Prezzi, direttive e piogge che non arrivano, il malessere dell’agricoltura padana entra in gioco
di Maurizio Scotti
Lo abbiamo scritto qualche mese fa, ora lo ribadiamo. E come al solito ci saranno i Cicerone che la racconteranno diversamente, forse per mietere ancora dove han sempre mietuto, ovvero nell’oblio del solito lasciar perdere (che in terra lombarda si dice lasa stà).
Eppure, stagione alla mano e piogge non permettendo, nelle cascine lombarde e piemontesi c’è ancora tanto da dire: il riso non decolla, le semine sono al palo, l’aridità del suolo sta superando il limite della progressività del non ritorno, l’acqua a scorrimento sta diventando un bene per pochi, quella estratta da falda un bene per ricchi: ormai si pesca in falde oltre i 50 metri, laghi e fiumi sono all’asciutta; il problema della salinità dei suoli diventa ogni giorno sempre più emblematico.
E si continua a sversare liquami e nitrati, derivati di depurazione, rogge e colature di raccolta: un casino continuo che inficia il rapporto dello strato fertile del terreno su cui poggiano semine e radici e l’humus identificativo. Il mais cresce da anni coadiuvato da compost nitrato derivato dal surplus degli impianti di biogas: andarne a leggere la storia crescitiva, dal seme alla pannocchia o al più rapido trinciato, farebbe impallidire ogni tipo di OGM. E il riso? Confinato in terre argillose sempre più acide, sbattuto dai rendimenti agricoli ossei, passato da alimento completo a contorno anche per chi lo produce (che a volte preferisce indirizzarsi all’impianto del pioppeto decennale piuttosto che alla coltivazione del Carnaroli annuale). E la soia, il sorgo, il mais da granella, il grano tenero da panificazione? Tutto un gran casino al di sopra del Po. Si salva -si fa per dire – l’orzo, sempre più richiesto dai birrifici, che fanno soldi all’impazzata aggiungendo acqua al malto e al luppolo, pagati meno di 100 euro a tonnellata, 10 centesimi al Kg, con la birra artigianale che viaggia attorno ai 2,5 euro ogni ¾ di litro.
Avanti di questo passo, con il meteo sfavorevole a tal punto da non rilasciare acqua celeste, l’agricoltura padana rischia il patatrac più completo, per silenzi protratti nel tempo, incuria, irragionevolezza conclamata della parte politica, assenza di contromisure idonee, scarso peso associativo, competitività estera assordante e poca lucidità intellettuale. E se crolla questa parte di agricoltura va a finire che crollerà anche il sistema nazionale di un primario che sembra il fiore all’occhiello di un Paese.
Aratura nei campi della Lomellina
Autore: Maurizio Scotti
30/03/2019