Controlli zero alle frontiere, volano gli umani e si snaturano i prodotti
Senza giochini gli italiani in fatto di agroalimentare sarebbero i padroni del mondo
di C.Maurizio Scotti
Che si tratti di Europa, di Africa o Asia, tutti i punti di riferimento dei cosiddetti profughi hanno come meta anzitutto la Germania (ancora una volta ueber alles), poi la Scandinavia, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, la Francia e anche l’Italia. Già, il nostro Paese, quello che è bastonato, vilipendiato, snaturato, amorfizzato dai suoi stessi abitanti. Eppure l’Italia è un grande Paese, non solo perché entra nel novero dei Sette Grandi, bensì perché ha un presente di valore economico invidiabile. Soprattutto in fatto di turismo e di agroalimentare. Qui, davvero, siamo i padroni del mondo. Siamo al secondo posto in tutta la Terra in fatto di qualità di vini e formaggi, primi assoluti in riso e pasta, superiori a chiunque in cucina, extraterrestri quando si parla di salumi ed insaccati, fuori quota per chiunque cerchi di avvicinare le regole ambientali a quelle culinarie. Il nostro fatturato agroalimentare non ha paragoni nel resto del mondo, anche dove le vicende dicono “birra e crauti”: chi assaggia per la prima volta la mortadella di Bologna lascia ogni tipo di wuerstell nel frigo di chi li vende. Chi assapora il trittico piacentino, coppa, salame e pancetta, ornata di Ortrugo, si inchina ammirato ancor prima di saziato. Colui che odora le orecchiette condite con cime di rapa e pecorino offende sé stesso e la propria bilancia. E che ne è del Cannonau digerito con porceddu o del Vermentino delle Cinque Terre con pasta in sugo di alici e ricotta? Oppure di Castelli di Jesi che accompagna un risotto affogato in salsa di olive? Si potrebbe disturbare lo chef di Oristano e quello di Porto Garibaldi quando parla di pesce o di pescato, ma il contorno non cambia: siamo il Belpaese, patria del buon mangiare e del bel vivere. Eppure abbiamo davanti un sacco di “zeri”, in economia, in affidabilità e soprattutto in controlli. Alle frontiere non si contano i profughi, veri o presunti, arrivati per inerzia, per fame o per politica. Tanti di loro sono povera gente bisognosa a cui credere e a cui dare. Ma alle frontiere non si contano i Tir che portano a casa nostra quello che già noi produciamo, meglio di qualunque altro, prodotto particolarmente appetibile ad un mercato funesto e travisato da marchi assurdi e persino inconcepibili perché irrrintracciabili, senza regole e senza domani. E i timori del mondo agricolo nostrano montano sovrani.
Autore: C.Maurizio Scotti
20/05/2017