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Ora pro lactis, encomio per un alimento controverso

Parte 1^

Mucche da latte

di Nicolò Gallo Curcio

Il latte viene definito come il prodotto della mungitura regolare, ininterrotta e completa di animali in buono stato di salute e in corretta lattazione; dal punto di vista biologico si tratta di una secrezione prodotta dalla ghiandola mammaria dei mammiferi.

Per “latte alimentare” si intende il prodotto, ottenuto dalle varie specie lattiere, destinato al consumo umano come tale oppure privato di una parte dell’acqua allo scopo di ridurne le spese di trasporto e/o conservazione. Attraverso la coagulazione del latte, senza la sottrazione del siero, e dell’azione di microrganismi caratteristici è possibile ottenere i latti fermentati, la più antica tipologia di derivati del latte; il burro è invece il prodotto ottenuto dalla crema di latte (un latticino esclusivamente costituito dalla materia grassa del latte) mediante zangolatura, processo attraverso il quale si verifica l’emulsione dell’acqua nella fase grassa; il formaggio, infine, è il prodotto ricavato dal latte intero, parzialmente scremato o scremato, o dalla crema di latte, tramite coagulazione acida o presamica, facendo uso di fermenti e sale da cucina.

Se si considera la serie sterminata di latti fermentati, formaggi e latticini esistenti, sorprende come tutto ciò possa essere ottenuto unicamente dalla lavorazione del latte. A questa varietà, oltre alla specie lattiera di partenza e alle condizioni di allevamento, contribuiscono le tecnologie alimentari, molte di origine antichissima, che si sono affinate nel corso degli anni con sistemi produttivi sempre più efficienti e sicuri.

Latte e derivati ultimamente – e senza basi scientifiche – sono stati imputati di numerosi danni alla salute; prima di passare in rassegna alcune delle principali affermazioni/disinformazioni divulgate nei vari mezzi di informazione, è indispensabile elencare le proprietà che fanno di questo alimento uno dei capisaldi di un’alimentazione corretta.

Composizione chimica

Carboidrati

Il contenuto di glucidi nel latte è di circa il 5%, di cui il 90% circa è occupato dal lattosio, un disaccaride costituito da una molecola di D-galattosio e da una di D-glucosio la cui biosintesi è catalizzata dall’enzima lattosio sintetasi; la restante quota (<5% degli zuccheri totali) è rappresentata dagli oligosaccaridi, la cui genesi avviene per glicosilazione del lattosio da parte di glicosil-transferasi specifiche. Dal punto di vista nutrizionale, il galattosio è una componente fondamentale di glicoproteine e glicosfingolipidi (es. i cerebrosidi, fondamentali per la formazione della guaina mielinica delle fibre nervose); tra le altre importanti funzioni migliora l’assorbimento dei minerali (calcio, magnesio e zinco), promuove la crescita di bifidobatteri, nonché altre specie capaci di fermentare il disaccaride.

La degradazione non enzimatica del lattosio provocata dai trattamenti termici è responsabile delle reazioni di imbrunimento secondo Maillard, una serie di processi che avviene in tutti quegli alimenti in cui figurano zuccheri riducenti (aldosi o chetosi che sussistono anche in forma aperta) e gruppi amminici liberi; questi portano alla formazione di furosina, con una significativa riduzione della biodisponibilità della lisina (un amminoacido essenziale) del 10-20%.

Il lattosio, durante i trattamenti termici, può essere inoltre convertito a lattulosio; solitamente non presente nel latte fresco pastorizzato e pastorizzato ad alta temperatura, viene rinvenuto esclusivamente nel latte sterilizzato. Non venendo digerito e assorbito a livello intestinale, trova impiego nel trattamento della stitichezza (effetto lassativo e prebiotico) e dell’encefalopatia epatica (quale coadiuvante del metabolismo dell’ammoniaca).

Tra le componenti glucidiche minori, isolate recentemente nel latte dei ruminanti e umano, gli oligosaccaridi ricoprono importanti attività funzionali per i neonati: giungono nel colon dove possono agire da substrato di crescita e selezione per la microflora intestinale.

Grassi

La percentuale di lipidi nel latte vaccino si aggira tra il 3.5% e il 4.5%. La materia grassa del latte si trova sotto forma di globuli – la cui sintesi avviene nell’epitelio secretorio della ghiandola mammaria – che presentano un diametro variabile (tra 0.1-10 μm) e vengono suddivisi in piccoli (<3 μm), medi (4-9 μm) e grandi (>10 μm). Le goccioline lipidiche, durante la migrazione verso il polo apicale della cellula secretrice, si ricoprono gradualmente della membrana plasmatica; la formazione e la stabilità del globulo di grasso sono facilitate dalla glicoproteina butirofilina, strettamente connessa ai fosfolipidi, che a sua volta lega la xantina ossidasi e la adipofilina formando un complesso che tiene unito il triplo strato fosfolipidico che avvolge la goccia lipidica (figura 1). A differenza del latte umano, il cui grasso è costituito da acidi grassi a lunga catena, quello vaccino e degli altri ruminanti è caratterizzato da trigliceridi contenenti anche acidi grassi a catena corta; la frazione lipidica è inoltre costituita da fosfogliceridi (1%), steroli e grassi insaponificabili come le vitamine liposolubili.

I globuli di grasso
Figura 1
: La struttura del globulo di grasso (Rebouillat & Ortega-Requena, 2015)

I lipidi contenuti negli alimenti costituiscono spesso una simbolica linea di confine tra le componenti positive e negative della dieta; sebbene siano una costituente importante della nostra razione alimentare, le ultime Linee Guida per una Sana Alimentazione e i LARN raccomandano, a ragion veduta, di ridurre il consumo degli acidi grassi saturi (<10% En) e del colesterolo (<300 mg/die), componenti ben rappresentate soprattutto nei formaggi grassi e a doppia crema. Non tutti gli acidi grassi saturi contenuti nel latte però rappresentano un rischio per la salute: l’acido stearico, un acido grasso saturo a 18 atomi di carbonio, nel nostro organismo viene convertito da parte della Δ9-desaturasi in acido oleico, un MUFA che è stato visto possedere proprietà ipocolesterolemizzanti a carico delle LDL; l’acido butirrico, facente parte degli acidi grassi a catena corta, svolge invece il ruolo di fonte energetica per i colonociti, inibisce l’attività di NF-κB, stimola i linfociti NK, modula la produzione di mucina da parte della mucosa intestinale e determina l’attivazione dei Treg. Nel latte poi sono presenti gli acidi grassi essenziali linoleico e α-linolenico, generalmente in conformazione cis, il cui effetto ipocolesterolemizzante è dovuto all’aumento dell’espressione del recettore per le LDL; tuttavia, sono possibili dei fenomeni di riarrangiamento per effetto delle reazioni di bioidrogenazione da parte dei microrganismi del rumine oppure dei trattamenti termici che determinano la formazione degli isomeri trans. In questa configurazione, il comportamento degli acidi grassi polinsaturi è simile a quello degli acidi grassi saturi (riduzione dell’espressione del recettore per le LDL) e quindi occorre limitarne l’ingestione per ridurre il rischio di aterosclerosi. Per quanto riguarda invece il colesterolo, il contenuto nel latte intero è pari circa a 3 mg/100 g e il ruolo centrale nell’insorgenza dell’ipercolesterolemia spesso attribuito ai prodotti lattiero-caseari, sulla base dei dati delle indagini nazionali sul consumo di tali alimenti, risulterebbe essere non giustificato in quanto contribuirebbero solamente per un 10% ai 300 mg/die stabiliti come limite massimo giornaliero dai LARN.

Proteine

Le sostanze azotate del latte costituiscono il 3.2% e sono rappresentate per il 95% da proteine (78% caseine e 17% sieroproteine) e per il restante 5% da sostanze non proteiche (amminoacidi liberi, nucleotidi, urea, ammoniaca, creatina, creatinina, etc.). Le quattro principali frazioni caseiniche sono as1, as2, β e κ; queste subunità formano nel latte degli aggregati noti come micelle caseiniche che vengono tenute insieme mediante numerosi ponti di fosfato tricalcico Ca3(PO4)2 (figura 2). Nel latte sono presenti anche frammenti caseinici quali le γ-caseine e i proteoso-peptoni, derivanti dall’azione proteolitica delle proteasi endogene del latte – prima tra tutte la plasmina – sulla β-caseina. Le sieroproteine del latte sono la β-lattoglobulina (β-Lg), la α-lattalbumina (α-La), la sieroalbumina, le immunoglobuline e la lattoferrina; β-Lg e α-La sono le più abbondanti e vengono sintetizzate nella ghiandola mammaria, le restanti provengono dal sangue.

La micella caseinica
Figura 2
: La struttura della micella caseinica (Rebouillat & Ortega-Requena, 2015)

Il latte è un alimento ricco di proteine e amminoacidi essenziali, fondamentali per la corretta crescita del bambino nonché per molti processi cruciali nell’individuo adulto (sintesi proteica, coagulazione del sangue, regolazione della pressione osmotica del sangue, etc.), motivo per cui il suo consumo non dovrebbe essere limitato al solo periodo della crescita bensì continuare anche in età adulta e avanzata. Sebbene la digeribilità delle proteine del latte in generale sia elevata, esistono delle differenze tra la frazione delle caseine (95-98%) e delle sieroproteine (70-90%). Rispetto alla proteina teorica di riferimento proposta dalla FAO, il rapporto della composizione in amminoacidi essenziali del latte è superiore a 1 e questo vuol dire che le proteine di tale alimento contengono ciascuno di questi monomeri in quantità superiore a quella raccomandata; il valore più basso si osserva solamente per il triptofano, pertanto definito come l’amminoacido limitante del latte (Tabella 1).

Proteine del latto vaccino

Minerali

Il contenuto minerale del latte bovino è di circa 1 g/100 ml (0.6-0.7% se espresso in ceneri). Questa componente viene a sua volta distinta in:

  1. Macroelementi (Ca, Mg, P, Na, K, Cl, Z e acido citrico), aventi funzioni strutturali nella matrice lattea e favorenti la regolazione dell’equilibrio osmotico durante la secrezione del latte;
  2. Microelementi, che possono essere componenti fondamentali di alcuni enzimi (Cu, Fe, Mn, Mo, Zn, Se) e vitamine (Co nella B12), ma anche trovarsi in forma libera (I).

La componente minerale del latte è importante soprattutto per la presenza di calcio (1.2 g/l) e fosforo (1 g/l), in quanto parti integranti della micella caseinica e altamente biodisponibili nella matrice alimentare; il calcio inorganico delle apatiti e quello organico delle serine fosforilate rappresenta il calcio colloidale strettamente legato alla micella, il quale si trova si trova in equilibrio con calcio e fosforo in forma ionica nella fase acquosa. In un regime alimentare equilibrato e vario, il calcio contenuto nel latte contribuisce per il 55% circa alla copertura del fabbisogno totale giornaliero e il suo rapporto con il fosforo risulta ottimale per una corretta regolazione dei processi di ricambio osseo. Altri minerali figuranti nel latte in quantità significative sono il potassio (1.5 g/l), i cloruri (1.1 g/l) e i citrati (1.5 g/l); meno rappresentati invece sono il magnesio, lo zinco (anche in questo caso particolarmente disponibile nella matrice alimentare; tenendo conto delle quantità mediamente consumate offre un contributo del 16% al raggiungimento del fabbisogno energetico giornaliero del minerale), lo iodio, il rame e il selenio.

Vitamine

Nel latte le vitamine presenti in maggior quantità sono le liposolubili A, E e K, nonché le idrosolubili C, B9 e B2:

  1. Il contenuto di retinolo e caroteni si aggira mediamente intorno a 0.4 mg/l, tuttavia si tratta di valori sensibili alle condizioni climatiche e di allevamento del bestiame; un maggior quantitativo è stato registrato infatti nel latte estivo rispetto a quello invernale e negli animali a pascolo rispetto a quelli allevati in stalla;
  2. La forma di vitamina E presente nel latte è l’α-tocoferolo, il cui tenore si aggira sui 0.2-0.7 mg/l, con un innalzamento del suo contenuto medio in caso di allevamento a pascolo;
  3. La vitamina K varia da 3-6.9 μg/l in funzione del tipo di alimentazione dell’animale e dello stadio di lattazione;
  4. Il contenuto di vitamina C nel latte, soprattutto rispetto alle fonti vegetali che ne sono ricche, è molto ridotto (10 mg/l). La stabilità dell’acido ascorbico è influenzata da fattori come il pH, la concentrazione di ioni metallici, la presenza di ossigeno, la luce e il trattamento industriale che ne possono determinare l’ossidazione ad acido deidroascorbico, molto sensibile al calore e che una blanda pastorizzazione sarebbe sufficiente a trasformare in acido dichetogluconico, biologicamente inattivo e quindi privo di attività vitaminica;
  5. La vitamina B9 è presente in concentrazioni che variano tra 30-45 μg/l in funzione dell’alimentazione dell’animale, nonché della presenza di ossigeno e di vitamine antiossidanti nel latte. Il suo contenuto può aumentare sensibilmente in funzione della tipologia di fermenti utilizzati durante il processo;
  6. Il latte contiene apprezzabili quantità di vitamina B2 (1-2 mg/l); essendo fotosensibile, il confezionamento in appositi involucri è da considerarsi fondamentale per la sua conservazione.

Ruolo nutrizionale nella dieta

Nutrienti

Il consumo di latte caratterizza i primi mesi vita di ogni mammifero ed è evidente che per l’uomo possa rimanere un’importante voce del regime alimentare anche in età adulta; la biodisponibilità di alcune sue componenti fa sì che questa categoria alimentare possa essere considerata fondamentale per la copertura dei fabbisogni giornalieri di tutte le età, tanto da collocarsi al quarto gradino della piramide alimentare della dieta mediterranea (figura 3). Latte e derivati sono talmente importanti in nutrizione umana da costituire, da soli, uno dei cinque gruppi di alimenti che devono essere presenti quotidianamente per garantire l’equilibrio e il corretto apporto di nutrienti. In particolare, i prodotti lattiero-caseari rappresentano una fonte di energia, proteine di nobile qualità, grassi e soprattutto di grandi quantità di calcio altamente biodisponibile.

La nuova piramide alimentare
Figura 3: La nuova piramide alimentare della dieta Mediterranea (Serra-Majem, et al., 2020)

Secondo le Linee Guida per una Sana Alimentazione destinate alla popolazione italiana, il loro corretto apporto è di tre porzioni al giorno (375 ml) di latte o yogurt, più due porzioni settimanali di formaggio (ognuna delle quali equivale a 100 grammi di formaggio fresco o 50 grammi di formaggio stagionato). Tali quantità consentono la copertura del 43% del fabbisogno calcio nelle fasce più bisognose (ragazzi e ragazze, donne in menopausa) e di oltre il 60% del fabbisogno di calcio di un maschio adulto (800 mg) o di una donna di età compresa tra i 30 e i 49 anni (1000 mg). Inoltre, soddisfano oltre la metà del fabbisogno medio di riboflavina. Sorprende molto come tali proprietà benefiche siano garantite a fronte del soddisfacimento di solo il 17% di un fabbisogno calorico giornaliero ipotetico di 2000 kcal, ricoprendo solo il 20% della quota giornaliera consentita di colesterolo e il 30% di quella di grassi; tra questi i saturi rappresentano circa il 5%, quando le raccomandazioni internazionali indicano come tetto limite di 10% del contenuto calorico totale della dieta. Ciò significa che è giusto riporre attenzione sugli alimenti lattiero-caseari, ma che ancora maggiore attenzione dovrebbe essere messa sul rimanente 80% dell’energia, sul 80% dell’apporto di colesterolo e sull’altra metà circa di grassi saturi, limitando o per lo meno contenendo l’apporto derivante dalle altre fonti animali.

Se si segue la dieta mediterranea non vi è bisogno di ricorrere a prodotti scremati o parzialmente scremati anche se si è in modesto eccesso ponderale; qualora invece vi fosse la volontà di consumarne qualche porzione oppure ci si dovesse sottoporre a regimi dietetici particolarmente restrittivi, si potrà ricorrere a prodotti scremati o parzialmente scremati che conservano le qualità nutrizionali tipiche del gruppo senza appesantire la dieta sia da un punto di vista calorico che, soprattutto, della componente lipidica. Per godere appieno della proprietà dei prodotti interi si potrebbe poi prendere in considerazione un aumento del dispendio energetico attraverso una sana e regolare attività fisica, che garantisce, tra i vari benefici, una migliore utilizzazione dei nutrienti (consumo delle calorie introdotte, accrescimento muscolo-scheletrico). Tale ipotesi è sicuramente più impegnativa, ma di certo più corretta e in linea con le indicazioni di salute pubblica per la popolazione.

Componenti funzionali

Oltre all’energia e ai nutrienti, la complessa matrice alimentare dei prodotti lattiero-caseari è caratterizzata dalla presenza significativa di componenti funzionali, capaci di apportare ulteriori benefici alla salute del consumatore. Aspetto strettamente legato alla digeribilità è il contenuto, all’interno delle proteine del latte, di sequenze amminoacidiche in forma inattiva e rilasciate in seguito ai processi digestivi o tecnologici. Viste le loro molteplici proprietà, sono stati definiti peptidi bioattivi (tabella 2).

Principali peptidi bioattivi

Sebbene gli alimenti di origine vegetale rimangano la principale fonte dietetica di antiossidanti, latte e derivati posseggono diverse sostanze aventi simili proprietà e che sono importanti sia dal punto di vista tecnologico (proteggono l’alimento dai fenomeni ossidativi) che dietetico. Queste vengono distinte in base al peso molecolare in:

  1. Pesanti, ne fanno parte i composti di natura proteica quali:
    1. Caseine e caseinofosfopeptidi;
    2. Sieroproteine (α-lattalbumina, β-lattoglobulina, lattoferrina, sieroalbumina);
    3. Enzimi (superossido-dismutasi, glutatione-perossidasi, catalasi);
  2. Leggere, comprendono molecole di diversa natura:
    1. Composti azotati non proteici;
    2. Vitamine;
    3. Microelementi.

Bisogna tuttavia rammentare come buona parte di queste sostanze venga persa durante il processo di risanamento e conservazione, mentre altre possono essere degradate durante i processi digestivi oppure non assorbite.

Nel 1907 il biologo e immunologo russo Èlie Metchnikoff postulò per primo che l’ingestione di yogurt contenente Lactobacillus delbruckii subsp. bulgaricus aumentasse la speranza di vita essendo questi responsabile della produzione di sostanze che contrasterebbero l’espansione coloniale delle specie batteriche dannose a livello della microflora intestinale. A partire da tali osservazioni fu coniato il termine “probiotici”, attualmente definiti come “un complesso di microrganismi che, quando assunto in quantità adeguata, apporta effetti benefici per la salute dell’ospite”. I microbi più comunemente utilizzati sono i lattobacilli e i bifidobatteri, che rappresentano le specie dominanti a livello della microflora intestinale del colon in condizioni fisiologiche (i principali effetti benefici di tali microrganismi sono elencati nella tabella 3).

Meccanismi dei probiotici

Il termine prebiotico invece fu coniato per la prima volta nel 1995 da parte di due studiosi che lo definirono come “una sostanze non digeribile che stimola la crescita e/o l’attività di uno o più batteri del colon che esercitano effetti benefici per la salute”. Attualmente vengono riconosciuti come prebiotici l’inulina, i frutto-oligosaccaridi, i galatto-oligosaccaridi e il lattulosio.

Probiotici e prebiotici sono degli alimenti funzionali per il benessere intestinale che possono essere aggiunti singolarmente come ingredienti nella fase di confezionamento dei latti fermentati ed eventualmente insieme nel caso della produzione dei cosiddetti “simbiotici”.

Bibliografia

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Nicolò Gallo Curcio (Roma), Laureato in Scienze delle Attività Motorie e Sportive e Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana. Libero professionista. E-mail: n.gallocurcio@gmail.com