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di Giuseppe Accomando

CLASSIFICAZIONE DEI FORAGGI
Gli alimenti si classificano in:
Vegetali (foraggi- semi di leguminose e semi di graminacee);
Residui della lavorazione e molitura dei cereali;
Residui dell’estrazione dell’olio dai semi oleosi (soia- ravizzone- colza- lino);
Residui delle altre industrie (pomodori- succhi di frutta- confetture- marmellate- residui del cotone);
Animali (residui della lavorazione del latte);
Residui dell’industria di trasformazione delle carni e dei pesci. 

Le specie erbacee di interesse zootecnico possono essere ascritte a quattro famiglie, come riportato nella tavola. Negli ultimi 25 anni in Italia si è registrata la diminuzione della coltivazione dei prati polititi, sostituiti, nella pianura padana, dal mais, di contro si è registrata la riduzione del consumo del fieno, contemporaneamente si è incrementato il consumo di alimenti concentrati e la superficie coltivata ad erbai per l’insilamento.  Oggi la situazione nazionale è la seguente: gli ettari coltivati ammontano a circa 9,1 mln, la produzione, espressa in unità foraggere è di 22 mld, pari a circa 2.500 UF/ha. Il quantitativo è sufficiente a soddisfare l’esigenza del nostro patrimonio zootecnico che espresso in bovini, bufali, ovini, caprini e struzzi, ammonta a oltre 23 mln di capi esclusi conigli, avicoli ed equini, il consumo medio è di circa 1.000 UF capo/anno.
Le colture maggiormente coltivate appartengono a quattro famiglie che sono: Leguminose; Graminacee; Brassicacee; Chenopodiacee.
Le essenze avvicendate e/o temporanee sono maggiormente diffuse nell’Italia settentrionale ove il 65% è rappresentato dai prati, il 35% da erbai, mentre, in montagna ed al sud, le colture più rappresentative sono quelle permanenti rappresentate dai prati e dai pascoli.
I foraggi devono garantire agli animali in primis la salute;
– in secundis evitare dismetabolie- tossicosi;
– sostenere alti livelli di produzione;
– essere convenienti economicamente;
– non contenere micotossine e clostridia.

I foraggi sono i prodotti delle piante somministrati freschi- essiccati o insilati.
I mangimi concentrati sono i semi (graminacee- leguminose) o le farine.
I foraggi freschi devono essere consumati entro le 24 h dalla raccolta prima cioè che inizino i processi fermentativi conseguenza dell’aumento della temperatura della massa erbosa- onde evitare perdite nutritive con la conseguenza di una diminuita appetibilità e soprattutto la formazione di ostanze tossiche nocive alla salute dell’animale. Per contenere i costi di produzione è importante seguire le giuste tecniche colturali, effettuare la raccolta nel momento opportuno, per favorirne sia l’appetibilità che la digeribilità con ripercussioni positive sulla salute dell’animale e sul suo benessere.

Colture foraggere e superficie coltivata

Sulla (Hedisarum coronarium)
La coltura occupa una superficie di circa 252 mila ha, diffusa quasi tutta nel meridione d’Italia, in Sicilia gli ettari coltivati sono circa 100 mila, i restanti tra Abruzzo, Campania, Marche, Molise, etc.
È pianta perenne, caratteristica dei climi caldi ad inverno mite, esige terreni calcarei, profondi, argillosi, dando buoni risultati, vegeta anche nei terreni poveri, dura max 2-3 anni. La coltura ben si presta alla formazione di prati monofiti, il foraggio è di buona qualità se lo sfalcio viene eseguito all’inizio della fioritura, per evitare successivamente la lignificazione del fusto.  Nella rotazione la coltura segue un cereale, la semina può essere fatta in autunno oppure in primavera, dipende molto da clima. La produzione unitaria è di   circa 700-800 q di erba fresca pari a circa 130-150 q di fieno col 91,2% di SS, 720 kg di PG, 133 kg di Ca, 25 kg di P, il valore nutritivo è di circa 6.000-8.000 UF, in relazione all’andamento climatico.
Lupinella (Onobrychis viciaefolia)
La coltura è maggiormente praticata nell’Italia centro meridionale, gli ettari coltivati sono circa 100.000.  Specie con apparato radicale fittonante, alta circa 40–100 cm, poco resistente al freddo nei primi stadi di sviluppo, assai resistente sia alle elevate temperature che alla siccità. Si addice ai terreni calcarei, poco fertili, sabbiosi. La pianta si presta bene sia alla costituzione di prati monofiti che polifiti, in quest’ultimo caso può essere associata   
Erba Medica (Medicago sativa)
È sicuramente la coltura più praticata con i suoi 1.450.000 ha di superficie, di cui oltre la metà concentrata nella pianura padana. È una delle specie più importanti per i prati monofiti, ha radice fittonante, resiste alla siccità, richiede clima con inverno ed estate miti, preferisce terreni profondi, freschi e ricchi di sostanze nutritive.  La coltura viene utilizzata max per 3-4 anni, nei climi siccitosi si fanno 2 tagli all’anno, in altre condizioni si possono fare fino a 5 sfalci all’anno.
È buona   norma eseguire il primo taglio allorché alla base della pianta si formano i getti, il momento generalmente cade alla fine di maggio, molto dipende dall’epoca di semina e dalle condizioni pedoclimatiche.  Il 2°, 3° e 4° taglio vengono eseguiti quando la coltura presenta il 10% di piante fiorite; il 5° taglio si deve eseguire con la stessa indicazione del primo. Non vi è dubbio che ritardando il taglio la produzione di sostanza secca è maggiore a danno però della qualità del foraggio.  Dallo stadio gemma (lontano dalla fioritura) in poi il contenuto proteico, le unità foraggere e la digeribilità tendono a diminuire, aumenta il contenuto in fibra grezza.
Al contrario il taglio anticipato determina una diminuzione della massa verde e secca, ma una resa maggiore di unità foraggere e contenuto proteico.  Se si vuole ottenere una elevata resa in proteine si dovrà sfalciare nella fase precoce della vegetazione assai prima dell’inizio della fase riproduttiva, se si vuole ottenere un maggiore contenuto in energia si dovrà sfalciare all’inizio della fioritura. La coltura può essere impiegata sia come foraggio verde, sia affienata, sia come foraggio base previa disidratazione con aria calda o l’insilamento del materiale preappasito.
Da non trascurare l’impiego della medica come mangime concentrato sotto forma di farina disidratata. Sottoponendo la pianta a questo trattamento la stessa conserva il contenuto energetico e proteico inalterato paragonabile al prodotto fresco, in tal modo la coltura assurge a pianta di notevole pregio commerciale. La produzione è alquanto diversa oscillando dai 1.000 ai 1.700 q di erba per ettaro, i valori medi sono 400-600 q, il rendimento in fieno è del 24-26% pari a circa 130 q/ha che corrisponde a 100 q/ha di SS e 6.000-8.000 UF, con 735 kg di PD, 95 kg di Ca e 27 kg di P.
Trifoglio Pratense o Violetto (Trifolium pratense)
Questa coltura è praticata su circa 216.000 ha, concentrata quasi tutta nell’Italia settentrionale (Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia) ma anche nella Toscana, Lazio e Marche.  Specie perenne, generalmente, però, la durata media è di 2–4 anni in funzione dell’ambiente pedoclimatico, ha radice fittonante, taglia media, altezza circa 70–75 cm, preferisce i terreni freschi, profondi, calcarei, neutri o sub-acidi, il clima deve essere fresco, ha notevoli esigenze idriche. Dà 3-5 sfalci all’anno, la semina può essere eseguita in autunno oppure in primavera, dipende dalle condizioni climatiche, le caratteristiche biologiche sono simili a quelle dell’erba medica, la produzione è di circa 300–500 q di prodotto fresco con una resa in fieno del 26%, pari cioè a 5–6 t/ha di fieno, la SS è del 86%, il contenuto di PG 17–18%; il valore energetico è pari a 0,65–0,75 UF/kg SS, ossia circa 3.000-4.000 UF/ha.
Trifoglio Bianco (Trifolium repens)
La pianta è originaria del bacino del mediterraneo, insieme all’erba medica è l’essenza più coltivata nel mondo. In Italia è presente soprattutto in Lombardia ove occupa circa 184.000 ha di superficie. È da considerare pianta perenne perché   si può propagare    anche per stoloni, presenta apparato radicale fittonante e fascicolato, quest’ultimo si forma dagli stoloni. La pianta si presta bene alla formazione dei prati monofiti irrigui della lombardia, si adatta a quasi tutti i tipi di terreni ad eccezione di quelli molto poveri, sabbiosi e argillosi, richiede terreni ben drenati, acidi, è assai resistente al freddo ed al caldo estivo. La coltura può dare 4–8 tagli all’anno, il primo taglio dovrebbe essere eseguito nel periodo fine aprile inizio maggio i successivi quando i primi capolini tendono ad imbrunire. La produzione è di circa 12 t/ha di fieno con l’84% di SS, un contenuto di PG 18–19%; il valore energetico è pari a 0,6 UF/kg/SS, ossia circa 6.500 UF/ha.
Trifoglio Alessandrino (Trifolium alexandrinum)
Originaria dell’Asia minore, diffusa nell’Italia centro meridionale è pianta annuale, apparato radicale fittonante, altezza circa 65–100 cm, la coltura si adatta bene negli ambienti caldo aridi, non sopporta le basse temperature, rifugge i terreni acidi, predilige quelli profondi e freschi, fertili, neutri o sub alcalini. Può essere coltivato sia come prato monofita che polifita.  La produzione è alquanto variabile dipendendo dalle condizioni pedoclimatiche della zona, infatti può dare 4-5 sfalci all’anno nelle aree irrigui e 2–3 sfalci all’anno nei terreni asciutti, la produzione è di circa 4.000 UF/ha, il foraggio, dal punto di vista nutritivo, è paragonabile all’erba medica, l’unica differenza ha un minor contenuto di fibra gezza.
Fava (Vicia faba)
Nel nostro Paese la coltura è praticata soprattutto al sud, particolarmente in Sicilia, è pianta annuale con radice fittonante, fusto eretto, foglie composte da 4–6 foglioline, il frutto è un baccello verde allo stato immaturo con 3–5 semi. Il clima prediletto è quello caldo temperato, i terreni migliori sono quelli argillosi – calcarei, compatti. La pianta per uso zootecnico può essere consumata allo stato fresco oppure insilata, raccolta a maturazione cerosa. Ottimi sono i semi, in tal caso la raccolta deve essere eseguita quando i baccelli sono secchi, la paglia di fava ha un alto valore nutritivo, è necessario conservarla bene onde evitare l’ammuffimento e mescolata a polpe di bietola o di altri mangimi è assai appetita dai ruminanti. Se la coltura si semina in autunno, la raccolta dell’intera pianta può essere fatta a partire dalla fine di febbraio-marzo, se, invece, si intende utilizzare i baccelli la raccolta va eseguita nei mesi di giugno-luglio.  La semina la si può fare anche in primavera tra metà marzo inizi di aprile, in tal caso l’erba la si deve raccogliere all’inizio della fioritura, cioè nel mese di giugno, se, di contro, si intendono raccogliere i frutti allora il periodo corrisponde al mese di agosto; si avvicenda bene col frumento o con l’orzo con rotazione biennale oppure volendo fare una rotazione triennale va bene con la sulla. La produzione è alquanto variabile oscillante da 30–35 t/ha di erba fresca; oppure 4–5 t/ha di seme secco e 6–7 t/ha di paglia. Il contenuto di SS è pari al 17-18% per l’erba con un contenuto medio di 0,77 UF/kg/SS e un contenuto   di protidi grezzi del 20% per una quantità totale di UF di 4.500–5.000 ed un contenuto di proteine di 1.200 kg
Veccia (Vicia sativa)
La veccia sativa è coltura da erbaio, praticata nell’Italia centro meridionale ove occupa una superficie di circa 30.000 ettari. Può essere coltivata come essenza monofita sconsigliata oppure consociata con l’avena, infatti seminandola nel mese di ottobre la fioritura si verifica verso la metà del mese di maggio contemporaneamente alla spigatura dell’avena.
La veccia va raccolta in fioritura, se si ritarda la raccolta si hanno perdite di prodotto per la caduta delle foglie.  Trattasi di pianta poco resistente al freddo, predilige terreni sciolti, sabbiosi, anche se si adatta ai terreni argillosi e poco permeabili. La produzione di erba che se ne ricava è di circa 20–30 t/ha, col 16–18% SS, e 0,6 UF/kg/SS, cioè 2.500–3.000 UF/ha.
Soia (Glycine max)
La soia è tipica pianta annuale, con ciclo biologico primaverile/estivo, presenta un fusto eretto rivestito di una sottile peluria, lungo 0,5–1,5 m, ampie foglie composte trifogliate, piccoli fiori bianchi o purpurei e corti baccelli contenenti da 1 a 4 semi. La maturazione si svolge nell’arco di 100–150 giorni, a seconda    della varietà e delle    condizioni    ambientali. Predilige terreni di medio impasto, profondi e freschi con pH sub acido, rifugge i terreni sciolti e carenti di acqua e dove ci sono condizioni di asfissia. I semi di soia hanno una forma sferoidale e, a seconda delle varietà, colori diversi, dal giallo al nero, al marrone o al verde; sono composti per il 20% da olio e per il 40% da proteine. La raccolta cade in settembre per la coltura principale, nel mese di ottobre per quella intercalare.  La soia dà buoni risultati avvicendandola col mais, comunque può succedere a se stessa, senza creare problemi di stanchezza del terreno.  La produzione media di semi si aggira sui 35–40 q/ha per la coltura principale sui 20 q per la coltura intercalare. I semi sono assai ricchi di valore energetico pari appunto a 1,16 UF/kg con un elevatissimo contenuto di proteine pari almeno al 40%, alto è anche il contenuto di fosforo e calcio, con una percentuale di sostanza secca dell’89%.  La farina di soia, che si ottiene una volta estratto l’olio, viene impiegata per l’alimentazione del bestiame. Il quantitativo medio di UF è di circa 4.000-4.500.

Crocifere
Assai produttive, basso apporto calorico ma ricche in sali minerali come: potassio, calcio, fosforo, buono è il contenuto di acido folico, vitamina (A, C, K), sono ricche   di antiossidanti.
Colza (Brassica napus)
Pianta coltivata maggiormente nell’Italia settentrionale, dove viene seminata in estate con raccolta nei primi di novembre, dicembre, gennaio. Se la coltura si semina in autunno, il colza fiorisce verso la metà di aprile, se irrigata la coltura può dare anche due tagli uno autunnale ed uno primaverile.
Buono è il foraggio, particolarmente adatto per bovine da latte durante l’inverno, sembra influire positivamente sull’aumento della produzione e sullo stato di salute degli animali.
Ravizzone (Brassica campestris)
Il ravizzone, coltivato su circa 6.000 ha, è considerata la foraggera autunnale da erbaio assai precoce, dando la prima raccolta nei primi periodi dell’anno, inizio primavera, la coltura si presta ad essere praticata come monofita essendo la pianta assai precoce rispetto alle altre foraggere.
Rapa (Brassica rapa)
Crocifera coltivata soprattutto in Toscana e Campania come erbaio autunno primaverile, generalmente consociata con favino, segale e trifoglio incarnato a costituire il cosiddetto pascone.
Tutte e tre queste crocifere danno una produzione in erba di circa 200–300 q/ha, un contenuto di SS del 18–20% pari a circa 47,5 q pari ad un valore energetico di 4.000 UF
Graminacee
Piante erbacee con fioritura primaverile- estiva e fiori che si sviluppano in ogni zona climatica. La famiglia comprende i cereali ad uso alimentare per gli uomini e per il bestiame.  L’importanza ecologica delle graminacee è incalcolabile: l’evoluzione dei maggiori gruppi di animali, ad esempio gli ungulati, sarebbe inimmaginabile senza di esse. Il frutto è una cariosside con cellule ricche di proteine (strato aleuronico) e con   endosperma ricco di amido.
Festuca (Festuca arundinacea)
Assai rustica tanto che resiste in tutti gli ambienti, è produttiva, di taglia alta, 90–180 cm, apparato radicale profondo, steli eretti. Si adatta alla siccità e al ristagno di acqua, assai resistente alle basse temperature, è coltivata ovunque, in tutti i tipi di terreni anche quelli acquitrinosi. È molto produttiva e longeva dura fino a 8–10 anni, presenta l’inconveniente di uno scarso sviluppo al primo anno di semina, il foraggio è poco appetibile dal bestiame. Se la semina si esegue in autunno la raccolta deve essere eseguita in primavera, se la si semina in primavera è bene consociarla con la medica o il trifoglio, la raccolta si esegue in estate.  La pianta può essere coltivata come monofita oppure consociata con l’erba medica o il trifoglio bianco, generalmente dà un solo sfalcio primaverile con una produzione di 12–14 t/ha di fieno, un valore energetico di 0,77-0,82 UF/kg SS – pari a circa 6.000–7.000 UF/ha e 540 kg circa di PD.
Erba Mazzolina (Dactylis glomerata)
È una delle foraggere più coltivate nel mondo, è pianta perenne e cespitosa, in Italia si adatta ovunque, preferisce terreni profondi, freschi, ricchi e clima caldo tiepido, rifugge i terreni acidi e quelli assai acquitrinosi. La pianta è alta 70–150 cm, con un profondo sistema radicale, l’infiorescenza è una pannocchia ramificata con spighette a mazzetti. Ha buona persistenza 7-8 anni, può essere coltivata da sola o in miscuglio con altre foraggere soprattutto erba medica, trifoglio bianco, lupinella e sulla, può essere seminata indifferentemente nel periodo autunnale o primaverile, come per la festuca, la semina autunnale da prati monoliti, se la si semina in primavera è utile consociarla col trifoglio bianco. La produzione è caratterizzata da un unico sfalcio primaverile, dà circa 10–12 t/ha di fieno, con un contenuto di fibra grezza che va da un minimo del 22%, se lo sfalcio viene eseguito quando la piantina è alta 20 cm, ad un massimo del 33% se lo sfalcio è eseguito in fioritura. Il valore energetico varia da un minimo, di 0,6/kg di SS se la raccolta avviene in fioritura, ad un massimo di 0,93 se lo sfalcio avviene assai prima della fioritura, discreto è anche il contenuto proteico oscillante dal 10 al 22%.  Il quantitativo totale di unità foraggere ricavabili da un ettaro è pari a circa 7.000-8.000.
Coda di Topo (Phleum pratense)
Specie perenne, cespitosa, a taglia alta, a fioritura tardiva diffusa in tutto il mondo, pianta alta 80–120 cm, portamento eretto, la pianta preferisce terreni profondi e argillosi e clima temperato, va bene per le zone del nord Italia, non è indicata per il meridione, è pianta indicata per la formazione di prati nelle zone fredde di collina e di montagna. Il foraggio può essere utilizzato fresco, insilato o affienato; può essere coltivata da sola con semina autunnale o in miscuglio, semina primaverile, per costituire prati oligofiti, dà buoni risultati se associata con erba medica, trifoglio bianco e ginestrino.  Fornisce 80-120 q di fieno corrispondente ad un valore nutritivo di circa 5.000-6.000 UF.
Loiessa (Lolium multiflorum)
La loiessa è una delle graminacee maggiormente coltivate in Europa e Italia, ha una persistenza 3–4 anni, è alta 80–110 cm, in Italia è impiegata per i prati pascoli con miscugli di leguminose (trifogli, veccia) con semina primaverile.
Viene sfalciata nella prima decade di maggio, può essere affienata, oppure insilata, altri sfalci si possono fare a distanza almeno di un mese e mezzo perché la velocità di crescita è alquanto lenta, può essere avvicendata con il mais. Da un ettaro di superficie si ricavano circa 40–60 t di erba, pari a 8-12 t/ha di fieno con un quantitativo complessivo di 6.000-7.000 UF.
Avena (Avena sativa)
Pianta da erbaio autunno primaverile maggiormente coltivata in quanto unisce una elevata produzione ed un ottimo valore nutritivo, assai appetibile dal bestiame, di contro è poco resistente al freddo e all’allettamento, è coltivata in Italia centrale in particolare Toscana e Umbria ed al nord. Può essere consumata allo stato fresco, dando il primo sfalcio nel mese di maggio oppure affienata o insilata raccogliendola alla maturazione cerosa, l’insilamento del prodotto è più povero di elementi nutritivi rispetto all’orzo ed al grano. La produzione è di 25–30 t/ha di erba col 20% di SS pari a 5-6 t/ha di SS, con l’8% di PG e 0,67 UF/kg, pari a circa   3.000-4.000 UF.
Segale (Secale cereale)
Assai coltivata in Lombardia, rappresenta il cereale più precoce potendo essere sfalciato nel periodo primaverile, prima della spigatura, pianta assai resistente al freddo, preferisce i paesi settentrionali, terreni sciolti non troppo fertili, si adatta a tutti i tipi di terreno anche quelli acidi. È bene coltivarla da sola per l’accentuata precocità di sviluppo, talvolta la si consocia col ravizzone, da consumarsi allo stato fresco, dà 10 UF/q di erba, per un totale di 3.000–4.000 UF/ha.
Orzo (Hordeum vulgare)
La pianta resente molte similitudini con la segale l’epoca di semina è fine ottobre, la raccolta fine aprile inizio maggio nella fase detta botticella – spigatura. La coltura predilige i terreni sciolti non molto fertili, è suscettibile all’allettamento, assai sensibile al freddo. È bene praticare la coltura in forma specializzata, la pianta può essere insilata con l’accortenza di raccoglierla in corrispondenza della maturazione cerosa della cariosside, discreta è la produzione di erba pari a circa 25–30 t/ha, la SS è   30-35% corrispondente a 8-10 t; il valore energetico è pari a 70-75 UF/q di   SS, cioè 7.000 UF. La quantità di semi per ettaro oscilla dai 30 ai 50 q corrispondenti a 3.000–5.000 UF, (il kg di cariossidi è stato preso come punto di riferimento per definire l’UF).
Mais (Zea mays)
Il mais, a livello mondiale, è la terza coltura per superficie dopo il grano e il riso, al primo posto per la produzione unitaria; è la pianta più utilizzata per l’alimentazione del bestiame.
Nel nostro Paese la coltura è maggiormente praticata al nord (Lombardia, Veneto, Piemonte). È coltura che per dare il meglio ha bisogno di temperature comprese tra 24–30°C in funzione della disponibilità di acqua, lungo fotoperiodo, assenza del gelo. Fattore limitante della coltivazione è la disponibilità idrica; infatti il fabbisogno varia da 3.000 a 8.000 m3/ha, per quanto riguarda il terreno i migliori sono quelli fertili, profondi e freschi cioè quelli definiti di medio impasto, non gradisce terreni poco profondi e troppo compatti o troppo umidi e freddi. L’epoca di semina è fortemente condizionata dalla temperatura del terreno, infatti per la germinazione il terreno deve avere una temperatura di almeno 10°C periodo che corrisponde pressappoco nel mese di aprile.
La raccolta è diversa a seconda dell’utilizzo della pianta, se è destinata per la produzione della granella lo stadio ottimale corrisponde con la maturazione commerciale ossia dopo due settimane dalla maturazione fisiologica quando il contenuto di umidità nella cariosside è del 25% (agosto – settembre); se la finalità è l’insilamento della pianta per uso zootenico allora la raccolta deve essere eseguita allo stadio di maturazione cerosa della granella con un alto tasso di umidità (luglio).
La granella umida può essere essiccata in azienda oppure tramite essiccatoi; per la granella destinata al consumo animale è preferibile ricorrere all’insilamento previa macinatura e conservazione della farina umida nei silos per ottenere il pastone di granella, oppure le cariossidi possono essere trattate con acido propionico, potente batteriostatico, che blocca l’attività dei microrganismi consentendo la conservazione della granella umida.
Per consumo aziendale la coltura può essere raccolta anche in spiga e utilizzata o allo stato di farina secca o come farina umida insilata, pastone di pannocchia.
La granella di mais possiede un alto valore calorico di circa 4.000 kcal/kg di prodotto, ha un basso contenuto proteico, la coltura da circa 53 t/ha di erba con un contenuto di SS 30-35%, ed un valore nutritivo di 0,7-0,8 UF/kg SS, ossia 12.000-14.000 UF/ha (530.000 kg * 35% *0,76). Il quantitativo di cariossidi ottenibile è pari a circa 100–120 q/ha; la quantità di 5–6 kg di silomais forniscono una UF.

CONSERVAZIONE DEI FORAGGI
Certamente l’alimentazione del bestiame con prodotti freschi nei periodi primaverili-estivi è la più conveniente rispetto a quella a base di foraggio insilato o di fieno, si risparmia e l’alimento possiede un maggiore valore nutritivo, c’è da aggiungere, però, che alcuni alimenti vengono prodotti solo in limitati periodi dell’anno, si rende, quindi, necessario, onde evitarne il deterioramento dal punto di vista nutrizionale, ricorrere alla loro conservazione.  Ai fini qualitativi risulta evidente che la quantità di foraggi da conservare deve essere la minima possibile. Occorre ancora sottolineare che alcuni foraggi si trovano solo in alcuni periodi dell’anno come il mais ceroso o i pastoni di pannocchie di mais per cui si è costretti a ricorrere alla conservazione.
Oggi, nelle stalle, per l’ingrasso dei vitelloni, è sostanziale disporre sempre di insilato di mais, per l’ingrasso dei suini, disporre sempre di farine di cereali e pastoni di pannocchie di mais.

Sfalcio

Fienagione
La raccolta e la conservazione del foraggio, per evitare il surriscaldamento della massa (fermentazione aerobica) con danni al prodotto finito, dovrebbero avvenire quando il contenuto di umidità nelle piante è inferiore al 20%; l’importante è stabilire, quindi, l’epoca del taglio.  È certo che l’epoca migliore è l’inizio della fioritura per le leguminose; la spigatura incipiente per i prati polifiti e per le graminacee; è buona norma raccogliere il foraggio in rotoballe e avvolgerle con film plastico. Quasi tutte le specie possono essere affienate ma i risultati migliori sono i prodotti provenienti dai prati monofiti di leguminose e graminacee e polifiti, esempio loietto e trifogli; l’avena, la veccia e il sorgo danno più problemi alla fienagione. Specie non affienabili sono il mais, sorgo, orzo, pisello, favino e lupino, di queste specie meglio utilizzare i frutti oppure insilarle. La fienagione naturale deve essere completa max in 4 giorni dallo sfalcio; primo giorno si lascia la massa esposta al sole, il secondo giorno è importante voltare la massa, per evitare la formazione di umidità e lo sviluppo di muffe, con perdita dei valori nutritive, e l’eventuale sviluppo di microrganismi nocivi alla salute degli animali e perdita del prodotto.
Terminata l’essiccazione, quando la massa erbosa contiene un contenuto di acqua del 15–20%, si imballa; queste possono essere compattate in forma di parallelepipedo del peso di 15-50 kg, tanto che per mc di spazio ci siano 140-250 kg, oppure l’erba viene compressata in rotoballe di peso varabile da 25 a 500 kg, ossia 110-160 kg a mc di fienile. Per la conservazione si può anche ricorrere all’essiccazione artificiale nei fienili di essiccazione, operazione da completare in 8 giorni e 100 ore di ventilazione complessiva. Nonostante tutte le attenzioni possibili durante la fase di fienagione si hanno perdite, e di sostanza secca e di valore nutritivo del fieno. Tra le cause annoveriamo la respirazione che provoca perdite del 4% di sostanza secca al giorno e di unità foraggere; perdite si hanno per l’utilizzo delle macchine agricole necessarie alla fienagione calcolate del 15% della sostanza secca e del 20% di UF, altre perdite sono dovute ai processi fermentative che comportano una diminuzione di SS del 10% fino a compromettere l’intero raccolto; mediamente gli esperti hanno calcolato perdite del 30% di SS, 40% di UF e 30% di proteine
Disidratazione
È una tecnica che consiste nell’essiccare rapidamente il foraggio con metodi industriali al fine di conservare al massimo i contenuti di proteine, vitamine e minerali rimanendo inalterato il valore nutritivo del prodotto. Il metodo si adopera per foraggi giovani, ricchi di foglie, dove la produzione è elevata e costante come nel caso dell’erba medica.   L’erba viene falciata, trinciata e caricata sui carri quando ha raggiunto un’altezza di almeno 25–35 cm, immediatamente avviata nei disidratatori sottoposta a ventilazione forzata con aria molto calda tanto da far evaporare subito l’acqua contenuta nella massa (20 minuti a T 130-200°C). In quelli industriali la massa foraggera viene introdotta in cilindri rotanti posta a contatto con aria riscaldata a 800-1.000°C, le foglie separate da speciali aspiratori e gli steli restano pochi minuti. Dopo il riscaldamento il prodotto, raffreddato, viene macinato ottenendo farine o pressato (pellets, cobs, briketts). Per la conservazione della granella, come già scritto a proposito del mais, è bene impiegare acido Propionico, potente batteriostatico, a basso dosaggio 0,5 –1% per tonnellata di seme
Insilamento
È una tecnica di conservazione che risale a circa 1000-1500 anni a.C. utilizzata già dagli antichi egizi; il termine silo deriva dal greco Siri che significa fossa scavata nel terreno per conservare i vegetali.  I vantaggi, rispetto alla fienagione, sono la maggiore quantità di sostanze nutritive per la minore perdita sul campo, migliore qualità dell’alimento e la possibilità di conservare piante altrimenti non conservabili con la fienagione come le piante di mais, il prodotto insilato migliora il rendimento degli animali e la qualità dei prodotti come carne e latte. L’insilamento si basa su processi chimico- biologici dovuti a fermentazioni che fanno si da creare ambienti avversi allo sviluppo di microrganismi degenerativi della massa organica, è sottinteso che per ottenere un buon prodotto e minimizzare le perdite di sostanza secca e di unità foraggere occorre procedere con una buona tecnica di raccolta del foraggio, un buon pre appassimento, trinciatura e non ultimo l’insilamento. L’insilamento garantisce la miglior produzione di foraggio kg/ha– possiamo fare qualche esempio da un erbaio si ricavano 4.480 kg/ha– da un prato 5.120 kg/ha– dal fieno 3.360 kg/ha– silo mais 14.000 kg/ha. L’insilamento è un processo fermentativo che dire dalle due alle tre settimane massimo e comprende due fasi la prima aerobica tramite respirazione la seconda fermentativa in ambiente anaerobico. Nella prima fase il foraggio respira consumando l’ossigeno presente nell’ambiente, la combustione avviene a spese dello zucchero presente nel foraggio, è una fase negativa e deve essere ridotta al minimo onde evitare la cattiva riuscita del processo e soprattutto perdita del valore nutritivo. Perciò la massa da insilare va compattata bene con pale meccaniche munite di ruote gommate. La seconda quella che porta alla buona riuscita dell’insilato grazie allo sviluppo di batteri lattici. Come prima cosa da fare è creare nei sili condizioni anaerobiche, favorire la formazione immediata di acido lattico che  abbassa il pH, ostacolando lo sviluppo di microrganismi dannosi: il pH ottimale per l’insilamento oscilla tra 3,5–4,5, per questo è necessario favorire lo sviluppo di batteri lattici (Lactobacillus, Streptococcus, Leuconostoc, Pediococcus), questi  si sviluppano nei primi tre giorni di conservazione ad una temperatura di 20–30°C per cui diconsi a fermentazione fredda; essi attaccano gli zuccheri (esosi, pentosi) formando acido lattico (CH3–CHOH–COOH) (dovrebbe rappresentare almeno il 75% degli acidi prodotti), acido acetico (CH3–COOH) (per un buon insilato questo non deve superare lo 0,4-0,7% degli acidi prodotti) ed etanolo (CH3–CH2OH) (fermentazione eterolattica). Per favorire lo sviluppo dei lattobacilli bisogna raccogliere il foraggio alla giusta maturazione ed altezza, trinciare l’erba a un giusto grado di umidità, trinciare ad una giusta misura, comprimere bene la massa, riempire subito il silo, coprirlo ermeticamente con tendoni, non aprirlo se non dopo due/tre settimane. Se il pH non si tiene a valori bassi massimo fino a 4,5 si possono avere sviluppo di batteri butirrici (pH 5-5,5) o addirittura batteri putrefattivi se il pH sale a valori di 5,5-7 con danno di tutta la massa insilata. La buona riuscita dell’insilamento dipende anche da fattori esterni quali la presenza di microrganismi contaminati, la temperatura ambientale, i fattori climatici non sempre prevedibili, etc. Importante per il buon insilamento è che la massa possieda almeno il 6–7% di zuccheri sulla SS, una certa quantità di acqua e l’effetto tampone, è noto che la fermentazione procede tanto più rapidamente quanto più il foraggio è umido. Quando i batteri lattici producono forti quantitativi di acido lattico e acetico, creano un ambiente acido che ostacola lo sviluppo di batteri clostridi, lieviti, coliformi e muffe, formando un prodotto appetibile e utile alla salute degli animali ed ai loro prodotti. Anche i prodotti insilati subiscono perdite e di sostanza secca e di valore nutritivo, perdite si hanno in pieno campo per respirazione cellulare 4% di zuccheri nelle 24 ore, perdite per respirazione pari al 10% della SS, perdite per fermentazione omolattica 0,7% della SS ed eterolattica 1,7% della SS, non ultimo le perdite di percolamento corrispondenti a circa il 3–4% della SS.
Microrganismi nocivi all’insilamento
I microrganismi nocivi all’insilamento sono i Clostridi (Clostridium butyricum; C. sporigenes). Si tratta di batteri termofili che si sviluppano quando la massa raggiunge temperature di 40°C, si sviluppano in 2–3 settimane, sono acido sensibili, pertanto la loro azione si riduce quando il pH è minore di 4, fermentano gli zuccheri con produzione di acido butirrico (CH3-CH2-CH2-COOH) e (CO2) determinando perdite anche del 50%, altri microrganismi nocivi sono muffe e lieviti. Oggi l’industria mangimistica ha messo a disposizione degli allevatori degli integratori a base di farine di castagne e di orzo con aggiunta di sali di sodio e di calcio proprio per prevenire la formazione di questi agenti dannosi, la dose da utilizzare è di circa 300–500 gr per mq di silos, con l’accortezza di stoccare almeno 5 q di insilato per mc di silo e consentire la fermentazione almeno 1,5–2 mesi prima di utilizzare il prodotto.
Caratteristiche di un buon insilato
Un buono insilato deve possedere le seguenti caratteristiche:
colore non troppo diverso da quello del foraggio fresco;
integrità dei tessuti;
odore acidulo, gradevole, aromatico dell’essenza insilata;
azoto ammoniacale non più del 10% rispetto all’azoto totale;
azoto solubile inferiore al 50% della proteina grezza;
pH intorno a valori di 4,3 per le graminacee; 4,5 per le leguminose;
alcool etilico inferiore al 2% della sostanza secca;
acidi propionico e butirrico assenti o presenti in trace;
acido lattico:         7,5-9%;
acido acetico:        0,4-1%;
assenza di acido butirrico.

Il contenuto in acido lattico in un buon insilato dovrebbe costituire almeno il 7% della SS nelle graminacee, il 6% della SS nelle leguminose.
Gli insilati di graminacee possono essere realizzati subito al momento della raccolta, mentre per le leguminose, piante ricche di protidi e povere di zuccheri è consigliabile insilare dopo un pre appassimento in pieno campo, favorendo in tal modo lo sviluppo di batteri lattici, a scapito dei clostridi e riducendo nel contempo la perdita di sostanze organiche e secca della massa da insilare.
Il grado di appassimento del foraggio, fino al 35% di SS per le graminacee e i prati polititi ed oltre il 40–45% per le leguminose, è ottenibile lasciando l’erba sfalciata in campo da un paio di ore a circa due giorni, andando oltre aumenta il grado di appassimento con difficoltà successiva per l’insilamento divenendo la massa più dura e difficile da combattare con continui ricambi di aria e conseguente aumento di ammuffimenti e degradazioni per la conservazione.
Fieno Silo
Si intende la raccolta del foraggio appassito in campo fino ad un contenuto di sostanza secca del 35–40% per essere successivamentre conservato nei silos, oppure fasciato in balloni, in questo caso il contenuto di SS deve essere almeno del 50–60% per consentire durante lo stoccaggio la consistenza dei balloni. È questo un sistema ideale per le piccole e medie aziende per il risparmio dell’operazione non dovendo creare i sili a trincea, il prodotto è buono perché non bisogna trinciare con conseguente perdita di prodotto. Condizione necessaria per l’ottenimento dei risultati soddisfacenti è di sfalciare al giusto grado vegetativo. La fienagione in pieno campo deve garantire un contenuto di SS del 60%, imballarlo, comprimendo bene la massa, onde assicurare condizioni anaerobiche, favorendo la formazione di batteri lattice, a danno dei butirrici, assai dannosi.
Dopo l’imballaggio, la massa va fasciata con film plastico e conservata, è buona norma far consumare il prodotto prima possibile. Oltre alle balle di dimensioni contenute 3-5 q oggi esistono i silobags si tratta di contenitori in film plastico o meglio ancora biodegradabile di notevoli dimensioni di lunghezza fino a cento metri e diametro di 2-3 metri all’interno si possono conservare mais trinciato a 0,5-3 cm, orzo, farina umida di mais, granella umida di orzo. Questi insilati vanno consumati prima dagli animali onde avere perdite di prodotto con conseguente aumento dei costi di produzione della carne e del latte.
Le caratteristiche di un buon fieno silo sono le seguenti:
– odore gradevole, sapore acidulo aromatico, colore verde scuro o bruno dell’essenza;
– assenza di muffe;
– temperatura della massa pari a quella ambientale o leggermente superiore.
Epoca ottimale per il taglio delle foraggere da insilare
Spigatura incipiente           prati polititi e graminacee;
Inizio fioritura                  leguminose;
Maturazione latteo cerosa   cereali autunno vernini;
Maturazione cerosa avanzata mais.
Conservanti
Fino a pochi anni fa sulla massa da conservare, si aggiungevano sostanze conservanti. Trattasi di sostanze che abbassano il pH della massa, quindi selezionano la microflora utile da quella dannosa consentendo una maggiore conservazione dei foraggi e conseguentemente un più alto valore nutritivo, in passato, la sostanza, impiegata era l’acido formico (HCOOH) commercializzata in soluzione all’85% che per l’impiego andava diluita con acqua 1:2, e distribuita uniformemente sulla massa in ragione di 5 litri per quintale di prodotto fresco, oggi tale pratica è vietata dalla legge.
Inibitori delle fermentazioni
In passato, per evitare fermentazioni anomale della massa da conservare, si impiegavano sostanze apposite come l’aldeide formica (HCHO) (formalina) in dose di 60 gr/q di SS da insilare, ammoniaca (NH3), urea (NH2CONH2), bicarbonato d’ammonio (NH4HCO3). Il quantitativo di ammoniaca non doveva superare i 3 kg/q di SS, oggi l’impiego degli inibitori è vietato per legge.
Stimolatori della fermentazione
Di contro vengono impiegate sostanze che favoriscono certe fermentazioni utili a scapito di altre decisamente dannose. Infatti, per favorire la fermentazione lattica, inibendo lo sviluppo di batteri butirrici, si adopera il melasso o lo zucchero grezzo per uso zootecnico nella quantità di 20–30 kg per tonnellata di foraggio e l’aggiunta alla massa di additivi biologici a base proprio di batteri lattici nella quantità di 0,5 kg per tonnellata da insilare.
Trinciatura
È operazione indispensabile per la buona riuscita dell’insilato; è noto che più corta è la trinciatura dell’erba meglio si pressa la massa, l’operazione assicura anche una minore presenza di aria, favorisce la fuoriuscita del contenuto citoplasmatico fornendo un substrato idoneo alla fermentazione lattica. La lunghezza della trinciatura oscilla tra 0,5–3 cm a seconda dell’essenza foraggera (minore nel silomais) e del grado di umidità della massa (maggiore nei foraggi verdi).
Fioccatura
Consiste nel sottoporre le cariossidi (graminacee) per 10’ al vapore, successivamente schiacciate nello spessore di 1 mm.  Il trattamento aumenta la digeribilità dei cereali trattati, perché la cottura provoca la gelatinizzazione dell’amido che diviene più solubile indi, digeribile, lo schiacciamento aumenta la superficie di attacco per gli enzimi.  Questo trattamento non trova riscontro per i vitelli in svezzamento e per i bovini all’ingrasso, in tal caso è preferibile la somministrazione delle cariossidi intere che hanno lo stesso effetto, in più sui vitelli stimolano lo sviluppo del rumine (ginnastica funzionale).
Silo
I silos orizzontali vanno realizzati chiusi su tre lati con pavimento e pareti in conglomerato cementizio, la larghezza varia dai 3 agli 8 m, l’altezza oscilla da 1,80 a 2,50 m.  Si ricorda che un quintale di erba trinciata occupa mediamente 0,12–0,13 m3; la massa, onde favorire i processi fermentativi e di maturazione, preventivamente trinciata va opportunamente costipata e ricoperta con teli in PVC. L’insilato di mais è un alimento buono per preparare piatti unici o unifeed e per bovini all’ingrasso, per le vacche da latte occorre sapere qual è la destinazione del latte, perché è stato accertato che il latte proveniente da vacche alimentate con silo mais non è adatto per formaggi a lunga stagionatura (grana, parmigiano) in quanto l’alimento fa aumentare la carica microbica di Clostridi con ripercussioni negative sui formaggi perché i clostridi provocano il gonfiore tardivo.  Nell’alimentazione di questi animali una buona norma è la somministrazione massima 18–20 kg/capo/dì di insilato di mais per vacche in lattazione, per animali in asciutta, il quantitativo massimo non deve superare i 6–8 kg/capo/dì, onde evitare la SVG (sindrome della vacca grassa) e possibile Chetosi; per gli animali da rimonta (quelli che dovranno sostituire gli animali a fine carriera riproduttiva) se ne consigliano 4–8 kg/dì.
Da ricordare che il granturchino è mais da foraggio raccolto al momento dell’emissione delle infiorescenze maschili.
Mangimi concentrati
La produzione e la commercializzazione dei mangimi è regolamentata dalla L 281 del 1963, dalla L 399 del 1968 e dal DPR n. 152 del 1988 e successive modifiche e integrazioni.
I mangimi possono essere classificati in: semplici e composti.
Sia gli uni che gli altri devono possedere precise caratteristiche nutrizionali e non presentare ammuffimenti, parassiti, non essere contaminati da altre sostanze, né da terreno, né da polveri, avere un alto valore biologico ossia maggior contenuto di amminoacidi essenziali, questo indice è il rapporto tra la quantità di azoto trattenuto dall’organismo e l’azoto assorbito con gli alimenti.
Esempi di valori biologici di alcuni alimenti:
granella di mais ha un valore biologico di 60;
cariosside di grano ha un VB di 67;
crusca di grano ha un VB di 74.
Mais e Orzo
Il mais fra gli alimenti concentrati è sicuramente quello di maggior rilievo non solo per la larga diffusione ma anche per l’elevato potere nutritivo.
Infatti, la cariosside ha un elevato contenuto di amido, modesto, invece, è il contenuto di proteine (10%) e basso è anche il valore biologico infatti sono assenti gli amminoacidi indispensabili (lisina, metionina e cistina.)
Commercialmente le varietà possono essere suddivise in: tipo Yellow (seme dentato con endosperma farinoso), Plata (seme poco dentato con frattura semivitrea), Marano (seme non dentato con frattura vitrea).
L’orzo occupa il 4° posto come cereale dopo grano, riso e mais, è coltura adatta alle zone fresche del nord Europa, è più produttivo del frumento, avena, segale, triticale (grano e sagale).
Farina di estrazione di soia
La farina di estrazione di soia è il prodotto ottenuto dall’estrazione dell’olio dai semi di soia, è considerata la più completa fonte di proteine vegetali dall’elevato valore biologico (contiene elevate percentuali di lisina e triptofano). Il trattamento termico, detto tostatura (30 minuti a 100°C) subito dal prodotto durante le fasi di lavorazione ne distrugge i fattori antitripsici aumentando la disponibilità degli aminoacidi indispensabili.
Altra caratteristica importante è data dall’elevato tenore di lecitina, un composto in grado di svolgere funzioni di veicolo della Vitamina (A), di apportare fosforo organico e colina.
Viene impiegata nelle razioni ad elevato apporto energetico come correttivo proteico, particolarmente indicata per la dieta degli animali da latte, per quelli da carne e per il pollame. Il valore nutitivo è il seguente:
SS 90,4%; PG 45,7%; PD 42%; Estrattivi Inazotati 31,45%; Fibra Grezza 8%; Ceneri 6,1%.
Erba medica disidratata e Farina di medica
Il trattamento col calore permette oltre al mantenimento integrale delle proteine e dei minerali, la disponibilità di notevole quantità di beta carotene (vit. A), il calore aumenta la quantità di proteine indegradabili dal rumine quindi l’alimento è ideale per le bovine BLAP (bovine da latte ad alta produzione).  L’erba così trattata può essere macinata con molini agricoli ottenendo la farina di medica assai appetibile dagli animali e altamente nutritiva per l’alto contenuto di sostanze proteiche ed energetiche.
Semi integrali di cotone e soia
Questi mangimi abbinano un alto tenore proteico ed energetico perché ricchi di olio, questi semi possono venire somministrati interi oppure dopo schiacciatura o fioccatura. Le quantità da impiegare nella razione sono legate al mantenimento di un’efficiente attività microbica ruminale, in quanto il raggiungimento del 5-7% di lipidi grezzi nella dieta può diminuire l’utilizzazione digestiva degli alimenti.
Sottoprodotti industriali
Polpa di bietole, melasso, trebbia (lavorazione della birra), latticello, siero, panelli della lavorazione delle olive (alto contenuto proteico) farine di estrazione, residui dei semi di soia, girasole, arachidi, cotone, colza, ravizzone, lino, lievito di birra.
N.B. Gli alimenti impiegati per le lattifere non devono esplicare azione anticasearia; occorre evitare foraggi che agiscono negativamente sull’odore del latte, es: colza, ravizzone, bietola (foglie), fieno greco, foglie di gelso, semi di veccia, fava, polpe di bietola, farinaccio di riso, vinacce, graspi e vinaccioli, finocchi, cavolfiori, cavoli, rape ed altre crocifere, bucette e semi di pomodori, sansa di olive, pastazzo di agrumi. Infatti è certo che il grasso del latte trattiene facilmente le sostanze aromatiche provenienti dai foraggi, dall’aria di stalla, dai sili, dalle medicine e dai disinfettanti. Per tale ragioni oltre a non somministrare gli alimenti sopra elencati va evitata la somministrazione di prodotti avariati, di cattiva qualità, ammuffiti.

Giuseppe Accomando, laureato in Scienze agrarie presso l’Università Federico II di Napoli, già docente di zootecnica. Curriculum vitae >>>

Libro Accomando

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