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Ni­ko­laas Tin­ber­gen (1907-1988) Pre­mio Nobel Per la Me­di­ci­na e Fi­sio­lo­gia nel 1973 in com­par­te­ci­pa­zio­ne con Kon­rad Lo­renz e Karl von Fri­sch

di Giu­lia­no Rus­si­ni

Ni­ko­laas Tin­ber­gen (per i suoi amici e col­le­ghi Niko), fa parte di quei bio­lo­gi che hanno in­fluen­za­to in­te­re ge­ne­ra­zio­ni di gio­va­ni in tutto il mondo, in­vo­glian­do­li a iscri­ver­si a Scien­ze Bio­lo­g­i­che per di­ven­ta­re eto­lo­gi o zoo­lo­gi; il suo fa­sci­no lo eser­ci­tò per de­ci­ne di anni sin dalla se­con­da metà del se­co­lo scor­so gra­zie alle de­ci­ne di libri scien­ti­fi­ci e di­vul­ga­ti­vi che pub­bli­cò nel set­to­re della zoo­lo­gia com­pa­ra­ta e del­l’e­to­lo­gia, di cui ne fu uno dei mas­si­mi espo­nen­ti in­sie­me ad altri bio­lo­gi na­tu­ra­li­sti come Kon­rad Lo­renz, Karl von Fri­sch -con i quali con­di­vi­se nel 1973 il pre­mio Nobel per la Me­di­ci­na e la fi­sio­lo­gia- che come ci­ta­to nel gior­no delle pre­mia­zio­ne dal co­mi­ta­to scien­ti­fi­co di Stoc­col­ma venne as­se­gna­to: ”…per i loro fon­da­men­ta­li e pio­nie­ri­sti­ci studi sul com­por­ta­men­to com­pa­ra­to ani­ma­le in Na­tu­ra, che stan­no aven­do fon­da­men­ta­li ri­ca­du­te in psi­chia­tria e psi­co­lo­gia per la com­pren­sio­ne di quel­lo umano…” (scien­ti­fic com­mit­te, Nobel Prize 1973).
Tra le sue opere più fa­mo­se, ci sono libri come “Lo stu­dio del­l’I­stin­to, del 1951”, “Il com­por­ta­men­to so­cia­le degli ani­ma­li, del 1968” e “Se­gna­li per so­prav­vi­ve­re, del 1976” que­sto ul­ti­mo fu anche og­get­to di un do­cu­men­ta­rio di gran­de va­lo­re scien­ti­fi­co.
Niko Tin­ber­gen nac­que in Olan­da nel 1907 ebbe cin­que fra­tel­li, uno dei quali vinse il pre­mio Nobel per l’E­co­no­mia, Jan Tin­ber­gen.
Sin da pic­co­lo, come spes­so ac­ca­de nella vita di que­sti gran­di bio­lo­gi, mo­strò un for­tis­si­mo in­te­res­se per la bio­lo­g­ia, in­te­res­san­do­si di ani­ma­li (in­set­ti, pesci, ret­ti­li, uc­cel­li) e pian­te, da ado­le­scen­te co­struì una serra nella quale col­ti­va­va de­ci­ne di spe­cie di­ver­se di pian­te fio­ri­fe­re, al­cu­ne aven­ti una ori­gi­ne geo­gra­fi­ca di paesi del­l’e­stre­mo Orien­te, ot­te­nu­te da semi, ri­zo­mi e bulbi che ac­qui­sta­va da ap­po­si­ti vivai.
Entrò al­l’U­ni­ver­si­tà di Leida dove stu­diò bio­lo­g­ia sotto il bio­lo­go Jan Ver­wey, che lo in­di­riz­zò allo stu­dio del com­por­ta­men­to ani­ma­le.
I suoi studi sul com­por­ta­men­to ani­ma­le fu­ro­no su­bi­to bril­lan­ti, ma so­prat­tut­to ca­rat­te­riz­za­ti dal fatto che sa­pe­va ri­sol­ve­re pro­ble­mi e dare ri­spo­ste a que­stio­ni ri­guar­dan­ti la bio­lo­g­ia del com­por­ta­men­to ani­ma­le, con espe­ri­men­ti sem­pli­ci; ap­pe­na lau­rea­to in bio­lo­g­ia, gli fu as­se­gna­to il com­pi­to di ca­pi­re se il pesce gatto fosse, come gli zoo­lo­gi e gli it­tio­lo­gi di al­lo­ra (erano gli anni ’30 del 900) cre­de­va­no, sordo.
Niko T. pro­get­tò un espe­ri­men­to molto sem­pli­ce per ri­sol­ve­re il pro­ble­ma, as­so­ciò l’at­to di la­scia­re ca­de­re dei fram­men­ti di carne -quan­do il pesce era lon­ta­no e non po­te­va ve­de­re- (il pesce gatto nero (Ame­iu­rus melas) è una spe­cie car­ni­vo­ra)) nel­l’ac­qua del­l’ac­qua­rio ove era pre­sen­te, con il suono di poche note di un flau­to, il tutto senza che il pesce lo ve­des­se per­ché na­sco­sto, il pesce si av­vi­ci­na­va alla su­per­fi­cie per man­gia­re la carne; dopo al­cu­ne ses­sio­ni (in gergo tec­ni­co dette di abi­tua­zio­ne), suonò sem­pli­ce­men­te il flau­to, ma non som­mi­ni­strò la carne e il pesce si av­vi­ci­nò co­mun­que al pelo del­l’ac­qua in­ten­to a man­gia­re la carne che non trovò.
Tale espe­ri­men­to di­mo­strò che non l’o­do­re, non la vista, ave­va­no per­mes­so tale as­so­cia­zio­ne, ma il suono del flau­to per­ce­pi­to dal pesce as­so­cia­to alla som­mi­ni­stra­zio­ne di carne, di­mo­stran­do che il pesce gatto non è sordo ma ci sente be­nis­si­mo.

Uno dei libri di Timbergen
Fo­to-1:
Uno dei ce­le­bri libri di Niko Tin­ber­gen

Di­ven­ne poi al­lie­vo di Kon­rad Lo­renz e passò un anno di la­vo­ro e ri­cer­ca negli USA; allo scop­pio delle Se­con­da Guer­ra Mon­dia­le, venne im­pri­gio­na­to per due anni in un campo di con­cen­tra­men­to, da cui riu­scì a sal­var­si.
Dopo la fine della se­con­da Guer­ra Mon­dia­le passò un altro anno negli USA, per poi sta­bi­lir­si de­fi­ni­ti­va­men­te in In­ghil­ter­ra di­ven­tan­do pro­fes­so­re di Zoo­lo­gia Com­pa­ra­ta e di Eto­lo­gia alla Ox­ford Uni­ver­si­ty.
Qui, Tin­ber­gen, fece le sue prin­ci­pa­li sco­per­te, sull’”Istin­to ani­ma­le”, sulla “Vita so­cia­le degli ani­ma­li”, sullo “Sca­te­na­men­to dei Mec­ca­ni­smi In­na­ti” fa­mo­so in in­gle­se come “In­na­te Re­lea­sing Me­cha­ni­sm” e sulla “Teo­ria Mo­ti­va­zio­na­le” che gli val­se­ro il pre­mio Nobel per la Me­di­ci­na e Fi­sio­lo­gia nel 1973.

Timbergen durante uno dei suoi esperimenti
Fo­to-2:
N. Tin­ber­gen, men­tre sta pre­pa­ran­do su campo uno dei suoi espe­ri­men­ti con spe­cie di uc­cel­li af­fe­ren­ti alla fa­mi­glia dei La­ri­dae (gab­bia­ni)

Modello funzionale proposto da Timbergen
Fo­to-3:
Mo­del­lo fun­zio­na­le pro­po­sto da Tin­ber­gen al Con­gres­so In­ter­na­zio­na­le di “Zoo­lo­gia ed Eto­lo­gia Com­pa­ra­ta” del 1967 negli USA, sulla sua Teo­ria dello “Sca­te­na­men­to dei Mec­ca­ni­smi In­na­ti”.

Fino ad esso per sommi capi, ho de­scrit­to il Tin­ber­gen più noto.
Pochi sanno però che il bio­lo­go eto­lo­go olan­de­se, verso la fine della sua car­rie­ra, si in­te­res­sò allo stu­dio dei “bam­bi­ni au­ti­sti­ci”.
Que­sto in­te­res­se nac­que in N.​Tinbergen poi­ché da bio­lo­go non po­te­va igno­ra­re la sof­fe­ren­za umana, cor­re­lan­do le sue co­no­scen­ze nel ten­ta­ti­vo di al­le­viar­le e nello spe­ci­fi­co da eto­lo­go, di cer­ca­re di uti­liz­za­re le sue co­no­scen­ze ac­cu­mu­la­te in quasi cin­quan­ta anni di ri­cer­ca e la­vo­ro su campo con tante spe­cie ani­ma­li dif­fe­ren­ti, per cer­ca­re di al­le­via­re un male, che pur­trop­po fa muo­ve­re nel buio e nella so­li­tu­di­ne, i cuc­cio­li af­fe­ren­ti alla spe­cie umana “Homo sa­piens” ap­pun­to l’au­ti­smo.
La mo­glie di Tin­ber­gen, Eli­sa­be­th, era una psi­co­lo­ga cli­ni­ca che stu­dia­va i bam­bi­ni au­ti­sti­ci da anni, ma era molto sco­rag­gia­ta nel ve­de­re che le te­ra­pie psi­co­lo­gi­che, oc­cu­pa­zio­na­li e lo­go­pe­di­che ap­pli­ca­te fino a quel mo­men­to (se­con­da metà degli anni ’70, ini­zio degli anni ’80 del ‘900) da tutti gli psi­chia­tri, psi­co­lo­gi cli­ni­ci, te­ra­pi­sti oc­cu­pa­zio­na­li, lo­go­pe­di­sti e altri ope­ra­to­ri socio sa­ni­ta­ri, non da­va­no in alta per­cen­tua­le i ri­sul­ta­ti spe­ra­ti, per quan­to ri­guar­da la com­po­nen­te lu­di­ca, so­cia­le e ver­ba­le in que­sti bam­bi­ni.
N.​Tinbergen, si av­vi­ci­nò allo stu­dio di que­sti bam­bi­ni sfor­tu­na­ti con l’ap­proc­cio del bio­lo­go eto­lo­go e l’e­spe­rien­za di chi aveva stu­dia­to nei mi­ni­mi det­ta­gli, mo­vi­men­ti e com­por­ta­men­ti du­ran­te tutti i loro pro­ces­si ma­tu­ra­ti­vi, nei cuc­cio­li (prole) ani­ma­li af­fe­ren­ti a de­ci­ne di spe­cie di ver­te­bra­ti dif­fe­ren­ti (pesci, uc­cel­li, mam­mi­fe­ri, com­pre­si i pri­ma­ti).
In par­ti­co­la­re i suoi studi pas­sa­ti, che lo por­ta­ro­no a de­fi­ni­re il con­cet­to dei “Mec­ca­ni­smi Sca­te­nan­ti In­na­ti” negli ani­ma­li dagli in­ver­te­bra­ti (in­set­ti), ver­te­bra­ti (pesci, uc­cel­li e mam­mi­fe­ri), quei mec­ca­ni­smi che per un de­ter­mi­na­to se­gna­le am­bien­ta­le (co­lo­re dei fiori, cam­bio di tem­pe­ra­tu­ra am­bien­ta­le e so­stan­ze or­mo­na­li di­sper­se nel­l’am­bien­te con urine e feci, o ghian­do­le ester­ne), in­ne­sca­no fe­no­me­ni di ri­cer­ca del cibo, ac­cop­pia­men­to ses­sua­le, lotta, fino ad ela­bo­ra­re la “Teo­ria Mo­ti­va­zio­na­le” se­con­do la quale sem­pre per sti­mo­li am­bien­ta­li i cuc­cio­li (o prole) ven­go­no mo­ti­va­ti al­l’at­ten­zio­ne e a im­pa­ra­re dai ge­ni­to­ri, vedi il volo negli uc­cel­li ad esem­pio, o a cat­tu­ra­re prede per nu­trir­si im­pa­ran­do le tec­ni­che di cac­cia, vedi leoni e fe­li­ni in ge­ne­ra­le, o i ra­pa­ci, lo por­ta­ro­no ad ela­bo­ra­re una Teo­ria molto au­da­ce sulle pos­si­bi­li cause (e quin­di a pro­por­re mo­del­li te­ra­peu­ti­ci) del­l’au­ti­smo nei bam­bi­ni, la Teo­ria del fe­no­me­no “PSI­CO­GE­NO” nel bam­bi­no au­ti­sti­co, se­con­do cui danni emo­zio­na­li a pochi mesi di vita post na­ta­le (dagli 0 ai 3-4 mesi di vita) nel bam­bi­no, sono la causa sca­te­nan­te l’au­ti­smo e la cura può av­ve­ni­re con pro­to­col­li ge­stua­li ma non ver­ba­li, o me­glio, parte della cura.
L’au­ti­smo in­fan­ti­le è con­si­de­ra­to fino a oggi una delle ma­lat­tie più enig­ma­ti­che e in­trat­ta­bi­li che ci siano: dif­fu­sis­si­mo è in­fat­ti il luogo co­mu­ne che sia pres­so­ché im­pos­si­bi­le vin­ce­re la re­si­sten­za che tutti i bam­bi­ni au­ti­sti­ci op­pon­go­no ini­zial­men­te a ogni ten­ta­ti­vo di en­tra­re in con­tat­to con loro. Niko Tin­ber­gen pro­po­se quin­di in base al­l’e­spe­rien­za cli­ni­ca della mo­glie Eli­sa­be­th, una via nuova e au­da­ce cam­bian­do pa­ra­dig­ma, ov­ve­ro in­tro­du­cen­do il me­to­do del­l’E­to­lo­gia com­pa­ra­ta (un po’ come quan­do nac­que l’E­to­lo­gia come ma­ni­fe­sto scien­ti­fi­co, ove la Na­tu­ra e gli ha­bi­tat dove vi­vo­no gli ani­ma­li, sono il la­bo­ra­to­rio dove stu­diar­li, senza in­trap­po­lar­li in gab­bie): os­ser­va­re con at­ten­zio­ne mi­nu­zio­sa e pro­lun­ga­ta ogni sin­go­lo aspet­to del com­por­ta­men­to di que­sti bam­bi­ni, per poi ela­bo­ra­re una te­ra­pia del­l’au­ti­smo che si basi su al­cu­ni prin­cì­pi del­l’e­to­lo­gia com­pa­ra­ta. Se­con­do N.​Tinbergen, so­ste­ni­to­re in­sie­me alla mo­glie del­l’o­ri­gi­ne psi­co­ge­na del­l’au­ti­smo, il danno emo­zio­na­le che il bam­bi­no au­ti­sti­co ha su­bì­to nei pri­mis­si­mi mesi di vita (ad esem­pio per un rap­por­to anaf­fet­ti­vo della madre per pro­ble­mi psi­co­lo­gi­ci e psi­chia­tri­ci, o per droga e al­co­li­smo, o per la per­di­ta della madre in que­sta fa­scia di età), può es­se­re ri­pa­ra­to sol­tan­to con in­ter­ven­ti te­ra­peu­ti­ci di­ver­si­fi­ca­ti, ma fon­da­ti sul gesto o co­mun­que sul­l’e­spres­sio­ne non ver­ba­le; il tocco, la ge­stua­li­tà, l’ab­brac­cio, il con­tat­to cor­po-cor­po, mi­ra­no a re­stau­ra­re, at­tra­ver­so una vera e pro­pria si­mu­la­zio­ne non priva di mo­men­ti al­ta­men­te dram­ma­ti­ci, il rap­por­to af­fet­ti­vo che, in con­di­zio­ni nor­ma­li e Na­tu­ra­li, si in­stau­ra fra “la madre e il suo bam­bi­no in fasce”.
Solo dopo che sarà stato ri­sta­bi­li­to que­sto equi­li­brio emo­ti­vo fon­da­men­ta­le e pri­mi­ge­nio, si potrà ini­zia­re l’ap­pren­di­men­to delle abi­li­tà ma­nua­li, fi­si­che e delle pre­sta­zio­ni di tipo lu­di­co, lin­gui­sti­co-ver­ba­le e so­cia­le nel bam­bi­no, su cui si in­cen­tra­no le te­ra­pie cor­ren­ti del­l’au­ti­smo, con ri­sul­ta­ti assai scon­so­lan­ti se man­can­ti ap­pun­to, di quel pas­sag­gio pri­mor­dia­le “in­di­spen­sa­bi­le” che è il re­cu­pe­ro tra­mi­te con­tat­to fi­si­co, ge­stua­le e non ver­ba­le, del rap­por­to ma­dre-fi­glio, che N.​Tinbergen pro­po­se.
Da que­sti studi Niko Tin­ber­gen e la mo­glie Eli­sa­be­th pro­dus­se­ro un libro sen­sa­zio­na­le nel 1984, che è la prova più in­no­va­ti­va e au­to­re­vo­le fi­no­ra esi­sten­te nel campo del­l’e­to­lo­gia umana.
Im­men­sa è la ric­chez­za di os­ser­va­zio­ni eto­lo­gi­che com­pa­ra­te che N.​Tinbergen uti­liz­zò e in­sie­me a esse i co­niu­gi Tin­ber­gen ten­ta­ro­no di pro­por­re una teo­ria e un pro­to­col­lo pra­ti­co che possa aiu­ta­re chi si muove nel­l’o­scu­ri­tà, in­di­vi­duan­do una te­ra­pia per una delle ma­lat­tie più pe­no­se che co­no­scia­mo.
Pre­zio­si fu­ro­no anche i con­si­gli pra­ti­ci che i Tin­ber­gen espo­se­ro per chiun­que, ge­ni­to­ri ed edu­ca­to­ri, abbia a che fare con bam­bi­ni au­ti­sti­ci.

Uno dei libri di Tinbergen

Bi­blio­gra­fia:

  • Func­tion and Evo­lu­tion in Be­ha­viour: Es­says in Ho­nour of Pro­fes­sor Niko Tin­ber­gen, 1976
  • Bam­bi­ni Au­ti­sti­ci, Niko Tin­ber­gen, Eli­sa­be­th A. Tin­ber­gern, 1984

Giu­lia­no Rus­si­ni è lau­rea­to in Scien­ze Bio­lo­g­i­che in­di­riz­zo Bo­ta­ni­ca ap­pli­ca­ta, per­fe­zio­na­men­to in bo­ta­ni­ca am­bien­ta­le e Fi­to­pa­to­lo­gia, igie­ne e eco­lo­gia ur­ba­na.

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