Approfondimento: Rischi Connessi all’incauto utilizzo dei Rodenticidi anticoagulanti
Premessa
In occasione dello svolgimento dell’attività da me svolta sul territorio, mi è spesso capitato di dialogare con diversi produttori di carciofi, i quali, nell’esplicarmi le fasi della produzione-coltivazione di tale ortaggio, mi hanno evidenziato come i maggiori danni alla coltura vengono commessi dai roditori (in particolare del genere Mus e Rattus).
Pertanto, al fine di combattere tale avversità, sono costretti ad utilizzare i rodenticidi, ossia dei “prodotti destinati ad uccidere topi e ratti”; i rodenticidi maggiormente utilizzati sono quelli così detti “rodenticidi anticoagulanti”. Interessato dall’argomento ho iniziato a prestare maggiore attenzione a quanto relativo alla coltivazione del carciofo, analizzando lo stato dei luoghi e comparando le varie testimonianze raccolte.
Con mio sommo stupore ho riscontrato che l’utilizzo di tali prodotti ha molti effetti collaterali, così come confermato dallo studio anche di diversi testi e articoli scientifici, che ne hanno evidenziato il pericolo e le potenzialità dannose. Sull’argomento, in particolare, la dottrina scientifica, soprattutto quella statunitense che per prima ha analizzato il problema, ha evidenziato come nelle campagne in cui sono utilizzati i rodenticidi vi sia la possibilità di una connessione diretta tra tale utilizzo e la morte di molti animali sia domestici, come cani e gatti, sia selvatici, come volpi, lepri, e molti rapaci appartenenti all’Ordine degli Strigiformi (famiglia di animali caratterizzati dalla presenza di testa grossa mobilissima, occhi grandi circondati da penne, becco corto e forte, piede con forti artigli, di regola notturni, che si nutrono spesso di piccoli mammiferi). Appartengono a tale Ordine animali come il gufo, il barbagianni, nonché altri rapaci come i Gheppio (Falco tinnunculus). Quello che più allarma, oltre all’uso indiscriminato del prodotto, è l’aver riscontrato, da parte degli operatori del settore, una scarsa conoscenza dei rischi e pericoli conseguenti all’uso dei prodotti, con conseguente necessità di rendere gli agricoltori e tutti gli operatori specializzati più consapevoli sul tema, al fine di poter evitare inutili morti di animali, anche protetti, che sono estranei al processo agricolo di cui sopra.
Si appalesa, pertanto, necessario analizzare il fenomeno nella sua complessità, valutando i rischi connessi all’uso del prodotto, il comportamento dei roditori e il meccanismo d’azione, giungendo quindi, dopo aver analizzato tossicità e fattori di rischio, ad individuare un possibile percorso volto ad un uso più consapevole e con un basso impatto ecologico.
I Prodotti rodenticidi anticoagulanti: definizione e percorso storico.
I rodenticidi anticoagulanti sono i rodenticidi più utilizzati sia in ambito agricolo che urbano; trattasi cioè di molecole chimicamente sintetizzate che hanno come fine l’uccisione di topi, ratti, mediante l’inibizione della coagulazione del sangue.
Nel 1940 una piccola compagnia farmaceutica della Gran Bretagna studiò le proprietà rodenticide del dicumarolo da cui il nome “dicumarinici”.
Il Warfarin, il primo rodenticida anticoagulante introdotto nel mercato dopo la seconda guerra mondiale, fu subito utilizzato in numerosi paesi. Dopo il warfarin furono sintetizzate altre molecole raggruppate con il nome di rodenticidi anticoaugulanti di prima generazione, ossia gli idrossicumarinici (Coumachlor, Coumafuryl) e gli indandioni (Clorofacinone Difacinone), le cui molecole che possiedono una tossicità moderata (si parla di tossicità moderata dal momento che il DL50*- si aggira intorno ai 10/50 mg/kg).
Nel corso degli anni i roditori svilupparono resistenza al Warfarin, con la conseguenza che si rese necessaria la sintesi di nuove molecole più efficaci; si ebbe la nascita, negli anni settanta, della seconda generazione di rodenticidi anticoaugulanti, ossia gli Idrossicumarinici (come Brodifacoum, Bromadiolone, Difenacoum), gli Indandioni (come Pindone Valone), molto più tossici dei composti di partenza (DL 50* = 0,2 – 3,9 mg/kg); gli stessi, inoltre, sono meno biodegradabili e si accumulano negli organismi.
*”Dose Letale 50″ (in inglese LD50 da “Lethal Dose 50”) si riferisce alla dose di una sostanza, somministrata in una volta sola, in grado di uccidere il 50% (cioè la metà) di una popolazione campione di cavie (generalmente ratti, ma anche altri mammiferi come cani, quando il test riguarda la tossicità nell’uomo).
In commercio i prodotti contenenti le sostanze rodenticida sono venduti sottoforma di pellet, blocchi di cera, polveri.
Alcuni utilizzatori, al fine di favorire l’assunzione del prodotto da parte di topi e ratti, sono soliti mescolare queste sostanze con cibo es. burro di arachidi tonno, formaggio avariato, sperando così di attirare quante più prede possibili.
Tale prassi, se da una parte favorisce l’assunzione della sostanza da parte di topi e ratti, dall’altra può costituire un grave pericolo per gli animali domestici, più avvezzi a mangiare prodotti destinati al consumo dell’uomo o a frequentare gli ambienti domestici ove sono posizionate le esche ( ad esempio il “grooming” del gatto – comportamento normale del felino consistente nel leccarsi e mordicchiarsi il mantello e la cute- può aumentare il rischio di assunzione di polvere rodenticida presente negli ambienti).
Tipologie di roditori infestanti e loro comportamento.
In merito a quanto appena detto ad ogni buon conto, si rende necessario effettuare un’analisi delle specie di roditori infestanti presenti in Italia ed effettuare una precisazione circa il loro comportamento ed abitudini, al fine di meglio comprendere le tecniche di utilizzo del prodotto. Per quanto concerne le specie di roditori infestanti presenti sul territorio italiano, bisogna distinguere almeno tre specie principali: il topolino domestico (Mus musculus), il ratto grigio o bruno (Rattus norvegicus) e il ratto comune o nero (Rattus rattus).
I Muridi sono onnivori e molto adattabili, dunque possono infestare quasi ogni ambiente di natura antropica come, ad esempio, le aree residenziali, le zone agricole, le aree industriali, navi, magazzini, ospedali, e sono diffusi dalle coste fino in alta montagna, con climi e latitudini molto differenti. Per quanto concerne il comportamento dei Muridi, non tutti sanno che i ratti, sono animali timidi e sospettosi, specialmente in caso di nuovi oggetti che vengono inseriti nei loro territori, come trappole, esche e contenitori per esche, e che, pertanto, hanno bisogno di tempo per acquisire famigliarità con tutto ciò che è nuovo soprattutto se si tratta di cibo.
E’ normale, pertanto, che debba trascorrere un po’ di tempo dopo che le esche rodenticide sono state piazzate, prima che i roditori inizino a nutrirsene. Si è scoperto, inoltre, che i roditori – soprattutto i ratti grigi – sono riluttanti ad entrare all’interno dei contenitori per esche (Questo comportamento sospettoso nei confronti dei nuovi oggetti si chiama “Neofobia”).
Proprio per tale ragione gli utilizzatori del rodenticida sono soliti inserire la sostanza all’interno dei contenitori per esche solo dopo un certo lasso di tempo (circa 3-4 gg) al fine di consentire ai roditori di abituarsi alla presenza dei nuovi oggetti.
Meccanismo d’azione dei rodenticidi
I rodenticidi anticoagulanti, sono solitamente ben assorbiti per via orale e il picco plasmatico avviene dopo le 12 ore di ingestione; possono essere anche facilmente assorbiti dalla pelle e dal sistema respiratorio e persistono a lungo nel sangue legandosi alle albumine.
Si teorizza che la seconda generazione di rodenticidi anticoagulanti si leghi più tenacemente al fegato rispetto a quelli di prima generazione e produce effetti più persistenti.
Gli anticoagulanti possono attraversare la placenta quindi ci possono essere fenomeni di teratogenicità o casi di emorragie fetali. E’ possibile inoltre il passaggio di anticoagulanti nel latte.
Gli anticoagulanti inibiscono gli enzimi K 1-2-3 (epossido reduttasi) bloccando il ciclo di attivazione – riduzione della vitamina K, il che altera il riciclo della vitamina K causando la mancanza dei fattori della coagulazione II (protrombina), VII (proconvertina), IX (Fattore antiemofilico B) e X (Fattore di Stuart-Prower). Così facendo si impedisce il funzionamento della via intrinseca ed estrinseca e delle vie più comuni del sistema di coagulazione. Generalmente i primi sintomi appaiono non prima dei 3-7 giorni post ingestione del rodenticida perché il sistema di coagulazione mantiene la sua integrità fino a che i fattori della coagulazione già presenti si degradano naturalmente. L’antidoto principale per intossicazione da rodenticidi anticoagulanti è senza dubbio la vitamina K1.
Utilizzo dei rodenticidi anticoagulanti in agricoltura.
Il D.l.vo 194 del 17 marzo 1995 (attuazione della Direttiva 91/414/CEE) inserisce nei prodotti fitosanitari gli antiparassitari, i fitofarmaci, i presidi sanitari, i presidi delle derrate alimentari immagazzinate e i pesticidi.
In funzione del campo di utilizzo, vengono ulteriormente distinti in: fungicidi o anticrittogamici, insetticidi, acaricidi, nematocidi, limacidi, rodenticidi, diserbanti, repellenti, fumiganti, fitoregolatori e fisiofarmaci dai dati estrapolati dalla banca dati del Ministero della Salute, relativa ai prodotti fitosanitari, emerge un numero esiguo di prodotti rodenticidi autorizzati per l’utilizzo in agricoltura, notevolmente inferiore rispetto al numero di prodotti autorizzati come biocidi.
Le sostanze attive rodenticide anticoagulanti di seconda generazione autorizzate in agricoltura risultano essere due e sono:
- Il Difenacoum: ha già una classificazione armonizzata di cui all’allegato VI del Regolamento CLP, risulta essere letale in caso di ingestione, come causa di danni agli organi dopo esposizione prolungata o ripetuta e come molto tossico sia acuta che cronica per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata. La sostanza risulta essere fatale per tutte le vie di esposizione e come causa di danni agli organi dopo esposizione prolungata o ripetuta per tutti le vie con il sangue come organo bersaglio. Presumibilmente dannosa per la fertilità. Inoltre, sono stati fissati i limiti specifici di concentrazione per la tossicità riproduttiva e tossicità specifica per gli organi-bersaglio dopo un’esposizione prolungata o ripetuta.
- Il Bromadiolone: la classificazione e l’etichettatura della sostanza non sono state armonizzate a livello comunitario allo stato attuale. La sostanza risulta fatale se ingerita, a contatto con la pelle e per inalazione e come causa di danni agli organi dopo esposizione prolungata o ripetuta per tutte le vie con il sangue come organo-bersaglio, inoltre, sono stati fissati i limiti specifici di concentrazione per la tossicità sulla riproduzione e per la tossicità specifica degli organi-bersaglio dopo un’esposizione prolungata o ripetuta. Il Bromadiolone è molto tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga
Si fa presente che allo stato attuale, non sussistono alternative valide all’utilizzo dei rodenticidi al fine di scongiurare infestazioni importanti di roditori, anche se sarebbe auspicabile l’adozione di tecniche che siano più compatibili con la tutela degli ecosistemi così come è avvenuto in Israele, Stato da sempre all’avanguardia nell’agricoltura.
In tale paese, infatti, a partire dagli anni ‘80, l’utilizzo massiccio di biocidi stava alterando l’ecosistema, pertanto per evitare disastri ambientali fu presa la decisione di inserire nei campi coltivati rifugi, nidi artificiali e quant’altro fosse utile a creare l’habitat ideale per favorire l’aumento dei rapaci in particolare gufi e barbagianni (predatori naturali dei roditori)..
Si pensi che un barbagianni ha la capacità di cacciare da 2000 a 6000 piccoli mammiferi all’anno. Tale tecnica è una pratica ormai utilizzata in molti altri paesi, tra cui la Grecia e l’Egitto. Sarebbe auspicabile una diffusione della stessa anche nel nostro Paese.
Tossicità e fattori di rischio
La sensibilità ai rodenticidi anticoagulanti varia ampiamente; i ruminanti ad esempio, sono meno suscettibili rispetto ai monogastrici. Molti fattori contribuiscono a modulare la tossicità di queste sostanze: malattie come l’ipertiroidismo possono aumentare o prolungare la tossicità, come pure una dieta ricca di grassi, poiché essi interferiscono con il legame delle proteine.
Dalla valutazione del rischio ambientale effettuata a livello UE, è emerso che l’utilizzo di rodenticidi anticoagulanti comporta rischi elevati per la fauna selvatica: non solo i roditori infestanti, ma anche altri animali potrebbero nutrirsi delle esche, con il conseguente avvelenamento accidentale di tali animali non bersaglio. Questo tipo di avvelenamento è denominato avvelenamento primario (nb. Si noti come siano maggiormente interessati da tale tipo di avvelenamento le specie “onnivore”, essendo quelle nei cui confronti è più facile l’ingerimento di esche).
Un rischio molto elevato di avvelenamento riguarda anche gli animali, per lo più carnivori, che si nutrono di roditori avvelenati. Essi, infatti, potrebbero morire per effetto del veleno ingerito dal roditore stesso qualora predato o per ingestione di carcasse contaminate. Le specie ad alto rischio sono soprattutto i rapaci, quali poiane, gheppi e gufi comuni, ma anche mammiferi predatori come volpi e donnole. Questo tipo di avvelenamento indiretto (consistente nella predazione o necrofagia di animali avvelenati) viene indicato come avvelenamento secondario.
Gli elevati rischi sopra descritti derivano dai meccanismi di coagulazione del sangue, pressoché identici nei mammiferi e negli uccelli. Infatti, poiché gli anticoagulanti di prima e di seconda generazione inibiscono la coagulazione del sangue, risultano ugualmente tossici per tutti questi organismi, a prescindere dal fatto che si tratti di infestanti, fauna selvatica o esseri umani.
Il rischio di intossicazione per la fauna (animali non bersaglio) è inferiore per gli anticoagulanti di prima generazione rispetto a quelli di seconda generazione, soprattutto per quanto riguarda l’avvelenamento secondario; tuttavia, anche ai primi sono associati elevati rischi di avvelenamento.
Con riferimento alle modalità di avvelenamento secondario, si è rilevato che i rodenticidi anticoagulanti presentano un’elevata persistenza nei tessuti degli animali avvelenati (possono permanere nel fegato dei ratti anche fino a 200 giorni), con l’ovvia conseguenza che il potenziale dannoso può riverberarsi anche in un notevole arco di tempo.
Inoltre, considerando che il principio attivo è particolarmente “capillarizzato”, è possibile che anche piccole quantità di prede avvelenate possono essere deleteri per gli animali non bersaglio (come i rapaci notturni).
Per una maggiore comprensione circa la reale persistenza del principio attivo si evidenzia, con riferimento all’avvelenamento primario che tra l’assunzione della dose letale del veleno e la morte del roditore possono infatti trascorrere fino a 6 giorni dopo aver assunto esche con principio attivo Brodifacoum e che da tale morte fino all’ingestione del roditore da parte del predatore (avvelenamento secondario) può avvenire in un lasso di tempo piuttosto lungo: appare sempre più evidente come la pericolosità del principio attivo sia collegata oltre che alla sua intensità anche alla sua notevole persistenza nel tempo.
Inoltre il discreto home range di alcune specie di roditori è tale da giustificare un elevato rischio di intossicazione secondaria per molti predatori.
Da quanto su esposto, appare evidente come l’utilizzo dei rodenticidi, possa interferire con numerose specie non bersaglio dei piani di controllo, sia selvatiche che domestiche.
Al fine di ridurre le conseguenze di cui sopra, pertanto, appare indispensabile valutare nel dettaglio il possibile impatto dei rodenticidi nei confronti delle specie che in natura partecipano di più alla predazione e contenimento dei roditori .
Tra le tante indagini effettuate sui vari predatori, particolare importanza hanno quelle effettuate sugli Strigiformi (presenti, oltre che in Europa che in altri continenti).
I vari studi effettuati hanno evidenziato sul corpo rinvenuto di tali animali (costituenti come abbiamo già detto specie non bersaglio) la presenza di residui di rodenticidi anticoagulanti (soprattutto quelli di seconda generazione), individuando un possibile rischio di estinzione di alcune specie in molte aree del continente.
In Canada è stato riscontrato come uno dei principali fattori limitanti le popolazioni del cd. “Barbagianni reale”, più comunemente detto Gufo delle nevi o Civetta delle nevi -Bubo scandiacus-, ivi presenti fino a pochi anni fa in misura cospicua, siano proprio i rodenticidi anticoagulanti.
Analoghe ricerche sono state effettuate anche in Italia, da parte di un team di ricercatori che ha analizzato, nel corso di una ricerca durata due anni, 39 animali tra allocchi, barbagianni, civette e gheppi rinvenuti morti e raccolti dal personale delle aree protette, nonché alcuni esemplari forniti dal Centro recupero fauna selvatica della Lipu di Roma.
Dalle indagini è strato riscontrato che essi avevano ingerito le esche utilizzate nei centri abitati, aree industriali o agricole, per contenere le popolazioni di roditori, (sono costituite da rodenticidi). Le analisi sugli animali sono state eseguite con la tecnica della Hplc Fluorescenza, che (in tutto) ha cercato nel fegato degli uccelli sette diversi anticoagulanti. Il livello di contaminazione è risultato del 41,2%, pari a quasi la metà dei campioni esaminati. La specie che ha subito la maggiore contaminazione è la civetta (70%), ma anche il livello relativo a gheppio e allocco è risultato elevato (35%).
Appare evidente, pertanto, come anche in Italia a causa del cattivo uso dei rodenticidi anticoagulanti, sussista il reale pericolo di estinzione di molte specie non bersaglio, che si nutrono di roditori.
Oltre al rischio di intossicazione primaria/secondaria vi è anche un rischio di natura ambientale. I rodenticidi, infatti, sono sostanze chimiche persistenti (P), bioaccumulabili (B) e tossiche (T), o molto persistenti (very Persistent, vP) e molto bioaccumulabili (very Bioaccumulative, vB). Ciò significa che esse sono scarsamente biodegradabili nell’ambiente (= persistente), accumulabili negli organismi e quindi, nella catena alimentare (= bioaccumulabile), nonché altamente pericolosi (= tossico) per l’uomo o per altri organismi presenti nell’ambiente.
In linea di principio, l’introduzione di sostanze PBT nell’ambiente deve essere evitata, a prescindere dalla loro concentrazione (es. in un biocida) e dalla quantità. Il motivo è che una volta rilasciate nell’ambiente, sostanze di questo tipo possono persistere per lunghi periodi di tempo nelle acque, nel suolo e anche nella catena alimentare. Tutti i rodenticidi anticoagulanti di seconda generazione sono stati identificati come potenziali sostanze PBT e alcuni di essi, anche potenziali vPvB. I rodenticidi di prima generazione sembrano essere meno problematici perché, dalle valutazioni, sono risultati non- bioaccumulabili e meno tossici.
Considerazioni finali
Da quanto su esposto, appaiono evidenti le gravissime controindicazioni e conseguenze per l’uomo, gli animali e l’ambiente legati all’uso dei rodenticidi anticoagulanti. Abbiamo analizzato la tecnica in uso in Israele, che ad oggi appare l’unica in grado di contenere le popolazioni dei roditori infestanti, nel rispetto dell’ecosistema e della salute umana.
L’uso di biocidi dovrebbe essere un mezzo di ultima istanza e dunque ridotto al minimo indispensabile. L’unica strada ad oggi percorribile per risolvere il problema e contestualmente tutelare ambiente e salute umana è quella praticata dallo stato di Israele (inserimento e contestuale aumento del predatore naturale).
Sarebbe pertanto opportuno che lo Stato, di concerto con le Regioni, anche in considerazione del mutato quadro costituzionale che impone una maggiore tutela dell’ambiente e degli animali, investa maggiori risorse sia nella ricerca di principi attivi a minore impatto ambientale, sia nella diffusione di tecniche ecocompatibili, promuovendo contestualmente un’azione di sensibilizzazione degli utilizzatori, nella formazione di una cultura più ambientalista che preferisca l’utilizzo di strumenti e metodologie più ecosostenibili.
Bibliografia:
-Linea Guida sulla buona pratica d’uso delle esche rodenticida ad uso nell’Unione europea- Cefic European Chemical Industry Council;
-Uso dei rodenticidi anticoagulanti in Italia: misure di mitigazione del rischio e norme di buona pratica – Istituto Superiore di Sanità – di R. Cabella, G. Bellomo, M. Rubbiani;
-Limitazioni all’uso dei rodenticidi anticoagulanti ultimo passo obbligato verso l’Integrated Pest management (ipm) di Paolo Guerra;
-Aspetti tossicologici ed epidemiologici dell’avvelenamento da rodenticidi negli strigiformi e possibili risvolti gestionali di Pascotto, M. Maset., P. Tomè;
-Natura: rapaci minacciati dai pesticidi per i topi di Marilisa Romagno.
-Foto di William Vivarelli.
Mino Martignano, diplomato all’Istituto Professionale per l’Agricoltura, è abilitato all’esercizio della professione di Agrotecnico. Attualmente è Carabiniere-forestale. E-mail: minomartignano81@gmail.com.