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Lombardia, Piemonte e Veneto, sarà meno riso almeno per un bel po’

di C.Maurizio Scotti

Credere che per coltivare servano solo trattori, braccia e cascine è idea da feudatari dei tempi moderni che non ha più luce nell’oggi del mondo agricolo, tanto più in quello legato alla coltivazione e produzione del riso. Solo il pensare che un’azienda (certo un’azienda, mica un contadino) abbia a guadagnare quando su una quantità ampia di terra pone sementi, le sotterra, le concima, ne impedisce le infestanti portandole a germoglio e quindi a pianta, ricominciando a concimarle e proteggerle dalle insidie fitotossiche per un tempo che varia dai sei mesi all’anno intero per i campi aperti ai limiti dei fiumi e delle rogge, fino a farle fiorire e produrre (questa è la sintesi ordinaria di un ciclo agricolo), è un’idiozia bella è buona. Chi volesse intraprendere la new agri trade, come si dice oggi, pensando e progettando di guadagnare almeno quanto un impiegato di banca (tolte le infinite spese, le tasse e le imposte) coltivando risone nella pianura padano-veneta, l’estensione più grande delle risicoltura europea, andrebbe a commettere un errore magistrale. E non ci vuol molto a capire: tolti i grandi marchi (che commerciano riso rumeno, kosovaro, indocinese e via dicendo), le riserie hanno difficoltà enormi a piazzare il prodotto finito (persino l’Arborio o il pregiato Carnaroli, in caduta libera), mentre i produttori mettono sovente le mani dietro la schiena quando si parla di prezzo. Ma così non va e così non può andare, specialmente quando ci si accorge del differenziale tra il fine filiera (consumatore) e l’origine (produttore), spesse volte pari a 4: dai 400-600 euro a tonnellata del risone superfino da pila, si arriva ai 1,6-2,5 euro a Kilo per il Carnaroli in confezione sottovuoto. Moltiplicazioni inaudite, che non hanno paragoni persino nella tanto bistrattata filiera del latte. Se si paragonano le produzioni di mais da pop corn e da granella, che si hanno nelle stesse aree di produzione padano-venete, i ricavi dei risicoltori sono ai limiti delle sofferenze. E c’è da credere che in Piemonte, Lombardia e Veneto (il Nord del Po) nei prossimi anni si smetta di mettere a livella intere campagne.

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04/11/2016