pochi a reggere l’impatto della perdurante crisi economica. Motivo del successo è in parte determinato dall’interesse dei consumatori verso l’alimentazione di qualità e valorizzazione dei prodotti locali. Quando si parla di qualità, molteplici sono gli aspetti che possono essere considerati, legati alla sicurezza, ai caratteri chimici e biochimici, alle sostanze nutraceutiche, per giungere ad uno dei più importati per il consumo. quello organolettico…
Claudio Cantini, primo tecnologo dell’Istituto per la BioEconomia (IBE CNR). Si occupa di progetti di ricerca e trasferimento indirizzati alla caratterizzazione ed utilizzazione della biodiversità agricola nelle filiere agroalimentari.
Patrizia Salusti, Tecnologo Alimentare, libero professionista. Consulente per la Sicurezza e Qualità Alimentare nell’ambito delle certificazioni cogenti e volontarie. Collabora con l’Istituto per la BioEconomia (IBE CNR) a progetti sulla valorizzazione nutrizionale e sensoriale di prodotti agroalimentari.
Letizia Poggioni, Dottoranda in Scienze della Vita presso l’Università degli Studi di Siena. Si occupa di caratterizzazione molecolare e chimica di prodotti alimentari da piante autoctone e di recente introduzione.
Marco Romi, Tecnico di Ricerca nel Team Folia – Food Laboratory for Innovation and Agrobiodiversity – presso il Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Siena.
Donato Ferrucci, Dottore agronomo libero professionista, riveste attualmente l’incarico di Responsabile di Bioagricert Lazio e di Cultore della materia presso la cattedra di Gestione e Comunicazione d’Impresa” – Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università degli Studi della Tuscia.
La presentazione di un testo, a diffusione gratuita, di approfondimento metodologico e riportante un esempio concreto di manuale redatto in conformità alla Norma UNI EN ISO ISO 22005:2008 sulla rintracciabilità dei prodotti agroalimentari…
Donato Ferrucci, Dottore agronomo libero professionista, riveste attualmente l’incarico di Responsabile di Bioagricert Lazio e di Cultore della materia presso la cattedra di Gestione e Comunicazione d’Impresa” – Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università degli Studi della Tuscia.