Gianluca Bagnara, presidente AIFE/Filiera Italiana Foraggi: “La valorizzazione dell’erba medica italiana è un patto strategico tra agricoltura e zootecnia”
Lo ha dichiarato durante l’incontro svoltosi il 10 settembre scorso al SANA di Bologna, dove l’Associazione è stata protagonista di un evento voluto e ospitato dalla Regione Emilia Romagna nel corso del quale è stato presentato al pubblico il progetto Medi-C-A-Rbonio
Ravenna, 13 settembre 2021 – Riconnettere la zootecnia con l’agricoltura per garantire la sostenibilità. È su questo concetto che si è dipanato l’incontro, svoltosi venerdì 10 settembre al SANA di Bologna, promosso da AIFE/Filiera Italiana Foraggi. Incontro voluto dalla Regione Emilia Romagna, che lo ha ospitato all’interno del suo stand nel corso della 33ma edizione del Salone Internazionale del Biologico e del Naturale tenutosi in presenza nel rispetto delle norme antiCovid previste.
Qui il presidente di AIFE/Filiera Italiana Foraggi, Gianluca Bagnara, nel fare gli onori di casa ha illustrato il progetto Medi-C-A-Rbonio (acronimo di contabilizzazione delle emissioni e sequestri del carbonio nel processo produttivo del foraggio da prato di erba medica per valutarne il contributo alla mitigazione dei cambiamenti climatici) realizzato nell’àmbito del Programma di sviluppo rurale 2014-2020 della Regione Emilia Romagna che vede il coinvolgimento di 40 aziende produttrici di erba medica associate AIFE/Filiera Italiana Foraggi e del CRPA di Reggio Emilia (Centro Ricerche Produzioni Animali) nel ruolo di partner scientifico.
Giunto ormai alla metà del suo percorso biennale, “il progetto vuole evidenziare e documentare i plus di sostenibilità ambientale dei foraggi da prati di erba medica valutando il contributo che le foraggere poliennali possono fornire al sequestro di carbonio nel suolo – ha spiegato Bagnara -Questo avverrà raccogliendo gli elementi di sostenibilità che saranno poi documentati anche a supporto di una certificazione ecologica: il made green in Italy. Il nostro Paese importa circa il 90% di alimenti proteici destinati alla zootecnia. Si tratta di un dato che deve farci riflettere soprattutto oggi alla luce dei rincari che mais e soia, in gran parte di importazione, stanno registrando e che sono quantificabili in un +60%; questo significa che i costi della mangimistica superano il 50% del valore di produzione con una inevitabile ricaduta negativa su quelli delle aziende zootecniche che vedono annientare di fatto il loro margine di redditività. In questo quadro la produzione di erba medica, che in tema di emissioni produce un cinquantesimo di CO2 equivalente rispetto alla soia importata, si inserisce con un ruolo strategico in risposta alla sostenibilità, alla redditività e alla competitività. A maggior ragione se, come è nella finalità del progetto Medi-C-A-Rbonio, sarà possibile ottenere la certificazione ecologica di prodotto made green in Italy, rilasciata dal ministero della Transizione Ecologica al quale all’inizio dello scorso mese di agosto abbiamo presentato la relativa domanda favorendo l’avvio dell’iter di implementazione per definire il protocollo di utilizzo”.
E di scelta strategica ha parlato nel suo intervento anche Duccio Caccioni, direttore del Centro Agroalimentare di Bologna, secondo il quale “il tema della produzione di erba medica nel nostro Paese è di estremo interesse non solo per l’elevato livello di salubrità delle produzioni che si ottengono dalla trasformazione lattiero-casearia – ha affermato – ma anche in termini di sostenibilità ambientale ed economica. Gli effetti dei cambiamenti climatici stanno dettando un’agenda molto preoccupante, basti ricordare che negli ultimi sessant’anni si sono persi 12 milioni di ettari di superfici coltivabili, pari a Piemonte, Lombardia e Sicilia messe insieme. Un quadro in cui l’abbandono dei terreni collinari e montani assume purtroppo il ruolo di protagonista con le conseguenze ambientali cui ogni anno siamo costretti ad assistere. La montagna e la collina rappresentano invece un patrimonio da difendere e valorizzare – ha sottolineato Caccioni – dove la produzione di coltivazioni foraggere rappresenterebbe un grande plus in termini produttivi e paesaggistici. Quest’anno supereremo la quota di 50 miliardi di euro di export agroalimentare, una cifra che solo una ventina di anni fa non superava la metà e che, a mio avviso, ha tutti i connotati per raddoppiare nel giro di pochi anni. Ma l’interessante fenomeno a cui stiamo assistendo proprio in questi ultimi tempi riguarda la crescente richiesta di prodotto italiano anche da parte del mercato nazionale. L’esempio più eloquente arriva dai pastai che con sempre maggiore insistenza richiedono grano made in Italy. Anche per questo la produzione di colture foraggere, e di erba medica in particolare, va incentivata, per affermare un valore indiscutibile facendone una questione strategica e non di puro marketing”.
“Il made green in Italy è uno schema di valutazione e comunicazione ambientale promosso e gestito dal ministero della Transizione ecologica finalizzato alla valorizzazione delle qualità ambientali dei prodotti italiani – ha dichiarato Pier Luigi Porta, ricercatore ENEA – Il Regolamento su cui si basa è entrato in vigore nel 2018 e definisce le modalità di calcolo e comunicazione delle prestazioni ambientali legate ai prodotti che intendono ottenere il marchio. Con il Product environmental footprint (Pef), la Commissione ha voluto armonizzare il modo in cui vengono calcolate le prestazioni ambientali dei prodotti e dei servizi, stabilendo i criteri dell’analisi di impatto potenziale sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita del prodotto. Le Regole di categoria di prodotto attualmente in sviluppo riguardano anche i foraggi essiccati”.
Sono circa 30 gli impianti di trasformazione dove viene conferita l’erba medica prodotta su 90mila ettari di superficie distribuiti tra Emilia Romagna, Marche, Veneto, Lombardia, Lazio, Umbria, Toscana e Abruzzo. AIFE/Filiera Italiana Foraggi rappresenta il 90% della totalità dei foraggi essiccati e disidratati con una produzione che si aggira intorno a 800.000tonnellate/anno, pari al 10% del totale nazionale, seconda in Europa dopo la Spagna che tocca 1,3 milioni di tonnellate. Circa il 60% della produzione di AIFE/Filiera Italiana Foraggi è destinata all’estero e il trend è in costante crescita; il fatturato aggregato dell’Associazione si aggira intorno ai 250milioni di euro/annuo ma con il giro di affari dell’intera filiera e dell’indotto la cifra raggiunge i 450 milioni. Circa 13.500 sono le persone che vi lavorano: 1.500 dipendenti, 8.000 agricoltori e 4.000 tra terzisti e fornitori. Numeri che da soli parlano dell’importanza del settore.
La registrazione dell’evento sarà disponibile sul sito di Aife: www.aife.eu