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“In alcune zone del Paese, quest’anno, abbiamo registrato anche punte del -70-80% – dichiara Gianluca Bagnara, presidente di AIFE/Filiera Italiana Foraggi – per una perdita economica di oltre 13,5 milioni di euro. Va rinsaldato e incentivato il legame tra agricoltura e zootecnia”

Ravenna, 21 ottobre 2021 – “Gli effetti delle forti ondate di calore registrate la scorsa estate presentano il conto anche alla produzione di foraggi italiana. La perdita media in resa a ettaro si avvicina a -35%, con punte che in alcune zone come l’Emilia Romagna e l’Italia Centrale hanno raggiunto addirittura un -70-80%”.

Per Gianluca Bagnara, presidente di AIFE/Filiera Italiana Foraggi – l’Associazione con sede a Ravenna che rappresenta il 90% della filiera italiana dei foraggi essiccati e disidratati – l’annata 2020-2021 deve essere archiviata come una delle più complicate proprio a causa delle conseguenze imposte dai cambiamenti climatici.

“Quella percentuale del -35% riferita al calo medio delle rese a ettaro – sottolinea – si traduce in una perdita economica che supera i 13,5 milioni di euro. Una cifra enorme a cui dobbiamo aggiungere i contraccolpi che stiamo già subendo dal fronte dell’export, che per AIFE/Filiera Italiana Foraggi rappresenta il 60% della produzione. Il costo dei container destinati al trasporto dei foraggi essiccati, infatti, in queste ultime settimane è letteralmente esploso passando dagli iniziali 500 dollari/container agli attuali 2-3000 dollari/container. Una situazione dai risvolti imprevedibili, solo in parte compensata dall’aumentata richiesta di prodotto da parte di alcuni Paesi del Nord Europa come la Danimarca, la Germania e la Francia settentrionale che quest’anno, sempre a causa degli effetti dei cambiamenti climatici, sono costretti a fare i conti con una minor produzione di foraggio locale, al punto che  per garantire la stabilità del loro comparto zootecnico sono obbligati ad aumentare la quota di foraggi essiccati importati”.

Uno scenario complesso, che richiede soluzioni pressochè immediate soprattutto se si considerano le caratteristiche di una coltura come l’erba medica, in grado di tollerare le criticità idriche grazie al suo profondo apparato radicale. “Nemmeno questo però è riuscito a contrastare gli effetti di una primavera particolarmente fredda che ha ritardato lo sviluppo delle piante – prosegue Bagnara – a cui è seguita un’estate caratterizzata da continue ondate di calore che di fatto hanno provocato un blocco continuo dello sviluppo vegetativo della coltura”.

Quali strade si possono allora individuare per contrastare una situazione che da un punto di vista climatico non si risolverà certo nel breve periodo? “Bisogna favorire e incentivare la creazione di uno stretto collegamento  tra agricoltura e zootecnia – afferma Gianluca Bagnara – soprattutto nel nostro Paese che può vantare una produzione foraggera di alta qualità, caratterizzata da un ottimo bilanciamento di proteine e fibra, totalmente naturale che proprio per queste peculiarità è anche in grado di migliorare le condizioni del terreno. I rincari delle materie prime che stanno scuotendo i mercati internazionali stanno mettendo a dura prova la tenuta della nostra zootecnia in tutte le specie allevate. Basti ricordare che il costo alimentare pesa sui costi di produzione per il 60-65% e che l’Italia importa il 50% del mais destinato alla produzione di mangimi. Non solo. Se allarghiamo lo sguardo all’Europa, scopriamo che la quota di proteine vegetali importate tocca la percentuale del 73%: davanti a queste cifre, se non si adottano misure diverse, la zootecnia non riuscirà a sopravvivere”.

Misure che potrebbero arrivare dalle opportunità previste dalla nuova Pac che entrerà in vigore il 1 gennaio 2023, “a patto che il nuovo documento di programmazione agricola europea adotti politiche di sviluppo – puntualizza Bagnara – che nei previsti ecoschemi racchiudono interessanti potenzialità. A questo si deve legare una seria programmazione che preveda la creazione di infrastrutture in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze legate alla movimentazione delle merci”.

Con circa 30 impianti di trasformazione dove viene conferita l’erba medica prodotta su 90mila ettari di superficie distribuiti tra Emilia Romagna, Marche, Veneto, Lombardia, Lazio, Umbria, Toscana e Abruzzo, AIFE/Filiera Italiana Foraggi rappresenta il 90% della filiera italiana dei foraggi essiccati e disidratati con una produzione di circa 800.000 tonnellate/anno pari al 10% della totalità prodotta a livello nazionale, posizionandosi al secondo posto a livello europeo dopo la Spagna. Considerato il giro d’affari dell’intera filiera e l’indotto il fatturato di AIFE/Filiera Italiana Foraggi tocca una media di 450 milioni di euro/anno, dando lavoro a circa 13.500 persone suddivise in 1.500 dipendenti,  8.000 agricoltori e 4.000 tra terzisti e fornitori.

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