Importanza delle specie eduli spontanee e possibilità di sfruttamento
di Rita Leogrande
Piante officinali (fonte https://www.ortodacoltivare.it/)
Gli ambienti terrestri del Mediterraneo hanno subito nel corso dei millenni profondi mutamenti (inquinamento, aumento dei terreni salini, deforestazione, estinzione di un gran numero di specie, effetto serra) determinati in parte dall’attività umana che esercita una pressione sempre maggiore sulle risorse limitate del pianeta. Diventa chiaro che se non si modificheranno le forme di sfruttamento della terra, questa sarà sempre meno capace di supportare la vita.
Gli ecosistemi della macchia mediterranea costituiscono un patrimonio inestimabile poiché rappresentano un’importante fonte di biodiversità per numerose specie.
A partire dagli anni ’80 il concetto di biodiversità e le problematiche relative alla progressiva perdita di diversità biologica a causa delle attività umane sono diventati oggetto di numerose convenzioni internazionali. Nel 1992, con la sottoscrizione della Convenzione di Rio sulla Biodiversità, tutti gli stati Membri della Comunità Europea hanno riconosciuto la conservazione in situ degli ecosistemi e degli habitat naturali come priorità da perseguire, ponendosi come obiettivo quello di: “Anticipare, prevenire e attaccare alla fonte le cause di significativa riduzione o perdita della diversità biologica in considerazione del suo valore intrinseco e dei suoi valori ecologici, genetici, sociali, economici, scientifici, educativi, culturali, ricreativi ed estetici”.
Con la nuova concezione della diversità biologica, denominata agrobiodiversità/agrodiversità, emergono interessanti prospettive dalla rivalutazione e valorizzazione di numerose specie che per le molteplici possibilità di utilizzo potrebbero fornire opportunità economiche e consentire una diversificazione colturale. La perdita di agrobiodiversità, associata all’uniformità genetica delle specie in coltura, ha determinato una semplificazione degli agroecosistemi e l’utilizzazione di un numero di specie coltivate notevolmente ridotto, rispetto a quelli presenti negli habitat naturali e nelle aree rurali (Altieri, 1999).
A livello mondiale si conoscono oltre 20.000 specie di piante commestibili. Tuttavia, durante gli ultimi secoli vengono utilizzate un numero sempre più limitato di specie a scopo alimentare. Infatti, meno di 20 specie forniscono circa il 90% degli alimenti di origine vegetale. Come risultato di questo impoverimento, vaste superfici vengono dedicate alla monocoltura con una dipendenza crescente da fertilizzanti chimici, insetticidi, fungicidi ed erbicidi. Incombe, inoltre, una minaccia costante di nuove malattie che potrebbero distruggere completamente grandi aree in cui prevale una certa specie.
L’addomesticazione di specie selvatiche deve essere considerato un processo di una certa rilevanza, in quanto contribuirebbe a diversificare la produzione.
Piante spontanee nell’alimentazione umana
Le piante spontanee sono state raccolte e usate per molti secoli fino a dopo la Seconda guerra mondiale, alla stessa maniera di quelle consumate oggi; molte sono state poi abbandonate o dimenticate (Bianco, 1990).
Nei tempi passati, era lo stato di necessità la motivazione che induceva a consumare tutto quanto i campi potevano offrire. Ora i motivi che possono spingere alla ricerca del consumo delle piante spontanee derivano da un sempre più diffuso benessere ed esigenze di un contatto con la natura, un ritorno alle radici.
È utile rivolgere l’attenzione verso queste piante prima che vadano completamente dimenticate o perse e, con esse, le ricette che le accompagnano. Il Mezzogiorno d’Italia è ricco di ricette e pietanze a base di erbe spontanee, molte delle quali vengono riproposte da ristoranti e, soprattutto, nella ristorazione delle aziende agrituristiche.
L’orientamento in atto nella moderna alimentazione cerca di coniugare l’esigenza calorica con uno stato di benessere fisico, ottenibile da una corretta alimentazione. Viene sempre più apprezzata la dieta mediterranea, come fonte di benessere quotidiano. Mangiare secondo la dieta mediterranea non significa solo mangiare i prodotti tipici del Bacino Mediterraneo, ma anche consumare un pasto povero dal punto di vista calorico e ricco di alimenti di origine vegetale e riscoprire il sapore delle erbe aromatiche.
Le erbe spontanee svolgono un ruolo fondamentale nella valorizzazione della dieta mediterranea perché sono reperibili facilmente nel territorio; contengono alcuni principi attivi che aiutano l’organismo nei processi depurativi detossificanti; ben si presentano nelle diete rigenerative di primavera e consentono da un punto di vista gastronomico, la riproposta di una alimentazione sana e genuina che soddisfa equilibratamente i bisogni nutritivi dell’individuo; si consumano stagionalmente e quindi consentono di recuperare piatti tradizionali che si possono consumare solo in determinati periodi dell’anno, ristabilendo il legame tra alimentazione e stagioni. Infatti, con la destagionalizzazione di molti prodotti orticoli attenuta con tecniche diverse o la loro importazione nei periodi dell’anno in cui non possono essere prodotti nei nostri ambienti, le nuove generazioni hanno perso questo tipo di percezione.
Diversamente dalla maggioranza delle piante commestibili coltivate, molte piante spontanee raramente sono state selezionate per incrementarne la produzione, per ridurne il gusto amaro o aumentarne il dolce ecc.
Molte piante spontanee, spesso le meno conosciute, siano esse produttrici di semplici foglie, di più teneri e succulenti getti e “turioni” di carnosi bulbi, radici, rizomi, tuberi, possono fornire all’uomo alimenti quanto mai saporiti e pregiati, ricchi dei più vari aromi e di nutrienti.
Tra le piante spontanee, quelle aromatiche ricche di “oli volatili” o essenziali possono essere utilizzate per rendere più appetibili i cibi, per aromatizzare i liquori, per entrare nella composizione cosmetica e dare un gusto gradevole ai farmaci. È da rilevare nella tradizione della civiltà contadina un notevole impiego di specie aromatiche, raccolte allo stato spontaneo, nella preparazione di piatti gustosi, come per esempio, la minestra sarda di erbe selvatiche che ne comprende ben 18 (acetosella, finocchio spontaneo, papavero, ruchetta, strigolo ecc.).
Alcune piante spontanee hanno un potere dolcificante (“edulcoranti”) molto elevato e possono essere utilizzate in alternativa allo zucchero per motivi dietetici. Stevia rebaudiana Bertoni detta erba dolce, per esempio, ha un potere dolcificante 300 volte superiore a quello dello zucchero (Marzi, 2004)
Nella liquoristica, genziana, rabarbaro, artemisia, calamo aromatico e china entrano nella formulazione di noti aperitivi.
Alcune specie come lo zafferano e la curcuma svolgono una duplice azione aromatizzante e colorante. Altre specie vengono utilizzate come coloranti naturali degli alimenti; l’ortica è una delle specie indicate per l’estrazione della clorofilla; la capsantina, di colore rosso scuro, è il principale pigmento della paprica; la crocina, di colore giallo arancio, è il tipico pigmento dello zafferano; la bixina è estratto dall’aneto (Marzi, 2004).
La flora d’Italia comprende circa 5600 specie che possono essere considerate spontanee ed almeno 500 possono venire considerate native, le altre, sono state introdotte dall’uomo, volontariamente o involontariamente. Sotto questo punto di vista la flora d’Italia risulta la più ricca d’Europa perché comprende circa la metà dell’intera flora europea, pur avendo una superficie che è solamente un trentesimo di quella europea (Machackova, 2001). Lo stesso studio ha censito poi le erbe spontanee utilizzabili come ortaggi e piante da condimento, che sono più di 900 (circa il 17% del numero complessivo di specie censite per la flora italiana).
Le famiglie a cui appartengono queste specie sono numerose e le più rappresentate sono: Asteraceae, Brassicaceae, Lamiaceae, Liliaceae, Apiaceae.
Ortica (fonte Pianteefioriditalia | Piante spontanee: quali sono e le loro caratteristiche)
Piante medicinali e officinali
Fin dagli albori dell’umanità l’uomo ha sempre cercato nella natura, soprattutto vegetale, il rimedio ad ogni suo male: dapprima in modo empirico attraverso il riscontro casuale delle proprietà benefiche di un’“erba” e poi in modo sempre più razionale e scientifico.
In questi ultimi tempi la comunità scientifica riconosce nelle piante grandi proprietà medicamentose; oggi, infatti, i medicamenti che ci hanno tramandato i nostri nonni non vengono più considerate pozioni da stregoni.
Molti farmaci in commercio contengono quale principio attivo sostanze di origine vegetale.
Si può far risalire la storia della fitoterapia ai tempi preistorici, quando gli uomini, sia per esperienza diretta, sia osservando gli animali, si resero conto delle virtù terapeutiche possedute da alcune erbe.
Si ha notizia dell’utilizzo di piante a scopo curativo in India fin dai tempi vedici (8000 – 4000 a.C.). Si hanno anche notizie dell’impiego terapeutico delle erbe presso le civiltà precolombiane dell’America meridionale. Pur rimanendo distanti nel tempo, ma avvicinandoci alla nostra area geografica e culturale, ritroviamo una affermata tradizione erboristica nell’Egitto di circa quattromila anni addietro, dove sacerdoti-medici curavano svariate malattie utilizzando piante medicinali. Ma non solo: le tecniche di imbalsamazione facevano correntemente uso di erbe per raggiungere i risultati che, tramite i ritrovamenti archeologici, sono ancora evidenti ai nostri giorni. Anche gli Indiani, i Babilonesi e Fenici usavano empiricamente alcune erbe per curare infermità.
I medici dell’antica Grecia (Ippocrate, Teofrasto, Dioscoride) e quelli dell’antica Roma (Galeno e Plinio) curavano diversi mali con erbe spontanee.
Gli anni oscuri del medioevo fecero a lungo dimenticare la fitoterapia. Sul finire dell’era medievale alcune comunità monastiche coltivarono erbe aromatiche e medicinali. Con la conquista della civiltà moderna, con l’avvento dei preparati chimici le erbe medicinali sono state trascurate e ritenute superate.
Dagli anni sessanta in poi, a partire dalla Francia e per mezzo di studiosi come Valnet, Tètau, Leclerch e Belaiche, la fitoterapia recupera il terreno perduto e propone nuovi confini, ancora tutti da esplorare.
Ci sono centinaia di piante medicinali che si possono coltivare, e ci saranno molte altre con proprietà ancora sconosciute. Tra le erbe officinali, il tarassaco è considerato un ottimo diuretico ma anche depurativo, lassativo blando, epatico, colagogo, tonico e stomachico; la Sanguisorba utile nella mancanza d’appetito, regolatrice della pressione arteriosa, astringente e diaforetico; la Plantago e la Silene usate nelle infiammazioni degli occhi; il timo, che può rallentare il processo dell’invecchiamento mantenendo il vigore delle cellule del nostro corpo; la Salvia eccellente come antisettico per l’afte nella bocca e per il mal di gola; la camomilla, trattamento sicuro per il mal di stomaco nei bambini; l’aglio che contiene sostanze fungistatiche ed è usato nel trattamento della ‘Candida’. Inoltre, si stanno facendo ricerche su molte piante per trovare una cura per il cancro e l’AIDS.
Non esiste una vera e propria differenza tra piante medicinali e officinali; per Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) la diversità consiste nel fatto che le erbe medicinali contengono sostanze che possono essere impiegate per usi terapeutici mentre le officinali sono già state riconosciute ufficialmente per preparare specialità medicinali. La differenza sta nel verbo “possono e sono” perché alla base rimane inalterato il contenuto dei principi attivi che risiedono nella pianta (Ferrarese, 1990).
Conoscere il principio attivo è sicuramente la cosa più importante per chi voglia curarsi con l’aiuto delle piante. Esso infatti rappresenta la parte attiva del preparato. I principi attivi non sono mai presenti nelle stesse quantità e quasi sempre variano in base ai fattori climatici e alle tecniche agronomiche utilizzate, che interagiscono con la pianta. Le diverse specie producono il principio attivo per diversi loro bisogni, tra i quali quelli più evidenti sono: la difesa da parassiti, l’accumulo di sostanze di riserva, la difesa dal freddo. In generale, i principi attivi delle piante sono prodotti metabolici secondari, sottoposti quindi a maggiore oscillazione di contenuto rispetto ai prodotti metabolici normali; ad esempio, il contenuto di glicirrizina nelle radici di liquirizia può variare dal 3 al 12%, l’atropina nelle foglie di belladonna può variare dallo 0,3 al 1,17% (5).
Tra i principi attivi più importanti gli alcaloidi (efredina, morfina, stricnina, scopolamina, ecc.) hanno effetti eccitanti e deprimenti, e possono produrre effetti molto dannosi, agendo prevalentemente sul sistema nervoso.
Gli amari vengono utilizzati per aumentare l’emissione di succhi gastrici e quindi aiutare la digestione.
Gli amidi vengono utilizzati prevalentemente come supporto ai principi attivi, proprio per il loro alto grado di digeribilità.
I glucosidi derivano dalla fusione di una parte glucidica con molecole di varia composizione chimica dotate di funzione alcolica. Dotati di un grosso potenziale sul corpo umano sono da utilizzare con estrema cautela, indicati per le affezioni cardiorespiratorie.
Gli oli essenziali, derivanti dalla spremitura e/o dalla distillazione di frutti, foglie e corteccia, vengono utilizzati dalle piante come antisettici o come repellente degli animali erbivori, che non gradiscono le sostanze oleose. Tali sostanze sono efficaci per la cura degli apparati cardiocircolatorio, nervoso e digerente.
I tannini, estratti da radici, frutti, foglie e semi, hanno una grande capacità astringente e, per questo, vengono utilizzati per curare ferite e aumentare il potere cicatrizzante della pelle. Per il loro potere astringente le sostanze tanniche vengo utilizzate anche per la cura di gonfiori, infiammazioni, emorroidi, nonché per uso interno contro diarree e enteriti.
La produzione di piante officinali è sempre stata considerata marginale in raffronto ad altri tipi di produzione agraria. Il confronto fra superficie destinata alla coltivazione di piante officinali e quella occupata da altre colture mette in rilievo questa marginalità: in Italia si hanno circa 3200 ha coltivati a piante officinali contro, per esempio, 450000 ha a soia, 1000000 ha a mais (Voltolina, 1992). Anche all’interno dell’economia del settore erboristico, la produzione delle piante officinali viene tenuto in scarsa considerazione e questo è un controsenso se si pensa che proprio attraverso la coltivazione è possibile fornire la materia prima vegetale indispensabile alla trasformazione e alla realizzazione di tutti quei prodotti finiti e specializzati che si trovano in erboristeria.
Chi coltiva le piante medicinali si pone anche il problema di ottenere prodotti di elevata qualità e privi di residui di fitofarmaci, il che di conseguenza li porta ad applicare tecniche di coltivazione ecocompatibili o biologiche. Tuttavia, quando si parla di prodotti erboristici di qualità ci si dimentica che la costruzione della qualità parte proprio dal momento produttivo non priva di costi aggiuntivi o di minore produzione che andrebbero compensati con prezzi di vendita all’origine più elevati.
I prodotti presenti sul mercato derivano in larga parte dalla coltivazione di piante prodotte in Medio Oriente, paesi nei quali spesso non esistono standard qualitativi adeguati e certificabili. Da qui l’esigenza del mercato di sviluppare realtà produttive in Italia per soddisfare la forte domanda sia da un punto di vista qualitativo sia quantitativo.
Negli Annals of Internal Medicine sono stati pubblicati i risultati di uno studio condotto dal dipartimento di Medicina Alternativa delle Università di Exeter in Gran Bretagna sulle piante officinali più vendute, tali risultati hanno mostrato un notevole incremento di vendite rispetto al passato.
La biodiversità che contraddistingue le piante officinali consente che queste, in base alla loro tipologia, possono essere utilizzate come alimenti integratori e farmaci non solo per uso umano, ma anche zootecnico.
Un aspetto interessante delle piante officinali è il loro utilizzo nell’alimentazione animale come integratori. Fin ad oggi tutti i produttori di alimenti per animali hanno utilizzato l’integrazione vitaminica per sopperire alla loro perdita durante la lavorazione delle materie prime. Come è noto queste sostanze sono molto labili, quindi la loro efficacia è molto limitata nel tempo e dagli agenti atmosferici. Ciò non accade ai principi attivi delle erbe officinali, che non temono gli aumenti termici, anzi questi spesso ne aumentano la loro efficacia (es. il decotto). Il principio attivo se ben conservato dura per anni. Da qui la scelta di utilizzarlo negli alimenti come supporto integrativo naturale.
Le piante officinali possono essere utilizzate anche nel settore della cosmesi naturale. Nell’antichità le piante fornivano le ciprie, le tinture, gli oli, le essenze, corrispondente alle attuali creme di bellezza. Le pratiche di cosmetica, conosciute fin dal terzo millennio a.C., sono state utilizzate nell’antico Oriente da uomini e donne desiderosi di conservare avvenenza e grazia. Nel settore fitocosmetico operano in Italia circa 400 aziende, delle quali l’87% svolge una attività produttiva e il restante 13% attività di importazione e distribuzione.
Caratteristiche qualitative delle piante spontanee
L’orientamento della moderna alimentazione cerca di coniugare insieme l’esigenza calorica con uno stato di benessere fisico, ottenibile da una corretta dieta alimentare.
È diffuso sempre più il concetto di “alimentazione salutare”, che indica la presenza di sostanze funzionali in grado di favorire lo stato di benessere fisico e prevenire le malattie. Infatti, l’assunzione di cibo nei paesi industrializzati non ha più il solo fine di soddisfare il fabbisogno calorico ma anche quello di svolgere un’azione salutare; quindi, la conoscenza dei principi attivi e del loro contenuto assume un ruolo di un certo rilievo. L’apporto alle diete delle specie spontanee commestibili ricche di sostanze ad alto valore nutrizionale, gustose e aromatiche, compensa la deficienza di certi principi attivi assenti in alcuni alimenti di uso comune.
La valutazione delle caratteristiche organolettiche degli alimenti assume un ruolo rilevante nella definizione di concetto di qualità. I componenti dei principali caratteri organolettici sono: la forma, la consistenza, il colore, l’odore e il sapore; inoltre, il valore funzionale rappresenta un ulteriore parametro di valutazione. Per questo motivo lo studio della composizione chimica di molte specie spontanee commestibili è stato oggetto di studio da parte di numerosi Autori.
Tra i principi attivi più comuni nelle piante spontanee troviamo gli alcaloidi, le sostanze amare, i glucosidi, i flavonoidi e i tannini. Tra le sostanze funzionali rientrano anche i sali minerali e diversi composti inorganici.
Molte specie spontanee contengono elevati contenuti di sali minerali quali sodio, potassio, calcio, magnesio, zolfo, manganese, zinco e oligoelementi importanti nell’organismo ai fini di un buon funzionamento dei vari processi biologici.
Inoltre, le specie spontanee sono particolarmente ricche di clorofilla, rigenerante e tonificante del sangue.
Le nuove conoscenze sul contenuto vitaminico di un sempre maggior numero di specie eduli spontanee permette una maggiore valorizzazione per la loro introduzione nella dieta.
Uno studio effettuato da Bianco et al. (2004) mostra che il contenuto di acido ascorbico di molte specie spontanee supera quello degli ortaggi coltivati ad esclusione di peperone, cavoli da foglie, cavolo broccolo e prezzemolo. Infatti, in questo studio viene mostrato l’elevato contenuto di acido ascorbico (>150 mg 100 g-1 p.f.) di alcune specie che comunemente vengono raccolte e utilizzate come alimento in Puglia (Galium aparine L., Chenopodium album L., Tribulus terrestris L., Asphodeline lutea (L.) Rchb., Amaranthus retroflexus L., Urtica dioica L., Papaver rhoeas L., Amaranthus gracizans L., Mercurialis annua L.). Il contenuto di acido ascorbico, inoltre, presenta una elevata variabilità tra le famiglie, tra le specie e tra gli organi della stessa pianta (Bianco et al., 2004).
Il Taraxacum officinale rientra tra le specie più ricche di vitamina A, oltre alle vitamine B, K e P contenute nel succo lattiginoso delle piante e ad altri componenti proteici e minerali (Mg, Mn, K, Ca, P, Na) (Mesini, 1995).
Anche Malva silvestris L. è una specie ricca di vitamine quali la A, B e C (Zanotti, 1997) così come il Crithmum maritimum L. ricco di vitamina C ed E e di minerali quali zinco, magnesio, manganese.
Hyssòpus officinalis L. risulta ricco di glucosidi, tannini e saponine, Rosmarinus officinale L. di un olio essenziale in cui sono presenti composti terpenici, Althaea officinalis L. di asparagine, amido e saccarosio (Zanotti 1997).
Attualmente anche il livello dei nitrati viene considerato un fattore determinante per giudicare la qualità degli ortaggi. Gli ortaggi contribuiscono in maniera rilevante all’assunzione giornaliera di nitrato e questo ione costituisce indirettamente un potenziale pericolo per la salute. Le ricerche sul contenuto di nitrati sulle specie spontanee sono molto recenti, per cui i rifermanti bibliografici sono scarsi anche se tali ricerche oggi sono state intensificate proprio per garantire una migliore qualità del prodotto. Uno ricerca effettuato da Bianco (2002) evidenziò l’elevata variabilità del contenuto dei nitrati tra diverse specie spontanee e all’interno della stessa specie. Infatti, il contenuto variò da valori bassissimi, compresi tra 45 a 198 mg kg-1 p.f., in Leopoldia comosa (L.) Parl. (R), Lactuca serriola L., Reichardia picroides (L.) Roth e Orobanche crenata Forsskal, a valori molto elevati in Capsella bursa- pastorsi (L.) Medicus (M) e Diplotaxis tenuifolia (L.) DC dove superarono i 3000 mg kg-1 p.f. Inoltre, la differenza tra il valore minimo e massimo del contenuto del nitrato raggiunse quasi 3000 mg kg-1 p.f. in Papaver rhoeaes L. e 2000 mg kg-1 p.f. in Paritaria officinalis L.
Un altro elemento importante da considerare nella qualità degli ortaggi è l’acido ossalico che si trova naturalmente in un grande numero di specie. Il corpo umano sintetizza l’acido ossalico dall’acido ascorbico; esso si combina con il calcio, ferro, sodio, magnesio, potassio per formare sali meno solubili conosciuti come ossalati, rendendo questi elementi non disponibili. Pertanto, il consumo continuato di alimenti contenenti acido ossalico può causare carenza di alcuni nutrienti, specialmente del calcio. Una ricerca effettuata da Bianco et al. (2002) indica le specie spontanee ricche di acido ossalico tra cui Chenopodium album L., Portulaca oleracea L. subsp. oleracea , Rumex acetosa L. (R) Oxalis acetosella L., con valori medi compresi fra 1175 e 625 mg kg-1 di p.f.; al contrario, si evidenzia che il contenuto di questo composto è quasi assente in Taraxacum officinale Weber, Diplotaxis erucoides (L.) DC., Calendula officinalis L., Malva sylvestris L., Sonchus asper (L.) Hill.
Bibliografia
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Bianco V.V., 1990. Piante spontanee della flora italiana utilizzate come ortaggi. Da Bianco e Pampini, Orticoltura, 969-983. Patron (Ed.), Bologna.
Bianco V.V., 2002. Nitrato in alcune specie spontanee eduli pugliesi. Colture Protette 31 (Suppl. 12), 42-46.
Bianco V.V., Lopedota O., Pace B., 2004. Acido ascorbico in specie spontanee commestibili. Piante del mediterraneo. II Convegno nazionale “Valorizzazione delle risorse e sviluppo sostenibile” Agrigento 7-8 Ottobre.
Machackova M., 2001. Specie spontanee della flora italiana utilizzate come ortaggi e piante da condimento. Tesi d laurea in orticoltura. Università degli Studi di Bari – Facoltà di Agraria, 107 p.
Marzi V., 2004. Piante da condimento e derivati alimentari. Italus Hortus, 11, (4), 61-69.
Mesini A., 1995. Una bellezza solare. Il giardino fiorito, 41 (5), 50.
Zanotti E., 1997. Curarsi con le piante medicinali. 1a ed., 280 p., Ed. Agricole Edagricola-Bologna.
Ferrarese M., 1990. Le piante medicinali tecniche di utilizzazione 1° ed., 168 p., Edagricole, Bologna.
Voltolina G., 1992. Quali mercati per le piante officinali? Erboristeria Domani, 5, 58-66.
Si ringrazia la Dott.ssa Ornella Lopedota per la sua preziosa collaborazione nella stesura dell’articolo.
Rita Leogrande è ricercatrice in servizio presso il Centro di Ricerca Agricoltura e Ambiente del CREA (Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria), sede di Bari. Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Agronomia Mediterranea. La sua attività di ricerca si basa sullo studio degli effetti sul suolo e sulle colture di tecniche agronomiche sostenibili.