di Ilenia Bravo, Ilenia Colamatteo, Enrica Iannucci, Patrizia Papetti
Carciofo Cynara cardunculus scolymus (foto https://www.siciliaagricoltura.it/)
Introduzione
Tra le sfide che caratterizzano la società moderna, alcune sono orientate alla sostenibilità delle filiere produttive alimentari e ad una prospettiva di recupero e riutilizzo delle risorse disponibili. Secondo le stime riportate dalle principali Organizzazioni Mondiali (ONU, FAO, ecc.), emerge che, ad oggi, circa 2 milioni di tonnellate di cibo prodotto non vengono consumate, ma rappresentano prodotti di scarto, rendendo quindi il problema dello spreco alimentare importante sotto 2 punti di vista: lo smaltimento di quei prodotti che non vengono trasformati e la perdita di cibo consumabile (Testa et al., 2014). Dai dati relativi alla situazione alimentare nel Mondo, emerge che il livello di gravità è tale che la mortalità legata alla sovralimentazione è pari a 29 milioni, mentre sono 36 milioni le persone che non hanno accesso all’approvvigionamento e ad un sostentamento alimentare adeguato.
Questa situazione si riflette anche nel settore zootecnico che per soddisfare le richieste di cibo, ha intensificato la propria produzione; ne consegue che circa un terzo delle risorse alimentari è destinato all’alimentazione animale che a sua volta, richiede fabbisogni idrici con incidenza maggiore rispetto all’uso agricolo, stimati nel 2050 in circa 45 miliardi di m3 di acqua.
Dagli studi sull’impatto economico dei prodotti alimentari destinati allo smaltimento, molte delle responsabilità sono riconducibili ai sistemi di gestione della produzione e della distribuzione nell’ambito della filiera (Mahdi et al., 2010; Nahman e De Lange, 2013). La perdita di cibo, definita come la riduzione involontaria del cibo destinato al consumo umano, deriva da una serie di inefficienze lungo la filiera alimentare, come la mancanza di infrastrutture e di logistica, la mancanza di tecnologia, di competenze o capacità gestionali (Lanfranchi et al., 2014).
La maggior parte dei recenti studi sulla formazione degli scarti alimentari, mostrano come spesso la generazione degli stessi rifiuti sia inevitabile, soprattutto durante le fasi a monte e a valle del processo produttivo: molti di essi non possono essere consumati, perché alterati e/o danneggiati, o perché derivati da una sovrapproduzione e una inadeguata gestione (Graham-Rowe et al., 2014; Lanfranchi et al. 2020).
Il settore agroindustriale, in particolare, è di grande interesse per l’enorme quantità di residui e sottoprodotti che si generano, e che potrebbero essere convertiti in composti di alto valore aggiunto sotto diversi aspetti, soprattutto dal punto di vista nutritivo.
Dai dati emersi dal rapporto dell’“Institution of Mechanical Engineers British Agency”, emerge che le pratiche agricole sono tra le cause di maggiore responsabilità nella produzione delle eccedenze alimentari, che si verificano principalmente nelle fasi di produzione e lavorazione post-raccolta, ovvero quando i prodotti rimangono nel campo o quando vengono scartati durante la lavorazione, lo stoccaggio e il trasporto (Parfitt et al., 2010; Tudisca et al., 2013).
La ricerca condotta da Lanfranchi et al. (2020), nella regione Sicilia ha mostrato che il settore alimentare che contribuisce maggiormente allo spreco alimentare è quello ortofrutticolo. Gli stessi sottoprodotti vegetali (foglie, steli, bucce, radici, ecc.), che vengono prodotti dalle industrie di trasformazione, o gli stessi scarti agricoli che non vengono raccolti, rappresentano un’enorme quantità di materiale non utilizzato. Quest’ultimi possono arrivare a rappresentare anche l’80% della biomassa totale della pianta, in base alle diverse tipologie orticole, quando potrebbero invece essere sfruttati come fonte di composti nutritivi bioattivi e materie prime per produrre additivi alimentari e nutraceutici. Inoltre, i residui vegetali rimanenti si sono rivelati risorse pregiate sia per produrre bioenergia che nella pratica del sovescio (ritorno in campo), chiudendo così il ciclo del paradigma dell’economia circolare.
La fase di raccolta e lavorazione agricola produce la maggior parte degli scarti vegetali, e per quanto riguarda la produzione di carciofi questo problema diventa ancora più importante perché circa il 70 per cento della biomassa totale non è commestibile. Le parti edibili costituiscono solo il 30-40% del peso fresco della pianta, preferibilmente infatti, si consuma solo la porzione centrale del frutto, il cosiddetto “core”, riducendo questa frazione a circa il 20 per cento; gli steli, le brattee esterne e le foglie vengono rimossi, il che si traduce in oltre 460.000 tonnellate di rifiuti generati ogni anno.
Da uno studio di Francavilla et al. (2021) è emerso che la biomassa di carciofo residuale in campo, era di circa 33 tonnellate in peso secco per ettaro. Foglie, steli e radici rappresentavano circa un terzo della biomassa totale, rispettivamente 10,54 t /ha, 10,68 t/ha e 11,16 t /ha. Questi dati sono superiori a quelli riportati di recente da Pesce et al. (2017), che hanno trovato per tre diverse cultivar (Spinoso sardo, Violetto di Sicilia e Apollo) biomassa residua che variava tra 5,1 t/ha e 13,8 t/ha.
Per quanto riguarda la quantità residuale del carciofo ibrido varietà Madrigal, essa è molto elevata rispetto ad altre colture annuali (tra cui frumento, orzo, segale, avena, mais, riso, ceci, lenticchie, cotone, girasole, soia e tabacco), che producono in media meno di 5 t/ha di residui post-raccolta.
È interessante notare che la quantità di residui colturali di carciofo madrigale è molto vicina alla biomassa prodotta dal cardo coltivato (entrambi appartenenti alla stessa specie), che può produrre fino a 36 t/ha; da sottolineare che il cardo produce biocarburante più economico rispetto a tutte le altre colture bioenergetiche.
- Caratteristiche e proprietà del carciofo
Il Carciofo (Cynara cardunculus var. Scolymus L. Hayek) è una specie vegetale appartenente alla famiglia delle Asteraceae, originaria dell’area mediterranea ed oggi ampiamente coltivata in tutto il Mondo. Esistono molte varietà, ognuna con uno specifico periodo di fioritura che determina la stagionalità e i tempi di raccolta, che di solito procede dall’autunno alla primavera.
Dal punto di vista agronomico la pianta può raggiungere un’altezza di 1,5 metri con portamento vigoroso, media tolleranza alla salinità e grande capacità di adattamento a condizioni ambientali calde e aride; utilizza efficacemente la pioggia come riserva idrica ed ha un’elevata tolleranza agli stress biotici e abiotici, consentendo la coltivazione senza l’ausilio di trattamenti chimici.
Dal punto di vista fisiologico presenta un rizoma che germina in più steli, cilindrici e striati longitudinalmente, mentre i fiori sono rappresentati da una forma sferoidale o conica di 5-15 cm di diametro. La porzione edibile di questa pianta comprende il ricettacolo carnoso e concavo, i fiori immaturi e le brattee interne, che si formano alla sommità del fusto principale. Le brattee circondano una porzione centrale, ricca di composti fenolici bioattivi, di inulina, di componenti fibrose e minerali, e con un basso contenuto di grassi. Questa composizione consente al carciofo di essere utilizzato come alimento per le sue attività diuretiche, epatoprotettive, ipolipemizzanti e antiossidanti.
Tali proprietà nutritive e la facilità di coltivazione, hanno permesso alla pianta del carciofo di essere uno degli alimenti principali della dieta mediterranea. Oltre agli effetti benefici sulla salute, contribuisce all’economia agricola dei paesi produttori, con l’Italia leader nella produzione mondiale, seguita da Egitto e Spagna.
Secondo i dati Istat 2021, l’Italia ha una superficie totale coltivata a carciofo pari a circa 37 mila ettari e una produzione di 362 mila tonnellate, in lieve calo rispetto all’anno precedente. Le regioni più produttive sono la Sicilia (14.230 ha), la Puglia (11.920 ha), la Sardegna (6.821 ha), il Lazio (1.000 ha) e la Campania (972 ha). Ha inoltre ottenuto importanti certificazioni di qualità quali: il Carciofo di Brindisi IGP, il Carciofo di Paestum IGP, il Carciofo Romanesco del Lazio IGP, e il Carciofo Spinato di Sardegna DOP. Un grande patrimonio di biodiversità da tutelare e salvaguardare, sia per gli aspetti ambientali che economici, soprattutto in riferimento alla concorrenza del mercato.
Secondo Grabowska et al. (2018) il valore della produzione del carciofo è generalmente superiore agli altri ortaggi comuni, ma molto spesso questo non riflette la resa commerciale. In generale, la resa varia da 8 a 17 t/ha, a seconda del metodo di coltivazione, della fertilizzazione e della cultivar, ma sono state registrate anche rese superiori a 20 t/ha (Pesti et al. 2004; Shinohara et al., 2011; Ierna et al., 2012).
Molti autori sono d’accordo sull’applicazione di tempi e modalità produttive innovative, che potrebbero aumentare le rese, anche in quelle regioni dove le condizioni ambientali non sono proprio favorevoli e in cui questa specie non ha una grande tradizione, come il Perù, l’Argentina o l’Iran, per fornire nuove opportunità di mercato alle economie agricole di questi Paesi (Macua, 2007; Shinohara et al., 2011; Grawboska et al. 2018).
- Sostenibilità della coltivazione del carciofo
Negli ultimi vent’anni, per la necessità di trovare alternative ai combustibili fossili, sono state prese in considerazione fonti rinnovabili e, di conseguenza, l’interesse per la biomassa vegetale è aumentato.
Fra le fonti di energie rinnovabili, le biomasse costituite dagli scarti agricoli e agro-industriali, rappresentano una delle soluzioni più interessanti per diverse ragioni: per la possibilità di produrre energia con investimenti relativamente modesti; per la capacità di immagazzinare quantità rilevanti di carbonio nel suolo e per la possibilità di recupero di terre marginali e abbandonate, offrendo nuove opportunità di mercato.
- Utilizzo della biomassa come fonte energetica
Seguendo una tendenza generale verso il riciclo delle biomasse, compresi i rifiuti alimentari e residui agroindustriali, sono stati condotti diversi studi di ricerca al fine di trovare nuovi percorsi per la valorizzazione dei residui di carciofo come fonte energetica (Mirabella et al. 2014).
Molti genotipi di carciofo, in ragione della grande quantità di biomassa lignocellulosica prodotta durante il ciclo colturale, sono una preziosa fonte di energia rinnovabile a costi contenuti in termini di gestione del suolo. Inoltre, sia le coltivazioni di carciofo che di cardo, compreso quello selvatico, sono in grado di ridurre le emissioni di gas serra e garantire l’approvvigionamento energetico attraverso l’estrazione e la fermentazione di sostanze organiche e olio di semi (Mauromicale et al., 2015). La produzione di biomassa di questa famiglia, secondo Barracosa et al. (2019), potrebbe ancora essere aumentata (fino al 50%), attraverso combinazioni di fertilizzanti minerali e una corretta pacciamatura, riducendo l’impatto ambientale della coltivazione; infatti, si ridurrebbero le emissioni di N2O del 36% e il potenziale di riscaldamento globale diminuirebbe del 26%.
Secondo i dati della “Biomass Energy Potential Map for Turkey (BEPA)”, in Turchia vengono prodotte circa 40 mila tonnellate di Cynara cardunculus L. ogni anno, generando approssimativamente 225mila tonnellate di residui; la sola regione di Smirne ne produce il 32,5% (Uysal et al.2021).
Gündoğan, e Koçar (2022), hanno studiato l’uso di questi residui come fonte energetica per diversi sistemi attivi di biogas di alcune regioni della Turchia; è stato calcolato che circa il 2% della popolazione di Smirne, potrebbe soddisfare il proprio fabbisogno energetico utilizzando l’equivalente energetico dei propri scarti vegetali.
Una coltivazione su larga scala del cardo Cynara cardunculus L. specifico per la produzione di biomassa, è stata installata in una regione del Portogallo meridionale, caratterizzata da estati molto calde e secche. Questo è considerato il più grande campo continuo mai coltivato (77,4 ha), la cui resa in biomassa è stata di 7,5 t/ha. È stata valutata anche la resa media in semi, per il loro elevato contenuto di olio (di 603 kg/ha) e il loro potenziale utilizzo per la produzione di biodiesel (Gominho et al. 2011; Gominho et al. 2018).
A differenza di altri biocarburanti come il bioetanolo proveniente da mais e il biodiesel dalla colza, l’energia termica prodotta dalla specie Cynara potrebbe portare così ad uno stato dell’arte rivoluzionario, costituendo un esempio di Economia Circolare (Grammelis, et al. 2008; Oliveira, et al. 2012; Pesce, et al. 2017; Petropoulos et al. 2018; Zayed, et al. 2020).
- Utilizzo della biomassa come materia prima agroalimentare
Negli ultimi anni, la crescente domanda di alimenti funzionali ha portato allo sviluppo dell’industria agroalimentare e ad un grande interesse per la qualità dei prodotti orticoli ricchi di composti naturali con proprietà antiossidanti. Le nuove tecnologie sono particolarmente efficaci e versatili perché possono essere applicate facilmente all’estrazione di principi attivi a partire da scarti agro-industriali (gambi, brattee, radici), di diverse specie sia orticole che arboree (cardo, lupino, mirto, olivo etc.).
Per quanto concerne il carciofo, le sue funzioni biologiche ed in particolare le sue proprietà antiossidanti, sono correlate alla sua specifica composizione chimica.
Gli scarti e i sottoprodotti possono essere utilizzati come materia prima per estrarre ingredienti alimentari e sostanze nutraceutiche, come ad esempio l’estratto di inulina e/o gli estratti di composti fenolici come ingredienti alimentari bioattivi, additivi e nutraceutici (Lattanzio et al. 2009; Lavecchia et al. 2019; Mohammed et al. 2020; Borroni et al., 2021; Mohammed et al. 2021).
Sono stati condotti diversi studi al fine di trovare nuovi percorsi per la valorizzazione in campo nutraceutico, dei residui di carciofo. Secondo Zuorro et al. (2020), il suo contenuto fenolico è superiore ad altre fonti vegetali, come bucce di carote, vinacce e fondi di caffè esausti; mentre un’interessante quantità di inulina contenuta nelle sue radici (6–21%) è stata recentemente segnalata da Castellino et al. (2021). Da questo lavoro emerge inoltre che il progressivo passaggio dalla tradizionale coltivazione poliennale del carciofo, al più breve ciclo colturale annuale, permette l’aumento dei volumi di radici, che annualmente vengono estirpate o interrate e che costituiscono un “rifiuto” agricolo emergente, tale da fornire fino a 200 g/Kg di inulina per radice.
Pertanto, l’impiego di tecnologie di estrazione innovative, come l’estrazione con l’ausilio degli ultrasuoni o l’utilizzo di membrane, consente di ottenere rese elevate con un impatto ambientale notevolmente ridotto (Romani et al. 2016). Le ricerche hanno inoltre dimostrato che, genotipo, ambiente e tecnologia di estrazione, influenzano le proprietà degli estratti e che gli stessi sono adatti anche come substrato di crescita per i batteri probiotici (Fratianni et al. 2014; Dias et al.2018).
- Conclusioni
In questo articolo abbiamo preso in considerazione la letteratura sia recente che più remota, per evidenziare il ruolo del carciofo nelle attuali sfide alimentari ed energetiche che interessano la nostra società, per identificare i meccanismi alla base della sua produzione sostenibile, a partire dalla caratterizzazione agronomica.
L’interesse per lo studio di Cynara cardunculus var. Scolymus, nasce per la capacità della specie di essere facilmente coltivabile e di avere un ampio areale; oltre ad avere un importante profilo nutrizionale e specifiche proprietà biologiche, che hanno effetti positivi e influenzano le diverse attività del corpo umano. Queste caratteristiche rendono questa specie adatta ad essere sfruttata per soddisfare le diverse esigenze dei mercati alimentari globali e delle economie locali, e allo stesso tempo diventare una risorsa energetica e una soluzione alle sfide legate alla sostenibilità e alla tutela delle risorse naturali.
I risultati di questo lavoro sono importanti per evidenziare le potenzialità di valorizzare le risorse di un territorio e di rafforzare il legame con il settore agricolo e la sua multifunzionalità. Questo obiettivo si potrebbe raggiungere attraverso lo sviluppo di processi eco-compatibili, a basso impatto ambientale, in cui la biodiversità e i principi di un’economia circolare, sono salvaguardati.
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Ilenia Bravo, Ilenia Colamatteo, Enrica Iannucci, Patrizia Papetti – Dipartimento di Economia e Giurisprudenza. Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.