Indicatori di qualità paesaggistica
di Paolo Degli Antoni
L’ecologia del paesaggio è una disciplina in qualche modo decostruttiva, intenzionata a distogliere l’attenzione dagli aspetti estetico-formali del paesaggio, concentrata sulla rappresentazione e qualificazione del paesaggio inteso come mosaico di ecosistemi, che tenga conto dei gradienti naturali e delle dinamiche storico-economiche che lo conformano. Paesaggi celebri come destinazioni turistiche hanno assunto l’aspetto attuale da pochi decenni, dunque non hanno ancora un valore storico consolidato, confermato solo per i paesaggi rurali storici, anche questi tuttavia risalenti di solito al massimo all’ultimo millennio, rimanendo solo tracce dei paesaggi dell’antichità.
Apprezzamento personale e qualificazione oggettiva
Naturalmente ciascuno è libero di sentirsi attratto da un paesaggio più che da altri e di ricavarne piacere e affetti particolari, tuttavia la vincolistica e la pianificazione del paesaggio non sono la mera sommatoria dei gusti personali, la qualità di ciascun paesaggio deve essere studiata e misurata scientificamente previa individuazione di batterie di indicatori, tali da consentirne la salvaguardia intesa come ”azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d’intervento umano” ai sensi dell’art. 1d della Convenzione europea, senza escludere il ripristino di quelli relittuali né la creazione di nuovi più rispondenti alle pratiche di vita e alle aspettative delle popolazioni.
I paesaggi rurali storici sono catalogati al fine di intraprendere iniziative di conservazione della memoria storica delle pratiche colturali tradizionali e dei luoghi, tra questi ovviamente non compaiono quelli d’origine recente, orientativamente successivi alla fine della mezzadria.
I paesaggi più recenti sono il prodotto di azioni intenzionali da parte degli operatori economici (es. monocolture) o del venir meno di pratiche agro-silvo-pastorali precedenti, non necessariamente di antica tradizione, anzi spesso effetto della sovrappopolazione rurale tipica del XIX secolo.
La Commissione Europea, a fini di stesura di programmi di sviluppo rurale, ha commissionato da decenni diversi studi dell’evoluzione paesaggistica continentale, compatibili con esecuzione automatizzata e speditiva di misurazioni basate sui rilievi satellitari dell’Agenzia spaziale europea.
Il rischio insito nell’impiego di batterie di indicatori algebrici sta nell’inconsapevole adozione di principi astratti, come la varietas ciceroniana, non scientificamente verificati né fondati.
Per esempio l’indicatore “numero di classi” risulta particolarmente scivoloso, perché attribuisce valore anche a deprecabili paesaggi di campagna urbanizzata, mentre svaluta pregiati paesaggi storici a open field. Indicatori più affidabili sono l’identificazione di una matrice e la naturalità.
Possiamo comparare, nelle convenzionali celle quadrate di tre Km di lato, un paesaggio della Val di Sole (TN):
con uno della Val di Non (TN).
Il primo manca di una matrice netta, soprattutto a causa della recente urbanizzazione avvenuta a scapito della superficie agricola, ma ha un elevato numero di classi d’uso e copertura del suolo, con ciò vantando eterogeneità visuale e diversità ecologica, il secondo ha matrice agricola netta, ma è praticamente una monocoltura urbanizzata, povera di eterogeneità visuale e di diversità ecologica. Il primo paesaggio ha un indice di naturalità più elevato, comprendendo estese superfici boscate, il secondo ha un valore basso, dato dal predominio del frutteto specializzato di impianto moderno.
Se si considerano le emergenze naturalistiche, entrambi i quadrati ne vantano due:
– in Val di Sole ZCS IT3120117 Ontaneta di Croviana, parzialmente Riserva locale Mulini, e ZCS IT3120176 Monte Sadron con diversificata vegetazione forestale;
– in Val di Non ZCS IT3120059 Palu’ di Tuenno, periurbana, e ZCS IT3120060 Forra di S. Giustina.
Esempi in Toscana
Una finestra di osservazione di dimensioni standard nel Comune di Pelago (FI) mostra un paesaggio a netta matrice agricola, con sei classi d’uso del suolo, che in astratto farebbe pensare a un paesaggio di qualità, in realtà si tratta di ordinamento colturale recente, con ampi appezzamenti monocolturali a olivo e vite, motivati dalla redditività dei prodotti ricavati a denominazione/indicazione geografica prestigiosa, con urbanizzazioni anche recenti. l’indice di naturalità è dunque basso, simile a quello dell’esempio in Val di Non, ma in questo caso non ci sono aree di particolare interesse naturalistico.
Un tipo di paesaggio chiantigiano più spesso preso ad esempio, anche dalla scheda d’ambito del PIT – Piano paesaggistico della Toscana, mostra estese monocolture, totalmente dissimili dall’ordinamento colturale promiscuo mezzadrile registrato dalle foto aeree del 1954, il suo pregio consiste nella matrice boschiva ad alta connettività, nella tipicità colturale e nella scarsissima urbanizzazione recente, i suoi limiti principali consistono nelle non soddisfacenti sistemazione idraulica-agraria e permeabilità ecologica. Il numero di classi nella finestra d’osservazione standard può ridursi a due, l’indice di naturalità è elevato, prevalendo boschi di latifoglie con composizione floristica tipica della vegetazione naturale locale.
Mancano tuttavia emergenze naturalistiche che si trovano invece in paesaggi contermini meno ordinati, inclusi nella ZSC IT5190002 Monti del Chianti, il cui habitat comunitario 5130 Formazioni di Juniperus communis su lande o prati calcicoli e il prioritario 6210* Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo, sono stadi di riconquista della vegetazione spontanea su pascoli e coltivi abbandonati, aborriti da alcuni estensori del PIT che li definiscono “infestati dalla vegetazione spontanea”, disprezzata perché non intenzionale e fuori del controllo umano. Fuori controllo pare piuttosto l’antropocentrismo radicale ispiratore di una certa visione troppo architettonica del paesaggio.
Peraltro i due habitat summenzionati tendono a rimanere stabili nel tempo, la successione secondaria non progredisce per decenni. Intensificazione agricola, modifica della coltura e rimozione della prateria per ricavare terra arabile sono i fattori di criticità individuati per primi nelle schede HASCITu della Regione Toscana.
La principale causa della riduzione si questi habitat è la rimessa a coltura, non sempre motivata da esigenze direttamente produttive agricole, quanto piuttosto per approfittare di contributi comunitari finalizzati alla salvaguardia degli elementi tradizionali del paesaggio, in Toscana erogati per la maggior parte per il restauro dei terrazzamenti, in forza di quello stesso primato dell’architettura suaccennato. Si possono osservare diversi casi di erogazione di importi pari a 50000 € dei quali hanno beneficiato resort lussuosi per offrire agli ospiti un’illusoria atmosfera da falso borghetto rurale d’altri tempi (ma le auto parcheggiate e la piscina allora non c’erano!), sopprimendo la vegetazione che aveva riconquistato terreni abbandonati da decenni.
Eterogeneità paesaggistica e diversità colturale
La biodiversità nel territorio dipende in parte dall’eterogeneità paesaggistica, con tutti i limiti della sua determinazione sopra individuati, che consente alle diverse specie della flora e della fauna selvatiche di trovare habitat idonei e adeguatamente connessi. La dimensione minima degli habitat dipende dal tipo di habitat e dalle specie, per esempio la flora “interna” delle foreste richiede una distanza dai margini almeno tripla dell’altezza dominante della copertura arborea, mentre il mantello forestale, formato da specie utili all’alimentazione della fauna, ma piuttosto ripetitivo, si sviluppa qualche metro sotto copertura e molti metri all’esterno, svolgendo dunque le sue funzioni anche in strisce di terreno lunghe e strette non cartografate al livello 3 di CORINE Land Cover. Neanche le pozze che accolgono comunità di anfibi sono cartografate al suddetto livello 3. Gli ecosistemi erbacei hanno la loro composizione floristica e faunistica completa in superfici ridotte rispetto egli ecosistemi forestali; un mosaico paesaggistico ecologicamente valido deve dunque comprendere tessere boschive estese, auspicabilmente oltre cento ettari ciascuna, mentre prati e pascoli possono occupare superfici più piccole, ma è comunque opportuno che siano connessi in un sistema a rete, per evitarne la frammentazione e l’isolamento genetico delle popolazioni di specie a mobilità ridotta. È dunque importante evitare che il bosco chiuda completamente il paesaggio e questo obiettivo si ottiene con progetti mirati di conservazione di porzioni di praterie seminaturali, per esempio Ape Toe (Ripristino Praterie e Foreste dell’Appennino Tosco-Emiliano).
La diversità colturale contribuisce alla biodiversità a una scala di dettaglio solitamente non rilevabile a scala paesaggistica. Intanto c’è un’agrobiodiversità intrinseca, merito delle rotazioni e della consociazione tra coltivazioni diverse. Per esempio in una coltura promiscua, mezzadrile o contadina che sia, convivono viti, magari con gli alberi cui sono maritate, olivi, alberi da frutto di cultivar locali particolarmente adattate all’ambiente, colture erbacee diverse. Se gli appezzamenti sono piccoli, i margini accolgono comunità erbacee e legnose spontanee capaci di accogliere specie della flora e della fauna locali, alcune utili anche per la salute delle colture. Ecco che siepi, alberature camporili e fasce tampone lungo i drenaggi, oltre a limitare la deriva degli agrofarmaci e dei concimi, frenano l’erosione del suolo e tengono in vita organismi antagonisti dei parassiti delle colture. Piace ricordare come un fico in un gruppetto di olivi funzioni da trappola per la mosca olearia e come l’enula bacicci, biennale ruderale, è attaccata da un ospite temporaneo di un suo predatore.
Per la biodiversità complessiva di un territorio rurale occorrono azioni mirate all’interno delle colture, anche su piccole superfici, soprattutto la rinuncia all’accanimento ordinativo, lasciando indisturbate alcune strisce di terreno, e l’eterogeneità paesaggistica, dato che le specie che compongono gli ecosistemi naturali non sono le stesse che popolano le colture.
Un esempio mirabile di strategia per la biodiversità rurale è il progetto presentato al concorso ARIA 2024 dalla Slovenia e finanziato con fondi europei, nazionali e locali del Programma di Sviluppo Rurale, sottomisura 16.5 – Cooperazione – Ambiente e cambiamenti climatici (248785 €). Goričko, uno dei territori prescelti, fa parte di un parco trinazionale, è ricompreso nella rete ecologica europea Natura 2000 e ha un paesaggio vario, a matrice agricola a campi aperti alternati a piccoli appezzamenti viticoli e a frutteto, ma anche molto boscoso; gli habitat comunitari bersaglio sono 6210* e 6410. Questo tipo di sviluppo rurale è in linea col recente regolamento europeo sul ripristino della natura.
Foto dal progetto VARSTVO BIODIVERZITETE V KMETIJSKI KRAJINI – EIP VIVEK
Paolo Degli Antoni: Laurea in Scienze Forestali, conseguita presso la facoltà di Agraria dell’Università di Firenze. Abilitazione all’esercizio della professione di Agronomo-Forestale. Già funzionario C.F.S. e collaboratore della Regione Toscana, è socio corrispondente dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali, scrive contributi scientifici di ecologia del paesaggio, biodiversità, storia, arte e antropologia del bosco. Suo oggetto privilegiato di ricerca è la rinaturalizzazione.