Il mutamento del corso dei fiumi e la proprietà dei fondi agrari rivieraschi: accessione fluviale e sdemanializzazione
di Edoardo Alterio
Premessa
Nel paesaggio rurale italiano è comune il concentrarsi di molte proprietà agrarie lungo il corso medio e inferiore dei grandi fiumi. Tali proprietà sono il risultato del dissodamento di terre, spesso in origine silvane, la cui fertilità è stata storicamente garantita dalle inondazioni fluviali. Il connubio fiume-fondi agrari rivieraschi si fonda su una contrapposizione fisico-amministrativa assai evidente: alla proprietà fondiaria l’uomo ha affidato una struttura granitica mediante suddivisione particellare espressa attraverso il catasto dei terreni; il fiume invece è morfologicamente attivo e muta la sua forma potendo invadere fondi rivieraschi di proprietà privata o da questi allontanarsi. Questo contesto naturale e amministrativo si arricchisce poi di un caposaldo giuridico per cui la proprietà fluviale è di natura demaniale (Codice civile). Il presente articolo è dedicato all’analisi di alcune fattispecie di mutamento del corso dei fiumi e della loro influenza sull’alterazione della proprietà dei fondi rivieraschi analizzando le relative norme giuridiche.
I processi di morfologia fluviale e il diritto di proprietà lungo i corsi d’acqua
I corsi d’acqua per loro natura tendono ad una serie di trasformazioni morfologiche. Tra queste trasformazioni sono spesso ricorrenti quelle che subisce l’alveo, la regione fluviale di forma concava occupata dall’acqua che scorre in un fiume. Questa costituente variabilità morfologica fa sì che l’assetto e la delimitazione reciproca delle diverse proprietà lungo un corso d’acqua possano conformarsi a processi naturali oltre che a processi sociali ed economici (compravendita). A questo aspetto si aggiunge poi il fatto che il legislatore riconosce la necessità di includere alcune porzioni della regione fluviale all’interno del vasto complesso del patrimonio demaniale, contribuendo così a modellare un articolato mosaico di diverse tipologie di unità dominicali i cui confini sono per natura precari, poiché poggianti su un paesaggio strutturalmente mutevole. Anche se non rientra pienamente nella categoria delle trasformazioni morfologiche fluviali, un primo processo che influenza la conformazione delle proprietà lungo i corsi d’acqua è la variazione della portata idraulica in alveo. Con ciclicità annuale o maggiore, un corso d’acqua può mutare la sua portata in ragione della disponibilità idrica nel proprio bacino. A periodi di magra si alternano periodi di piena. Le variazioni di portata inducono variazioni dell’estensione dell’alveo in quanto nei momenti di piena la sezione occupata dalle acque è maggiore, viceversa, nei momenti di magra, minore. La questione della variabilità della sezione occupata dall’alveo è giuridicamente rilevante in quanto l’alveo è la regione fluviale con cui viene identificato il demanio pubblico. L’articolo 822 del Codice civile dispone infatti che i fiumi fanno parte del demanio pubblico e appartengono quindi allo Stato. Poiché elencati nel primo comma dell’articolo 822, i fiumi si annoverano nel cosiddetto demanio naturale o necessario: il complesso dei beni necessari a soddisfare interessi pubblici e che debbono necessariamente appartenere allo Stato. Per definire in modo univoco i confini dell’alveo, e quindi del demanio naturale di un fiume, si fa riferimento alla circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 780 del 28 febbraio 1907. Nella circolare si identifica il limite dell’alveo fluviale appartenente al demanio pubblico con quello corrispondente al livello di piena ordinaria, vale a dire quel livello che l’acqua raggiunge nel 75% delle osservazioni idrologiche disponibili. Invece, le sponde e le rive esterne possono appartenere a proprietari privati. Questi terreni, definiti anche fondi rivieraschi, possono ancora ricadere nella regione fluviale e ricoprire tutta la restante piana inondabile, che solitamente è occupata dalle acque con tempi di ritorno tipici delle piene straordinarie.
I processi geomorfologici fluviali veri e propri sono quei processi che interessano il flusso e la stabilizzazione di sedimenti in grado di alterare le forme dell’alveo di un fiume. Si tratta di processi di lungo termine che pongono questioni autorevoli all’attenzione del legislatore e del tecnico. Questi sono infatti i processi che possono comportare variazioni del corso dell’alveo, della sua forma e del suo tracciato, e quindi sconvolgere l’attuale mosaico catastale basato, come si diceva, sulla prossimità di superfici demaniali non particellate e mappali catastali di proprietà privata. In particolare, le variazioni morfologiche dell’alveo possono originare mutazioni nella relazione spaziale reciproca che intercorre tra diverse proprietà private o tra proprietà privata e superficie demaniale. Tipico istituto cui possono dar origine i processi morfologici dell’alveo è l’accessione, particolare modo di acquisto della proprietà a titolo originario. L’accessione fluviale, nello specifico, si concretizza come un peculiare caso di accessione orizzontale di cosa immobile a cosa immobile. Le modalità con cui può aver legittimità l’accessione fluviale sono normate dagli articoli 941, 942, 944 e 946 del Codice civile (Tab. 1), che disciplinano, rispettivamente, le fattispecie dell’alluvione propria, dell’alluvione impropria, dell’avulsione e dell’inalveamento del letto di un fiume.
La fattispecie dell’alluvione propria (Fig. 1 a) riguarda la relazione tra un fondo privato rivierasco e l’alveo demaniale. La fattispecie si concretizza in caso di incremento di uno o più fondi rivieraschi per via delle continue ed impercettibili apposizioni di sedimento fluviale lungo gli originari confini del fondo. L’alluvione impropria (Fig. 1 b), invece, riguarda la relazione tra due diversi ed opposti fondi privati rivieraschi e l’alveo demaniale. Si tratta sempre dell’incremento di terra di un fondo rivierasco, verificatosi ancora in maniera continua ed impercettibile, ma a causa dello spostamento trasversale dell’alveo che quindi, mantenendo la stessa superficie e sezione, occupa parte di un altro fondo privato posto sulla riva opposta. La fattispecie dell’avulsione (Fig. 1 c) riguarda la relazione tra due diversi fondi privati rivieraschi. In questo caso l’incremento di terra subito da un fondo rivierasco avviene per distacco di una porzione consistente di un altro fondo rivierasco sotto l’azione cinematica delle acque. Verosimilmente, il fondo che guadagna la porzione di terra è posto a valle del fondo che perde la porzione di terra. Infine, la fattispecie dell’alveo abbandonato (Fig. 1 d) riguarda, come nel caso dell’alluvione impropria, la relazione tra due diversi ed opposti fondi privati rivieraschi e l’alveo demaniale. La fattispecie si concretizza nel caso in cui il fiume, cambiando (in maniera repentina o lenta ed impercettibile) il proprio corso, lascia asciutto il suo vecchio alveo. I due fondi privati rivieraschi si trovano quindi ad essere uniti da una lingua di terreno asciutto e non più separati dalle acque.
L’accessione tra privati e l’accessione per sdemanializzazione nel Codice civile
Come abbiamo visto, il complesso dell’accessione fluviale è normato nel Codice civile dagli articoli 941, 942, 944 e 946 (Tab. 1). Gli articoli 941 e 944 normano il caso di accessione di un proprietario privato senza coinvolgimento diretto del demanio pubblico. In questo caso l’alveo si comporta da vettore di sedimenti o porzioni di terreno che vanno ad arricchire il fondo rivierasco di un proprietario privato. Nel caso dell’alluvione propria, infatti, l’aumento di terreno avviene per deposito di sedimento in maniera lenta ed impercettibile, mentre nel caso dell’avulsione l’aumento di terreno di un proprietario privato avviene a scapito di un altro proprietario privato. In entrambi i casi, la normativa vigente prevede che il proprietario di un fondo rivierasco può diventare titolare del terreno acquisito sia per alluvione propria, sia per avulsione, con adempimenti diversi a seconda della fattispecie (vedi Tabella 1). Questi articoli non hanno subito variazioni nel caso dell’aggiornamento giuridico avvenuto nel 1994 di cui si dirà di qui a breve.
Casi giuridicamente più interessanti sono invece quelli che riguardano l’accessione che coinvolge il demanio pubblico, nelle fattispecie dell’alluvione impropria e dell’alveo abbandonato. Nella loro versione originaria, quella del Codice del 1944, l’impostazione degli articoli 942 e 946 era orientata a favore del proprietario privato. Gli articoli prevedevano che l’alveo denudato, di demanio pubblico fino a quando coperto stabilmente dalle acque, venisse acquisito dai proprietari dei fondi rivieraschi. Così, per quanto riguarda l’alluvione impropria, l’articolo 942 (Tab. 1) prevedeva che “il terreno abbandonato dall’acqua corrente” appartenesse “al proprietario della riva scoperta, senza che il confinante della riva opposta” potesse “reclamare il terreno perduto”; mentre per il caso dell’alveo abbandonato, secondo l’articolo 946 (Tab. 1), il letto denudato dalle acque sarebbe dovuto spettare “ai proprietari confinanti con le due rive” che se lo sarebbero diviso “fino al mezzo del letto medesimo, secondo l’estensione della fronte del fondo di ciascuno”. L’accessione si costituiva quindi per effetto del decadimento della natura demaniale del terreno abbandonato dalle acque. Tale fenomeno, noto col termine di sdemanializzazione, si configurava in maniera tacita ed automatica. L’impostazione degli articoli sopraccitati è mutata radicalmente a seguito della novella introdotta con la legge n. 37 del 5 gennaio 1994. Tale legge ha introdotto un principio, potremmo dire, conservativo nei riguardi della demanialità dell’alveo ancorché esso sia soggetto a fenomeni di abbandono dalle acque, escludendo, di fatto, la sdemanializzazione tacita.
Un aspetto cruciale che riguarda la novella introdotta con la legge n. 37 del 1994 è la presenza o meno di efficacia retroattiva. La giurisprudenza ha infatti sancito che le modifiche introdotte con la novella non sono retroattive. Secondo l’interpretazione data, la retroattività, in tal caso, fa riferimento alla variazione morfologica dell’alveo. Così, se il fenomeno di abbandono dalle acque si è verificato prima dell’entrata in vigore della legge del 1994, le modifiche introdotte dalla novella non sono applicabili e sussistono ancora gli estremi per esercitare la sdemanializzazione tacita. Viceversa, se il fenomeno di abbandono dalle acque si è verificato dopo l’entrata in vigore della novella, il proprietario del fondo rivierasco non può avvalersi della sdemanializzazione e il terreno abbandonato dalle acque rimane nel complesso del demanio idrico.
L’accessione nel caso dei mutamenti fluviali avvenuti per cause antropiche
Il quadro sopra esposto diventa lievemente più articolato nel caso di mutamenti fluviali causati artificialmente dall’uomo, volontariamente o involontariamente. In questa situazione è possibile richiamare un altro articolo facente parte del complesso di norme del Codice civile dedicate all’accessione fluviale: l’articolo 947. Nella formulazione precedente all’entrata in vigore della novella del 1994, l’articolo 947 esprimeva l’inapplicabilità delle disposizioni contenute negli articoli 941, 942 e 946 nel caso di mutamenti fluviali derivanti da attività antropiche quali il regolamento del corso dei fiumi, le bonifiche e simili azioni. L’articolo escludeva quindi la possibilità di accessione sia di terreno acquisito in maniera lenta e impercettibile, per alluvione propria e a norma dell’articolo 941, sia di terreno abbandonato dalle acque e quindi mediante sdemanializzazione tacita. In quest’ultimo caso però, l’esclusione della sdemanializzazione tacita non precludeva la possibilità di acquisto della titolarità per mezzo di altri istituti giuridici. Infatti, come ribadito dalla Corte di Cassazione, Sezione II, con sentenza n. 2608 del 2007, nel caso di mutamenti fluviali causati artificialmente e causanti fenomeni di alluvione impropria o di alveo abbandonato (e ovviamente avvenuti prima del 1994), il terreno reliquato sarebbe escluso dal demanio fluviale per entrare nel patrimonio disponibile dello Stato. In questo modo il bene può essere ceduto per alienazione o usucapione. Non di rado, infatti, dimostrato il mutamento fluviale come causa dell’azione dell’uomo, si è potuto procedere comunque alla cessione del terreno reliquato verso un privato, non più per sdemanializzazione tacita ma per effetto degli istituti pocanzi menzionati.
Con l’aggiornamento normativo avvenuto con la legge n. 37 del 1994 si è riordinata anche questa questione. La nuova formulazione dell’articolo 947 chiarisce infatti che “le disposizioni degli articoli 942 […] e 946 si applicano ai terreni comunque abbandonati sia a seguito di eventi naturali che per fatti artificiali indotti dall’attività antropica […]”. In questo modo si ribadisce la permanenza nel demanio fluviale dei terreni denudati per effetto di alluvione impropria o di alveo abbandonato anche siano essi causati dall’uomo. Si esclude quindi la possibilità di migrazione nel patrimonio disponibile dello Stato. Viene conservata anche l’inapplicabilità della disposizione contenuta nell’articolo 941 nel caso in cui l’alluvione propria sia causata dall’azione antropica.
Conclusioni
La volontà di discutere dell’accessione fluviale, tema eminentemente giuridico, in una rivista di agraria è valida per due motivi. In primo luogo, come si è detto nella premessa, le fattispecie discusse coinvolgono, hanno coinvolto e coinvolgeranno nel tempo, diversi fondi agrari situati nelle pertinenze o in riviera del corso dei fiumi. Ciò è dovuto, come si è detto, alla natura stessa del paesaggio agrario italiano nel quale, in maniera non diversa da quanto è in altri stati europei e mondiali, molte proprietà agrarie si trovano a stretto contatto con i sistemi fluviali e con la loro mutevole morfologia. In secondo luogo, è chiaro che l’avvalersi o meno dell’istituto dell’accessione pone le basi per la nascita e il proliferare di contenzioni giuridici tra privati o tra privati e amministrazioni pubbliche che rappresentano i beni demaniali. Qui l’agronomo potrà far valere le proprie conoscenze tecniche, specie quelle sull’uso dei sistemi di informatica spaziale, geografica e territoriale. Ad esempio, l’accertamento del verificarsi di un fenomeno di mutamento dell’alveo prima o dopo il 1994 potrà essere effettuato mediante l’applicazione forense di tecniche GIS e la consultazione di fotogrammi aerei storici. In casi complessi, tuttavia, questa attività dovrebbe essere sostenuta da valide conoscenze ingegneristiche e riguardanti il sistema fisico e dinamico dei fiumi.
Tab. 1. Il Complesso dell’accessione fluviale è normato nel Codice civile dagli articoli 941, 942, 944, 946 e 947. Nella tabella vengono presentati nella loro versione precedente (Testo originario) e successiva (Testo modificato) alla novella avvenuta con la legge n. 37 del 5 gennaio 1994.
Fig. 1. Vengono raffigurati in maniera schematica le fattispecie dell’alluvione propria (a), caso di incremento di uno o più fondi rivieraschi per via delle continue ed impercettibili apposizioni di sedimento fluviale lungo gli originari confini del fondo; dell’alluvione impropria (b), caso di incremento di terra di un fondo rivierasco, verificatosi ancora in maniera continua ed impercettibile, ma a causa dello spostamento trasversale dell’alveo che quindi, mantenendo la stessa superficie e sezione, occupa parte di un altro fondo privato posto sulla riva opposta; dell’avulsione (c), caso di incremento di terra subito da un fondo rivierasco per distacco di una porzione consistente di un altro fondo rivierasco sotto l’azione cinematica delle acque; dell’alveo abbandonato (d), caso in cui il fiume, cambiando (in maniera repentina o lenta ed impercettibile) il proprio corso, lascia asciutto il suo vecchio alveo. I due fondi privati rivieraschi si trovano quindi ad essere uniti da una lingua di terreno asciutto e non più separati dalle acque.
Edoardo Alterio è dottore forestale. Attualmente svolge un dottorato di ricerca in Ecologia forestale presso l’Università degli Studi di Padova. E-mail: edoardo.alterio@unipd.it