di Margherita Ciervo
Salento, aprile 2019. Panoramica dall’alto di un campo di olivi capitozzati e tagliati (a); panoramica da terra di un campo di ulivi capitozzati (b) Fonte: Simone Cannone (fotografia a); Filippo Bellantoni (fotografia b)
Oltre 3 milioni 800 mila alberi di ulivo oggetto di richiesta di espianto, 4.137.779 “nuove” piante al centro della richiesta di finanziamento per superficie totale di circa 83.808 ettari e un fabbisogno finanziario di 222.082.606 euro (le pratiche sono ammesse nel limite della dotazione disponibile). Questo è quanto si evince dalla Determinazione 86/2021 della Regione Puglia. I finanziamenti riguardano solo le due cultivar olivicole oggetto di deroga, ovvero il Leccino, varietà autosterile e non autoctona, e la FS-17 varietà brevettata, in quanto definite rispettivamente tollerante al batterio e con tratti di possibile resistenza al batterio (EFSA, 2017). Entrambe le cultivar sono finalizzate agli impianti intensivi e superintensivi.
Al netto delle considerazioni sulla divergenza fra fenomeno osservato (disseccamento) e propagandato (malattia dovuta alla Xylella), delle misure di lotta adottate contro il batterio note per la loro inefficacia in letteratura così come alle istituzioni europee (EFSA, 2015), della correlazione scientificamente fondata fra salute del suolo, uso di prodotti chimici e vulnerabilità delle piante agli agenti patogeni, delle contraddizioni e delle anomalie nella gestione della cosiddetta emergenza Xylella, nonché dei molteplici aspetti di irregolarità e negligenza accertati dalla Procura di Lecce e tali “da mettere in serio dubbio anche i risultati degli accertamenti in campo” (Ciervo, 2020[1]), i finanziamenti di cui sopra rischiano di dare un colpo definitivo al paesaggio, all’ambiente e all’economia locale di una Terra già fortemente danneggiata dalle misure finora adottate. I finanziamenti di cui sopra rischiano di cancellare per sempre il Sud della Puglia per come lo sconosciamo, terra di ulivi secolari e millenari. I finanziamenti di cui sopra rischiano di stravolgere la geografia del Salento e di creare un danno ecosistemico di proporzioni difficilmente immaginabili, accelerando il processo di desertificazione già in atto.
Ma andiamo per ordine, presentando una breve riflessione sui tre principali elementi oggetto di tale determinazione: l’abbattimento degli ulivi, la superficie interessata, i finanziamenti per i reimpianti.
GLI ESPIANTI. L’abbattimento di 3.829.991 ulivi è equivalente a circa il 35% degli ulivi stimati per la provincia di Lecce (11.000.000), al netto già di quelli abbattuti (o bruciati), e avviene, fra l’altro, senza alcun esame che attesti la positività della pianta al batterio. I milioni di alberi di ulivo che si intende abbattere non sono morti (nessuna attestazione in tal senso è richiesta) ma disseccati (in parte o in toto) o anche non disseccati (visto che il decreto emergenza 27/2019 conferisce la possibilità ai proprietari di procedere all’estirpazione degli ulivi anche monumentali in zona infetta per 7 anni previa semplice comunicazione alla Regione, in deroga a ogni normativa vincolistica e anche in esenzione della Valutazione di impatto ambientale e della Valutazione ambientale strategica). I milioni di alberi di ulivo abbattuti vanno e andranno ad alimentare le centrali a biomasse con doppio grave danno per il clima. Il 29 marzo scorso dal porto di Brindisi è partita la prima nave contenente 5.500 tonnellate di cippato di ulivo, destinate alle centrali a biomassa per produrre energia! E sembra che altre siano partite fra aprile e maggio.
L’abbattimento di 3.829.991 alberi di ulivo, dunque, significa: distruzione della biodiversità e conseguente annullamento delle funzioni degli ecosistemi; gravi e significativi impatti sui cambiamenti climatici causati dalla riduzione dell’azione carbon sink dell’ulivo associata a nuove e consistenti emissioni di CO2 prodotta dall’incenerimento del cippato; distruzione sistematica dell’ambiente e dell’ecosistema, ovvero un ecocidio. Rispetto a quest’ultimo, vale la pena rimarcare che l’Unione Europea, proprio in questi giorni, sta prendendo in considerazione l’ipotesi di istituire il reato internazionale di ecocidio e di equipararlo al genocidio, ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità, rendendolo perseguibile dalla Corte penale internazionale (CPI) dell’Aia.
IL SUOLO. La superficie interessata dall’operazione è equivalente all’88% della superficie olivicola della provincia di Lecce (pari a circa 95.000 ettari) il cui suolo sarà “liberato” da piante plurisecolari e anche monumentali – già definite da qualche associazione di categoria “obsolete” e un vincolo alla competitività – sancendo la definitiva trasformazione delle campagne in campi agro-industriali (oliveti superintensivi) o campi fotovoltaici ed eolici, dell’agricoltura territorialmente diffusa e condotta con pratiche tradizionali a un’agricoltura market oriented o energy oriented, da un’economia locale (piccole aziende basate su autoconsumo, vendita diretta e a organismi associativi) a un’economia funzionale al mercato globale e alle speculazioni del mercato. Il Sindaco di Brindisi e Presidente della stessa Provincia già nell’agosto 2019 denunciava la «corsa pericolosa all’accaparramento delle terre» da parte delle imprese del fotovoltaico che “stanno contattando praticamente tutti i contadini per avere la disponibilità dei terreni”. I comitati denunciano l’attività di intermediari che acquistano terreni (anche ubicati in zona a vincolo paesaggistico) sui quali vengono abbattuti gli ulivi plurisecolari per l’installazione di mega parchi fotovoltaici ed eolici. E questo accade nonostante la Puglia sia fra le prime Regioni per capacità di produzione di energia da fonti rinnovabili (soprattutto eolico e fotovoltaico) che già nel 2014 aveva raddoppiato il target di Europa 2020 relativo ai consumi di energia elettrica coperti da fonti rinnovabili (45,9% a fronte dell’obiettivo del 17%) e nonostante, secondo il Rapporto ISPRA 2019, sia la Regione con “il maggiore consumo di suolo per l’installazione di impianti fotovoltaici […] con campi fotovoltaici a terra per più di 4.600 ettari, per lo più concentrati nel Salento” che hanno già sottratto terra a seminativi, vigneti, uliveti, frutteti e aree destinate a orto. L’intento speculativo è evidente. È sotto gli occhi di tutti.
I REIMPIANTI. Il Ministero dell’Ambiente classifica i finanziamenti per i reimpianti come “SAD”, ovvero sussidi ambientalmente dannosi nella misura in cui incentivano “un reimpianto con piante tolleranti al batterio che favorisce una riduzione di diversità di specie esponendo le stesse a nuove epidemie”. Le misure finanziarie a sostegno dei reimpianti di Leccino e FS-17 sono in netta contraddizione anche con: l’approccio ecosistemico su base scientifica, così come definito dalla COP 5 (Ciervo, 2021[2]); la Convenzione sulla Diversità Biologica (COP 5, Decisione V/6); il Piano Nazionale sulla Biodiversità di interesse agricolo (MPAAF, 2008); la Strategia Nazionale per la Biodiversità (MATTM, 2010); le priorità indicate dal secondo Rapporto nazionale per la biodiversità (MATTM, 2014); il dettato della legge 39/2013 della Regione Puglia che “nell’ambito delle politiche di sviluppo, promozione e salvaguardia degli ecosistemi agricoli e forestali delle produzioni legate alla tipicità e tradizione del territorio, favorisce e pro-muove la tutela delle risorse genetiche autoctone d’interesse agrario, forestale […] per le quali esistono interessi ambientali, culturali, scientifici ed economici”; il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) e i relativi piani di adattamento climatico.
Ma cosa significa pianta tollerante? Per pianta “tollerante” si intende una pianta in cui l’infezione non è inibita, ma le conseguenze del suo adattamento negativo sono «ridotte o compensate riducendo la mortalità dovuta all’infezione o ripristinando la produttività degli individui infetti» (EFSA, 2017). È possibile, però, raggiungere lo stesso risultato con le cure. Al riguardo, sono disponibili cure empiriche, progetti e protocolli scientifici (realizzati da ricercatori di università e centri di ricerca pubblici) che consentono alle piante disseccate (anche risultate positive al batterio) di riprendere a vegetare e tornare produttive, ovvero di conseguire gli stessi risultati attesi da varietà tolleranti come il Leccino il cui reimpianto è sostenuto dai su citati finanziamenti. In particolare, recenti studi hanno dimostrano come la fitopatia sia controllabile attraverso l’uso di alcuni composti con attività battericida testati su varietà autoctone di olivo (Cellina di Nardò e Ogliarola salentina) anche dichiarate positive alla Xylella. Questa strategia ha consentito una riduzione significativa della concentrazione del batterio e la ripresa vegetativa degli alberi che, negli anni successivi, non hanno più dato luogo a disseccamenti pur confinando, in molti casi, con terreni i cui olivi sono interessati da forme diffuse e molto severe di disseccamento. Il protocollo di convivenza con il patogeno è stato messo a punto su olivi anche plurisecolari in campi sperimentali di diverse centinaia di ettari ubicati in zona infetta che hanno raggiunto una produzione media annua fra i 40-60 quintali per ettaro (Scortichini, 2020). Inoltre, l’enorme vantaggio di utilizzare strategie di cura degli uliveti secolari risiede nel fatto che questi ulivi non necessitano di acqua di irrigazione (è sufficiente l’acqua piovana e in rari casi una irrigazione di soccorso), al contrario dei giovani impianti di Leccino o FS-17 che, invece, essendo fortemente idroesigenti, necessitano di enormi quantitativi di acqua per poter essere produttivi. In una regione siccitosa come la Puglia questo è un aspetto primario.
E allora perché insistere con gli abbattimenti? Perché non prendere in considerazione le evidenze scientifiche già note? Perché incentivare con finanziamenti pubblici impianti intesivi e superintensivi che necessitano di una grande disponibilità idrica (che la Puglia non possiede), oltre di un uso cospicuo di fitofarmaci per il diserbo e la difesa delle piante da agenti patogeni (poiché più vulnerabili alle fitopatie) e una considerevole concimazione minerale con fertilizzanti inorganici, generando un consequenziale e significativo impatto ecologico? Perché incentivare gli impianti intensivi e superintensivi che producono semplificazione e uniformizzazione paesaggistica, nonché riduzione drastica della biodiversità? Perché incentivare forme produttive che non possono essere competitive, in termini sia di estensioni produttive sia di costo del lavoro, con gli altri Paesi del Mediterraneo produttori di olio di oliva? Perché non puntare sulla qualità dell’olio extravergine di oliva pugliese caratteristica delle piante di olivo secolari e millenarie autoctone, richiesta e apprezzata in tutto il mondo?
Le domande rimangono aperte, per ora senza risposta, mentre si sta per consumare quello che un noto geografo (Leone, 1998) definiva come il passaggio dell’agricoltura «dal bucolico al diabolico», ovvero da un’attività produttrice di biomassa a servizio del territorio, a un’attività inquinante, molto impattante per l’ambiente, consumatrice di risorse idriche ed energetiche, al servizio del mercato che «svuota» il territorio rurale dai contadini e dalle comunità, eliminando, così, il presidio sociale ed ecologico che ancora oggi, in diversi casi, rappresentano.
Margherita Ciervo – Professore aggregato e ricercatore in Geografia economica e politica, Università di Foggia. Associate Researcher presso University of Liège. Si occupa da oltre sei anni della questione Xylella. Sul tema ha scritto diversi articoli scientifici e l’e-book a libero accesso “Il disseccamento degli ulivi in Puglia. Evidenze, contraddizioni, anomalie, scenari” (https://societageografica.net/wp/2020/11/06/geografia-a-libero-accesso-vol-2/). E-mail: margherita.ciervo@unifg.it
[1] Il testo è liberamente scaricabile al seguente link: https://societageografica.net/wp/2020/11/06/geografia-a-libero-accesso-vol-2/
[2] Il testo è liberamente scaricabile al seguente link: www.researchgate.net/publication/349669766_L’approccio_ecosistemico_come_strumento_di_mitigazione_del_rischio_ambientale_Un’applicazione_per_la_valutazione_della_gestione_del_’caso_Xylella‘