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Ecologia, Malaria e Caio Mario Coluzzi Bartoccioni

Biologo paludista e ambientale, colui che connesse l’ecologia a una delle patologie ambientali più impattanti di origine animale, zoonosi (ma non solo la malaria) e venne dimenticato

di Giuliano Russini

Bonifica agraria in Africa
Figura-1: Bonifica idraulica, nel periodo fascista, nell’Africa orientale Italiana (AOI), Somalia.

L’Italia è un paese strano per molti versi, uno di questi è spesso non dare il giusto valore a tecnici e scienziati natii, che hanno dato contributi in determinati campi del sapere, di grande valore; il perché ciò accada, non è facile da sapere, ma spesso si percepisce uno strano sentore di gelosia verso determinate classi professionali, supportate anche dall’ignoranza in campo scientifico di alcuni elementi coinvolti della classe politica, questo in qualsiasi periodo storico italiano.
In questo articolo, voglio parlare di uno scienziato e studioso, che con lavori su campo, contribuì fortemente a comprendere la Malaria, la sua storia evolutiva e la necessità di un approccio ecologico, per la sua eradicazione, dimostrando che non fu l’uso massivo del DDT a garantirne l’eradicazione, puntando su studi di campo, grazie alla sua formazione di biologo nello specifico ecologo sanitario e biologo paludista.
Mi riferisco a Caio Mario Coluzzi Bartoccioni (da ora in poi indicato come CMCB), figlio dell’Epidemiologo Alberto Coluzzi e della educatrice tedesca Anna Wimmer.
Nacque a Perugia nel 1938 e morì a Roma nel 2012.
Il padre Alberto Coluzzi medico epidemiologo, spinse il figlio Caio Mario a iscriversi a Scienze Biologiche, poiché era cosciente del fatto che solo l’approccio medico per malattie che hanno origine ambientali, non era sufficiente, ma necessitava di una robusta preparazione in botanica, zoologia (invertebrati e vertebrati), ecologia (animale e vegetale), entomologia, etno-antropologia, biologia evolutiva, ovvero discipline biologico-naturalistiche, molto antiche, che non erano bagaglio culturale del medico, o veterinario, ma del biologo…e sono la base di formazione di esso, ove sinergia con la microbiologia sia animale che vegetale, dell’acqua e del suolo, la parassitologia e la genetica, formavano la cosiddetta “igiene ambientale”.
Descriverò brevemente la carriera di CMCB, per notificare che ha avuto un ruolo fondamentale a livello internazionale, poi una panoramica della Storia della Malaria in Italia e i vari progetti Nazionali per la sua eradicazione, vedremo come CMBC ebbe un ruolo chiave, durante gli anni ’50 del secolo scorso, dove la malaria era ancora presente in Italia in alcune aree e nel mondo in diversi continenti, per capirne le caratteristiche ecologiche e i metodi di contrasto.

Il Dr Caio Mario Coluzzi Bartoccioni
Foto-1: Il Dr Caio Mario Coluzzi Bartoccioni, in una stanza della proprietà del padre “Casa delle Palme” a Monticelli, Esperia, dove allevava zanzare del genere Anopheles, per i suoi studi.

Tra le varie affiliazione e riconoscimenti di CMCB, troviamo (oltre 150 pubblicazioni di livello internazionale e nazionale e diversi libri su questi argomenti), l’essere stato membro del Committee on Malaria Prevention and Control dello United States Nationale Academy of Science (USNAS), ha fatto parte della Task Force on Malaria Prevention and Control dell’Advisory Group on the Control of Tropical Diseases, e della Task Force for the Multilateral Initiative on Malaria (MIM). Fu sodale della Royal Society of Tropical Medicine and Hygiene e della Società Italiana di Parassitologia. Venne premiato nel 1989 dall’Accademia dei Lincei con il Premio Feltrinelli.

Breve storia della Malaria (mal…aria: Aria insalubre) in Italia
I primi metodi di lotta al fenomeno del paludismo (sinonimo di malaria), avvennero in Sardegna, mediante la raccolta con retini delle larve di anofele, nelle acque insalubri (fossati, canali agricoli, capifossi, zone umide, pozze di acqua, zone a canneto, pozzi agricoli…), con una percentuale di successo bassa.

La raccolta di larve di anofele
Foto-2: Personale intento alla raccolta di larve di anofele, in una zona umida, Sardegna, 1940.

La Malaria nella seconda Guerra Mondiale, venne utilizzata come vera e propria arma biologica dai tedeschi
La Seconda Guerra Mondiale, come si era verificato durante la Prima, determinò una grave ripresa delle infezioni di Malaria e della trasmissione del plasmodio in diverse zone del paese, a causa dell’interruzione degli interventi profilattici e, verso la fine della guerra, per la distruzione sistematica delle opere di bonifica del periodo Fascista, da parte dei tedeschi. I sabotaggi furono veri e proprio atti di “guerra biologica”, progettati da malariologi tedeschi chiamati appositamente dalla Germania alla fine del 1943 per ricreare, soprattutto nell’Agro Pontino e nell’Agro Romano, l’ambiente adatto allo sviluppo dei vettori malarici più pericolosi (Anopheles labranchiae).
Epidemie di notevoli proporzioni colpirono le zone più predisposte, ma anche regioni in cui la malaria era scomparsa da anni, o era ormai avviata ad una rapida estinzione, come la provincia di Frosinone. L’epidemia di Cassino e della valle del Liri, fu la conseguenza delle devastazioni prodotte dal bombardamento nel febbraio del 1944, in particolare della formazione di crateri che, a seguito delle piogge, fornirono ambienti adatti alla riproduzione di zanzare. Nel 1944, il numero di casi a livello nazionale salì a 133.842, però con “soli” 421 decessi – meno dei due anni precedenti.

L’illusione americana del DDT (dicloro-difenil-tricloroetano)
Durante la guerra emergeva una nuova idea di controllo antimalarico, basato sull’uso di insetticidi ad azione residua. Gli insetticidi a base di fiori di piretro erano già utilizzati, ma poco efficaci per un impiego diretto contro la zanzara alata, a causa della elevata quantità necessarie per raggiungere un effetto tossico e della scarsa persistenza dell’azione insetticida. Con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, le difficoltà di approvvigionamento del piretro, la cui produzione era controllata in gran parte dai giapponesi, aveva stimolato la ricerca di nuove sostanze.
L’insetticida che avrebbe consentito di controllare le epidemie causate dalla Guerra e poi di sconfiggere la malaria in Italia e in altre zone temperate del mondo, era il DDT (dicloro-difenil-tricloroetano), che arrivò insieme agli americani nel settembre del 1943 e fu utilizzato per la prima volta in polvere, per spegnere un’epidemia di tifo esantematico (trasmesso dai pidocchi) a Napoli. Sintetizzato nel 1874, era stato ignorato fino al 1939, quando la sua efficacia fu scoperta dallo svizzero Paul Hermann Müller, alla ricerca di un prodotto da usare contro i pidocchi. Fu sperimentato negli Stati Uniti su diversi insetti, comprese le zanzare, nel 1942. Nel 1944, il DDT fu sperimentato per la prima volta in Italia, per il controllo della malaria a Castel Volturno (a nord di Napoli) dall’”Unità Dimostrativa per il Controllo della Malaria” della Rockefeller Foundation, guidata dal malariologo Patrick Russel e dal biologo Fred Soper. Spruzzato sulle pareti delle abitazioni e delle stalle, il prodotto si rivelò efficace nel ridurre la densità di zanzare e il livello di trasmissione della malattia. Nel luglio dello stesso anno furono trattate numerose abitazioni a Ostia e nel giugno del 1945 la sperimentazione fu estesa al Delta del Tevere, alla zona sud-orientale delle paludi pontine e alla zona di Cassino. Il DDT fu utilizzato nella prima fase di sperimentazione, anche per la lotta contro le larve, spruzzandolo a intervalli regolari sulle zone allagate per mezzo di aerei.

DDT contro la malaria
Figura-2: Nel DDT si intravvedeva una panacea (effimera) contro la malaria, anche in Italia, come poi i biologi ecologi sanitari e biologi paludisti, intuirono non essere vero.

Utilizzo del DDT sulle persone
Foto-3: Utilizzo del DDT per spegnere una epidemia di tifo esantematico trasmesso dai pidocchi a Napoli, nel 1943.

Piano di Eradicazione in Italia
L’azione sanitaria che avrebbe portato all’eradicazione della malaria in Italia, fu possibile grazie all’offerta dell’UNRRA, che nel 1946 stanziò 1.179.075.000 lire per un programma “Quinquennale” di lotta antimalarica volto a risolvere definitivamente il problema attraverso l’impiego “esclusivo” dei nuovi insetticidi a effetto residuo. Un Piano quinquennale per il risanamento dell’Italia fu presentato nel gennaio del 1946 da Alberto Missiroli, che suddivideva l’Italia in quattro zone, in rapporto alla specie vettrice prevalente e alla sua diffusione.
L’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità (ACIS) ritenne di attuare il piano con criteri strategico-organizzativi diversi. I punti fondamentali erano: a) conduzione unitaria, ovvero centralizzata, della lotta antimalarica; b) riconoscimento dell’inutilità e impraticabilità di qualsiasi progetto che mirasse all’eradicazione di specie vettrici esistenti da tempi immemorabili nella Penisola (come si cercava di fare in Sardegna); c) disponibilità da parte dello Stato a farsi carico degli oneri finanziari necessari per raggiungere l’obiettivo dell’eradicazione, dato che i fondi UNRRA sarebbero stati insufficienti; d) la messa al bando di ogni esclusivismo dottrinario, come quello sostenuto dagli esperti dell’UNRRA che intendevano finanziare esclusivamente la lotta contro la zanzara alata mentre si dovevano identificare anche i portatori del parassita (Plasmodium falciparum, P.vivax, P.ovale, P.malariae e P.knowlesi; si pensa che la forma che affligge di più l’essere umano il Plasmodium falciparum, la malaria terzana, la forma maligna, sia originato dallo scimpanzé o gorilla, è che recentemente, circa 8-10.000 anni fa, si trasmise all’Homo sapiens) e sostenere lavori di piccola bonifica.

Caio Mario Coluzzi Bartoccioni, scopre i danni del DDT capendo che il miglioramento e l’eradicazione della Malaria in Italia avvennero per altre ragioni
«Le infezioni sono ecosistemi»: partendo da questo paradigma, il biologo paludista ed ecologo sanitario Bartoccioni, comprese che in realtà, non fu il DDT ad avere la meglio sulla malaria, nelle paludi insalubri e nei centri rurali italiani, spruzzandolo sia all’interno delle abitazioni che nelle stalle, poiché effettivamente l’agente abbassava solamente di un po’ la densità della forma alata dell’insetto, non agendo sulle larve, né sulle loro capacità infettive, nel momento in cui inoculavano l’agente plasmodio. Lui arrivò a comprendere che le bonifiche idrauliche, la sistemazione fondiaria, la riduzione dell’umidità relativa (UR%), il drenaggio dei terreni erano i veri fattori che limitavano il progredire del ciclo biologico della anofela, facendola morire e quindi interrompendo la progressione della malaria.
Inoltre, comprese che in ambiente subsahariano, al contrario, i fattori di trasformazione ambientale indotti dall’uomo (deforestazione, irrigazione, desalinizzazione delle aree costiere), hanno il solo effetto di moltiplicare i siti e le opportunità riproduttive del vettore, incrementando la trasmissione parassitaria.
Il biologo italiano intuì anche nei suoi studi su campo in Albania, nelle aree sub-sahariane ma anche in aree Tropicali come Venezuela, Bolivia, Costa Rica e Borneo dove passò molti anni, facendo perlopiù lavoro da campo, studiando i cicli biologici delle anofele, correlandoli con il clima e microclimi in relazione all’ecosistema in cui si trovava, che nel caso dell’Italia, il DDT usato secondo il “metodo italiano” non uccideva le zanzare, ma esercitava solo un effetto irritante, per cui causava la loro fuoruscita dalle abitazioni, dove la temperatura consentiva lo sviluppo del parassita. Nelle regioni temperate invece, anche in estate, la stagione principale della trasmissione, la temperatura di notte scende normalmente sotto i 19-18°C, cioè sotto il minimo termico necessario perché il plasmodio riesca a svilupparsi nel vettore. In pratica le zanzare infette morivano prima di diventare infettanti. L’eradicazione della Malaria dall’Italia usando il DDT fu possibile quindi perché, dato il contesto climatico ed ecologico e il miglioramento degli ecosistemi agricoli, la trasmissione dipendeva solo dalla presenza dei vettori nelle abitazioni e la presenza di una variazione stagionale, ne interrompeva la trasmissione.

Contrariamente a quanto avviene invece nelle aree Tropicali
Nelle regioni tropicali ove ancora oggi persiste la malaria, le temperature sono costanti giorno e notte e sempre favorevoli allo sviluppo del parassita, per cui la trasmissione è perenne e il DDT non esercitava alcun effetto di controllo in quei contesti ecologici di riproduzione del vettore, nei quali peraltro le attività agricole umane non contrastano la malaria, ma la favoriscono.

Somministrazione di DDT in casa
Foto-4: Somministrazione di DDT in una casa rurale, durante gli anni ’50 del secolo scorso.

Caio Mario Coluzzi Bartoccioni a solo diciotto anni, appena iscritto a Scienze Biologiche, intuì e pubblico sulla resistenza da parte dei vettori anofeli italiani al DDT
Importanti sono i suoi contributi anche sulla genetica dei vettori malarici, che lo hanno portato al riconoscimento dell’esistenza di sei specie gemelle del genere Anopheles, ciascuna in possesso di diversa capacità di contribuire alla diffusione della malattia. Collegato a questo lavoro è l’ipotesi da lui avanzata sull’origine e diffusione della forma «fatale di malaria, la terzana», dovuta all’opera di una specie di Anopheles spiccatamente antropofilica che circa 8.000-10.000 anni fa, probabilmente passando dallo scimpanzé (Pan troglodytes) o, secondo ipotesi più recenti dal Gorilla (Gorilla gorilla) all’uomo, ha dato inizio al processo che avrebbe portato all’espansione e diffusione attuale della malattia; questo, secondo il biologo italiano, avrebbe coinciso anche con la capacità dell’Homo sapiens di divenire stanziale e con la nascita dell’agricoltura e pastorizia, ovvero i prodromi alla nascita dei villaggi, città e della urbanizzazione. Nel contempo, fu molto esplicito anche nel definire come il DDT utilizzato massivamente ovunque, anche in Italia, fosse lesivo per gli ecosistemi e le biocenosi, per le piante, gli animali (flora e fauna) e quindi anche per l’essere umano e che i suoi effetti nocivi, essendo un insetticida a «effetto residuo» si sarebbero protratti negli anni ed entrati nelle catene alimentari e in contemporanea alla biologa americana Rachel Carson aveva intuito come esso sarebbe stato causa, di molte “Primavere Silenziose”.

Attuale distribuzione geografica della Malaria
Alla fine della seconda guerra mondiale la malaria interessava tutta l’Europa, ad eccezione dei paesi Scandinavi, l’Africa, l’Asia e la settentrionale dell’Australia. Era inoltre diffusa nel continente Americano all’incirca tra il 40° parallelo Nord ed il 20° Sud.
Attualmente essa permane in buona parte del continente Sud-Americano, in Africa, lungo le coste dell’Arabia, nei paesi dell’Asia sud occidentale (Iran -Persia-, Pakistan, etc.) nella Cina sudorientale, in Indocina e Indonesia.
Si sta riducendo in America centrale (Mesoamerica) e in India.
L’eradicazione della malaria nelle zone caldo-umide è difficile per l’andamento non stagionale, ma continuo dell’infezione durante il corso dell’anno.

Diffusione della Malaria nel mondo
Figura-3: Regioni del globo dove non c’è più malaria o non è mai esistita (in bianco), Regioni a rischio limitato (in grigio) e Regioni dove la malaria è più presente (in arancione).

Bibliografia

  • Landscapes of Disease- Malaria in modern Greece, Katerina Gardikas, 2018
  • UNRRA is now carrying out an intensive anti-malaria campaign in Greece by means of DDT spraying planes.
  • Interférences politiques et médicales : le rôle de l’UNRRA à la lutte antipaludique en Grèce, 2018
  • Malaria, DDT e Disinformazione, Alberto Guidorzi, 2017

Giuliano Russini è laureato in Scienze Biologiche indirizzo Botanica applicata, perfezionamento in botanica ambientale e Fitopatologia, igiene e ecologia urbana. Curriculum vitae >>>