Dopo il caffè del mattino, dopo logoranti maratone di videocorrezioni, videolezioni, videochiamate etc., oggi avrei voluto staccare il pc e dedicarmi ad attività ricreative di vario genere e a vario titolo sciacqua-cervello, ma le notizie riguardanti il destino di questo anno scolastico mi impongono di riflettere e, per quanto possibile, di condividere le mie perplessità sull’ultimo decreto riguardante la scuola: ultimo non solo per cronologia ma come insanabile colpo inferto all’istruzione.
La decisione di ammettere tutti gli studenti all’anno successivo, di fatto, nullifica gli sforzi compiuti dall’intera comunità scolastica di adattarsi obtorto collo alla didattica a distanza, doverosa ma pericolosa risorsa, aperta al rischio di sopravvivenza ben oltre la provvisoria necessità. Ci sono conseguenze anche peggiori. Oltre che vanificare le fatiche delle ultime lunghissime settimane, il decreto sfregia orribilmente il volto serio della scuola, quello che i docenti avevano mostrato ridefinendo modalità di spiegazione, programmazione e valutazione e che ha permesso all’istituzione scolastica di conservare un ruolo di prestigio anche nel dramma della contingenza storica. Con scetticismo o appassionata adesione, i professionisti della formazione avevano raccolto la sfida della DaD ed erano riusciti a dare dignità al voto blu che non fa media ma che si consolida se non viene recuperato, a legittimare il ritardo nelle consegne se giustificato dall’intenzione dell’alunno di fare del proprio meglio.
Adesso una ‘nuova legge’ recide la fibra elastica ma robusta con cui, nelle vite destabilizzate di tutti, l’ancoraggio tra alunni e professori era stato compiuto: sull’abisso c’era un sentiero per mantenere alti i valori dell’istruzione e dell’insegnamento.
Oggi vediamo che le capriole da funamboli sull’asta della ‘flessibilità’ sono state, alla luce delle insensate novità, le ultime zampate di un leone morente. Precipitiamo.
I primi a smettere di credere nella funzione della scuola e dell’istruzione saranno i migliori studenti: saranno loro le vittime immediate dell’ingiustizia istituzionalizzata. Stavolta non crederanno ai risultati dell’esercizio di stoiche virtù e di ‘finalità superiori’ con cui i docenti condiranno le loro spiegazioni. Poi ci saranno le vittime dell’ignoranza istituzionalizzata; sono gli ignari che oggi brinderanno alla promozione con i loro genitori (tanti, ma non tutti) e che dalle loro famiglie verranno mantenuti fino a quando avranno i capelli bianchi, quando poi, sotto il peso di un lavoro straniante, un afflato di coscienza ronzerà nelle loro orecchie portando un’eco di scolastica reminiscenza: “devi farlo per te stesso”. Ma sarà tardi per rimescolare le carte.
La motivazione all’apprendimento, se l’impegno non è più necessario a conseguire un risultato positivo, si spegne, e non è detto che si riaccenda quando si proverà a ricrearla tra i banchi di scuola, quando vi si farà ritorno. Chi trarrà i frutti della dilagante inerzia intellettuale? Chi ne sarà responsabile? Non i docenti, che continueranno a garantire il diritto all’istruzione oltre ogni ragionevole sacrificio, come hanno fatto e continueranno a fare, ma di chi ha deliberato un ‘errore storico’ di spaventose proporzioni, e cioè di un governo che ha fatto tutto da solo, non ha tenuto conto né del parlamento, né di tanti autorevoli esperti del mondo della scuola che si erano espressi con avviso contrario. E’ saputo e risaputo: senza valutazione finale non c’è merito, non c’è giustizia né voglia di costruire per acchiappare un sogno.
Se doveva andare così, per dirla alla toscana, si sarebbe fatta “più bella figura” a non aprirli nemmeno i battenti virtuali.
Rosalba Currò
Docente di Lettere presso l’Istituto Agrario di Firenze
11/04/2020