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L’Olio di Oliva Made in Italy buono e sostenibile ma in azienda la CSR fatica a decollare

Secondo un’indagine di ALTIS Università Cattolica, solo il 7% delle aziende del settore olivicolo-oleario considera la sostenibilità un asset strategico. Circa il 60% delle aziende, poi, non ha programmi e strategie strutturate di sostenibilità aziendale e solo il 37% comunica le proprie iniziative in modo adeguato

Raccolta 2020 olive
Raccolta 2020 olive

 

Milano, 7 luglio 2021 – Alimento cardine della dieta mediterranea e simbolo del made in Italy a livello mondiale, l’olio d’oliva è un prodotto che per sua natura è sostenibile, in quanto racchiude in sé l’amore per il territorio, la passione per l’artigianalità e l’attenzione alla qualità. Eppure, solo poche aziende del settore olivicolo-oleario italiano (7%) è pienamente consapevole di come la sostenibilità possa costituire un vantaggio competitivo e un asset strategico di crescita. Inoltre, il 60% delle aziende non ha programmi e strategie strutturate di sostenibilità aziendale e solo il 37% comunica le proprie iniziative in modo adeguato. È ciò che emerge dalla nuova indagine dell’Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica (ALTIS) e a cura di Stella Gubelli e Valentina Bramanti: condotta su un campione di 43 aziende ha analizzato lo stato dell’arte della sostenibilità nel settore dell’olio d’oliva italiano. Lo studio è stato presentato mercoledì 7 luglio nel corso del webinar dal titolo “Il paradosso dell’olio d’oliva: prodotto sostenibile, comunicazione acerba”, cui è intervenuto anche Ettore Capri, direttore Osservatorio europeo per l’agricoltura sostenibile (OPERA) – Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari per una Filiera Agro-Alimentare Sostenibile, Università Cattolica.

La sostenibilità c’è, ma non è valorizzata

A fronte di un prodotto già intrinsecamente sostenibile e di una filiera attenta, l’analisi indica come ben il 58% delle aziende sia ancora ai primissimi passi o non abbia ancora preso coscienza di come la sostenibilità possa portare valore aggiunto sia nei processi aziendali che nelle relazioni con gli stakeholder: queste imprese intendono la sostenibilità quasi esclusivamente in termini di compliance e sono dunque poco orientate all’implementazione di iniziative e alla comunicazione dei risultati. Al contrario, solo il 7% del campione è pienamente consapevole di come la sostenibilità possa costituire un vantaggio competitivo differenziante e sono impegnate nella realizzazione di report e/o piani strategici di sostenibilità. Il restante 35% si colloca invece al gradino intermedio, ha avviato i primi progetti per integrarla strategicamente all’interno delle proprie attività di business, dedicandole spazio all’interno delle attività di comunicazione con gli stakeholder, ottenendo certificazioni e impegnandosi in una prima razionalizzazione di iniziative a favore dell’ambiente e della comunità.

Le aziende comunicano poco

Coerentemente, anche le informazioni comunicate tramite i siti web aziendali sono generalmente poco esaustive, con la maggior parte delle aziende che non comunica alcuna informazione riguardante la sostenibilità (16%) o lo fa in maniera incompleta, poco approfondita e non strutturata (47%): solo il 37% del campione presenta una sezione dedicata alla sostenibilità che funge da raccoglitore di informazioni caratterizzate da un buon livello di completezza e approfondimento. Tra queste, esclusivamente il 14% presenta una sezione di sostenibilità che abbraccia diverse tematiche ed in modo approfondito, dimostrando una vera presa di coscienza rispetto al valore della sostenibilità nella comunicazione agli stakeholder.

La qualità dei prodotti è centrale

In merito ai temi di sostenibilità presidiati e comunicati dalle aziende del panel, dall’indagine emerge che il maggior impegno è concentrato su pratiche relative la qualità e la sicurezza dei prodotti (74,4%), la tracciabilità e trasparenza dei prodotti (41,9%), la salute e sicurezza dei lavoratori (41,9%), l’approvvigionamento responsabile (39,5%), la gestione energetica (39,5%) e l’attenzione ai temi del consumo consapevole e dell’educazione alimentare (37,2%).

Un settore frammentato, ma con un grande potenziale

Nel Belpaese, il settore dell’olio d’oliva è estremamente complesso e caratterizzato da poli differenti. Da un lato, i pochi grandi player industriali, attivi prevalentemente nella selezione delle colture, nell’imbottigliamento e nella distribuzione, che grazie al rapporto con la GDO, stanno lentamente iniziando a comprendere il ruolo della sostenibilità e a fare i primi passi per integrarla nella propria strategia e comunicazione. Dall’altro lato, una pletora di PMI, principali fornitori di olio che hanno relazioni dirette con gli olivicoltori: poco strutturate e non operanti nella Grande Distribuzione, si differenziano per una sostenibilità aziendale più genuina e intrinseca, non formalizzata e poco comunicata ma strettamente ancorata al territorio. Fare affidamento unicamente sulla naturale sostenibilità del prodotto rischia di non essere sufficiente a trasmettere ai consumatori e agli stakeholder tutto il valore racchiuso in una piccola goccia d’olio: se la sostenibilità è ciò che già muove inconsapevolmente gli ingranaggi delle aziende di questo settore, è necessario un cambio di passo, una presa di consapevolezza di concerto, che coinvolga e faccia convergere tutti gli attori del settore, grandi o piccoli, verso la valorizzazione sostenibile della filiera e dell’eccellenza di prodotti e processi.