di Paolo Degli Antoni
Quaranta anni fa mi laureavo in scienze forestali con una tesi di laurea dal titolo: “Osservazioni e considerazioni sui terreni agricoli abbandonati nel Chianti senese”, relatore chiar.mo prof. Pietro Piussi, corelatore chiar.mo prof. Pier Luigi di Tommaso, basata sull’osservazione di cinquanta aree di saggio rettangolari posizionate su coltivi abbandonati, scelti con l’osservazione da terra, previa visura delle riprese aeree 1978, nei Comuni chiantigiani di Castellina e Radda.
In ciascuna area di saggio veniva rilevata sommariamente la flora erbacea, la lista delle specie legnose presenti, il numero e l’altezza degli esemplari arborei e dei ginepri.
I rilievi furono ripetuti sopralluogo nell’ultimo decennio del XX secolo come servizio d’Istituto del Corpo Forestale dello Stato, in vista dell’elaborazione di una metodica per il riconoscimento dei boschi di neoformazione e per la loro definizione legale, come effettivamente avvenne con Legge regionale Toscana n.1/2000.
La comparazione dello stato dei luoghi col passare del tempo mise in evidenza una lenta e modesta evoluzione floristico-vegetazionale e la rimessa a coltura più o meno accanita di una significativa parte dei terreni esaminati (34%), raramente per finalità produttive strettamente agricole, per la maggior parte invece espressione di un processo di gentrificazione, con recupero dei poderi abbandonati trasformati inizialmente in residenze secondarie, in seguito in attività turistico-ricettive. Costante antropologica dei decenni trascorsi, raccolta in interviste e da esternazioni spontanee verbali e scritte, è la svalutazione dei boschi di neoformazione rispetto alle colture pregresse o ripristinate, con sopravvalutazione dell’agrobiodiversità produttrice di reddito rispetto alla biodiversità finanziariamente improduttiva, ma ecologicamente pregiata, degli habitat postcolturali, apprezzata quasi esclusivamente a fini venatori. Non riuscii a trattenermi quando un agricoltore manifestò l’intenzione di “ripulire” un suo terreno neoboschivo, lo condussi davanti a un orniello in sontuosa livrea autunnale chiedendogli se gli sembrasse “sudicio”.
Il resoconto di questa ricerca fu presentato in un convegno a Volpaia il 29 maggio 1999, atti pubblicati da Olschki nel 2000 nel libro collettaneo “Agricoltura e sviluppo sostenibile nel Chianti Classico“, a cura di Reginaldo Cianferoni e Andrea Innocenti.
Sempre nell’ultimo decennio del secolo scorso, applicai la stessa metodologia a quaranta aree di saggio scelte nei Comuni di Livorno e di Rosignano marittimo, dove sono diverse la composizione floristica, l’evoluzione e la velocità di riconquista dei terreni agricoli abbandonati da parte della vegetazione boschiva. Anche in quel caso si è assistito alla gentrificazione di alcuni poderi abbandonati, con rimessa a coltura solitamente amatoriale di gran parte dei terreni agricoli non coltivati da decenni (40% delle aree di saggio).
La Regione Toscana pubblicò la Carta regionale dell’Uso del Suolo in scala 1:25.000 nel 1986, sulla base della fotointerpretazione del volo 1978; non tutti i terreni saggiati erano riconosciuti come agricoli abbandonati, risultandone alcuni ancora in coltura, altri pascoli cespugliati o arborati, raramente boschi. Nel 1987 la Provincia di Livorno realizzò in scala 1:10000 la Carta provinciale dell’Uso del Suolo con la stessa legenda di quella regionale, registrando l’avvenuto rimboschimento spontaneo di un maggior numero di terreni agricoli abbandonati, effettivamente occorso in un decennio. Il Comune di Radda in Chianti ha realizzato, ai fini del piano struturale, carte tematiche comparate nel tempo, quelle riferite al 2007 comprensive della classe agraria “cespugliato incolto” e di quella vegetazionale quasi coincidente “aree in fase di rinaturalizzazione” nelle quali ricade gran parte delle suddette aree di saggio, topograficamente definite con buona precisione. Dal 2007 la Regione Toscana realizza una carta dell’uso e copertura del suolo con legenda Corine Land Cover consultabile con navigatore GIS Geoscopio, rieditandola in base alle ortofotocarte aggiornate (2010, 2013, 2016 e 2019), con periodica revisione; in particolare si osserva una rivalutazione della classe 243, inizialmente sottovalutata, rappresentativa di quelle situazioni ibride dove ci sono edifici abitati, una parte dei terreni è coltivata, una parte lasciata all’evoluzione spontanea, in un mosaico paesaggistico a grana così fine da rendere impossibile la disaggregazione delle componenti.
In altre regioni e province la classe Corine 243 è stata invece a volte sopravvalutata per limiti dei programmi di intelligenza artificiale utilizzati per la fotointerpretazione automatizzata di immagini satellitari su base spettrofotometrica, perdendo così la distinzione di classi d’uso più specifiche.
Grazie alla fitta sequenza di riprese aeree a colori dal 2007, ho potuto verificare spesso la continuità dell’uso del suolo nei terreni saggiati in precedenza; dopo un’apparente fase di stabilità, si registra nell’ultimo quinquennio la ripresa di trasformazioni connesse alla valorizzazione immobiliare ricettiva piuttosto che alla produzione agricola. La legge regionale Toscana n.15 del 24/05/2022 avrebbe incoraggiato ancor più la gentrificazione del territorio rurale, rendendo meno stringente il rapporto tra produzione agricola e ricettività agrituristica, ma essa è stata dichiarata illegittima nell’art.7 c. 1 dalla Corte Costituzionale con sentenza del 13/04/2023.
Un ulteriore 8% delle aree di saggio in Chianti è stato dunque rimesso a coltura; in un caso si tratta di un grande relais accessoriato che ha ripristinato un antico esteso terrazzamento, per coltivare vite e olivo; in un altro caso una residenza secondaria, sinora non interessata all’agricoltura, ha ripristinato un oliveto che si era evoluto in bosco, così piccolo che probabilmente non verrà registrato nelle prossime edizioni della carta regionale dell’uso del suolo. In due aree di saggio in evoluzione verso il bosco di latifoglie sono state ripristinate le antiche sistemazioni idraulico-agrarie con lavorazione del suolo, senza semina né piantagione di colture legnose, nel contesto della valorizzazione immobiliare di un antico podere, in vendita su un sito d’intermediazione; detto podere è classificato dal Regolamento urbanistico “area con sistemazioni agricole storiche” soggetta a particolare tutela.
Fa impressione notare nel territorio saggiato la densità di piccole piscine poco adatte alla natazione, non richieste negli anni’70 del Novecento, quando le estati in collina non erano troppo calde, resesi fattore concorrenziale nel presente secolo che si annuncia caratterizzato da estati spiacevolmente calde anche a 500-600 m.s.m.; tutto questo accade in un territorio reso ancor più povero d’acqua proprio dal cambiamento climatico, che per i villeggianti sarebbe più sensato affrontare trascorrendo i troppo azzurri e lunghi pomeriggi d’estate chiusi in un’antica casa di pietra con le finestre chiuse, proposta inaccettabile da parte di turisti che intendono riempire di attività stimolanti e interessanti, soprattutto degustazioni, i loro brevi soggiorni. In caso di razionamento dell’acqua potabile, è evidente come tra le prime attività da vietare vi sia proprio il rabbocco delle piscine.
Nell’ultimo quinquennio aerofotografato a Livorno si osserva l’azzeramento della macchia mediterranea in una particella destinata dai gestori a stabilimento balneare. La risposta del Comune a un’osservazione a questo proposito al recente strumento urbanistico pare piuttosto evasiva e condiscendente.
Osservo rari casi in controtendenza, a Livorno l’abbandono di un podere recentemente rimesso a coltura, a seguito dell’inattesa dipartita del concessionario; si riconoscono ancora le sistemazioni idraulico-agrarie, ma gli arbusti stanno già riconquistando il terreno.
Nel Chianti registro un caso di abbandono di terreni indotto dall’esito negativo di un controllo sull’arboricoltura da legno attuata su seminativi ritirati a set-aside in violazione del divieto previsto in habitat d’interesse comunitario (che non è detto si ricostituisca spontaneamente) della rete ecologica europea Natura 2000.
Paolo Degli Antoni: Laurea in Scienze Forestali, conseguita presso la facoltà di Agraria dell’Università di Firenze. Abilitazione all’esercizio della professione di Agronomo-Forestale. Già funzionario C.F.S. e collaboratore della Regione Toscana, è socio corrispondente dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali, scrive contributi scientifici di ecologia del paesaggio, biodiversità, storia, arte e antropologia del bosco. Suo oggetto privilegiato di ricerca è la rinaturalizzazione spontanea dei terreni abbandonati, in campagna e in città.