di Federico Vinattieri
Cucciola di Bassotto kaninchen, “Volscidachs Mandorla”, 4 mesi di età
Qualità. Sostantivo sempre più in voga e sempre più sbandierato da tanti allevatori, talvolta avendone diritto, talvolta facendo propria tale qualifica non attinente alla realtà. La “qualità” è divenuta fin troppo comune nei dibattiti e nelle conversazioni tra allevatori, tra neofiti, tra coloro che si avvicinano al mondo della zootecnia e della selezione.
Allevamento di buona qualità, allevamento di scarsa qualità, allevamento di eccellente qualità. Qualità nella selezione, qualità dei propri prodotti, riproduttore di qualità, allevatore di qualità…
Ma cos’è in realtà la qualità di un allevamento? Da quanti e quali requisiti la si può realmente stabilire? Come si abbina ad un allevamento un grado di qualità?
Come sempre accade, quando ci si addentra in questi meandri specifici della zootecnia, diventa veramente difficile far comprendere anche i concetti che per noi del settore possono sembrare elementari, basilari.
Partiamo dalla definizione in italiano del termine: “la qualità è quella nozione alla quale sono ricondotti gli aspetti della realtà suscettibili di classificazione o di giudizio”.
Coppia di Cani Lupo di Saarloos, © Allevamento di Fossombrone
Possiamo quindi dire che la “qualità di un allevamento” è l’insieme delle sue caratteristiche intrinseche ed estrinseche.
Non è fuori luogo quindi affermare che si tratta della sommatoria degli aspetti di una selezione, che a sua volta racchiude l’aspetto genetico, l’aspetto salutistico, l’aspetto comportamentale e ultimo, ma non meno importante, l’aspetto estetico.
Quattro grandi insiemi che fungono da pilastri per una selezione, e questo vale per qualunque specie si possa allevare in cattività.
Analizziamoli uno ad uno, per comprendere quando possiamo veramente attribuire il concetto di “buona qualità” ad un allevamento.
Come vedremo, ogni aspetto è strettamente legato a gli altri.
- a) Qualità dell’aspetto genetico.
Ovviamente questo aspetto è il più importante, ed è quello che in qualche modo racchiude tutti gli altri. Non a caso infatti ho voluto citarlo per primo.
Un allevatore è in grado di monitorare l’aspetto genetico dei propri riproduttori, non solo con gli adeguati accertamenti che oggi siamo in grado di ottenere tramite analisi di laboratorio, ma anche dalla semplice osservazione, dalle informazioni che possono essere raccolte e decifrate nell’evidenza dei prodotti dei riproduttori, quindi dalla prole ottenuta, ma anche dallo studio della loro genealogia.
Quando nei miei scritti mi riferisco allo “studio del pedigree”, non intendo la sola lettura del certificato, prendendo atto dei titoli e delle linee di sangue dichiarate su tale documento… sappiamo bene che non si può allevare su carta! Per studio del pedigree intendo l’accurata osservazione visiva dei genitori, dei fratelli, dei discendenti dei propri riproduttori, e non solo… anche del loro potenziale genetico, dei pregi che questo può apportare e delle eventuali tare che potrebbero emergere.
La selezione genealogica è dunque da realizzare mediante i seguenti metodi: conoscenza degli ascendenti (pedigree), conoscenza dei collaterali (fratelli e fratellastri), conoscenza dei discendenti (figli e nipoti), conoscenza del valore di ereditabilità di ogni carattere.
<< “Solo la conoscenza delle parentele di un soggetto sarà in grado di indicare il suo valore genetico e l’eventuale suo genotipo di Razzatore e permetterà ancora di spiegare la eventuale comparsa nella prole di connotati imprevisti. Le ragioni di tale comparsa stanno nelle tante possibili combinazioni fra loro dei vari geni poligeni responsabili di un connotato; si dice che queste combinazioni sono paragonabili al “gioco dei bussolotti”. >> (*cit. U.Zingoni, 1997, p.617)
Quando l’allevatore seleziona tenendo ben presenti le suddette caratteristiche dei propri riproduttori, è portato ad affrontare scelte con estrema chiarezza, con indiscussa determinazione e, al contempo, con le doverose precauzioni; questo procedimento fissa i canoni per determinare il grado di qualità di una selezione.
- b) Qualità dell’aspetto salutistico.
Aspetto fondamentale per definire la qualità di un qualunque centro di selezione. Oggi l’allevatore ha svariati mezzi a sua disposizione per poter indagare approfonditamente sullo stato di salute dei propri riproduttori. Una volta, nella “vecchia scuola”, si andava per tentativi e si cercava di debellare ciò che risultava evidente, in modo di mandare avanti solo i soggetti che, apparentemente, non mostravano evidenze di problematiche o patologie… ma quei tempi sono superati da svariati anni. Attualmente esistono test di laboratorio e accertamenti clinici, che concedono all’allevatore di avere una mappatura quasi completa dello stato di salute dei propri riproduttori e soprattutto delle patologie occulte che vengono trasmesse geneticamente, anche se in quel determinato stallone o in quella fattrice non andranno mai a manifestarsi. L’indagine genetica è una grande arma a vantaggio dell’allevatore. Sicuramente la qualità salutistica dei soggetti prodotti in un allevamento è uno dei maggiori indici che ne determinano la “qualità”.
Sempre nell’aspetto della salute, è d’obbligo includere la longevità. Più sono longevi i soggetti di un allevamento e migliore sarà il loro stato di salute e di benessere.
- c) Qualità dell’aspetto comportamentale.
Altro aspetto fondamentale. Troppo spesso la selezione, in moltissime razze, tralascia il comportamento, che può essere certamente plasmato, ma ha anche una forte determinante ereditaria.
Oramai è scientificamente provato che le qualità comportamentali dei Cani, ad esempio, sono scritte nel loro genoma.
Ogni razza di cane ha quindi un suo carattere specifico, scritto nel proprio DNA.
Ha fatto discutere, qualche anno fa, il risultato di una ricerca dell’Università dell’Arizona, secondo cui i tratti della “personalità” di ogni razza canina sono ben fissati all’interno del DNA e quindi presentano una forte ereditarietà (*studio pubblicato e tutt’ora consultabile sul portale “bioRxiv“).
Tale studio ha preso in esame un gran numero di animali, ovvero quattordicimila cani appartenenti a 101 differenti razze, scoprendo 131 punti del genoma canino che corrispondono a 14 diversi tratti caratteriali: tra quelli più pronunciati, la propensione alla caccia, l’addestrabilità e l’aggressività verso gli estranei. Questi tratti caratteriali, però, non bastano a definire un cane appartenente ad una data razza come “aggressivo” o “facile da addestrare”, questo perché, confermano gli studiosi, l’influenza dell’ambiente in cui l’animale cresce continua a essere il fattore più importante nella determinazione del carattere del singolo cane. La presenza di un singolo gene non basta a spiegare, ad esempio, la personalità aggressiva di un esemplare. Tuttavia nell’educare un cane bisognerà tenere conto della sua predisposizione genetica.
Temperamento, aggressività, tempra, soglia di reazione, possessività, sociabilità, docilità o indocilità… sono tutti aspetti da conoscere e da saper valutare. Garantire caratteri equilibrati per i propri prodotti è imprescindibile.
Quindi questo aspetto del comportamento deve essere tenuto in considerazione in una selezione che si rispetti, ed è sicuramente un connotato che va ad influire nell’attribuzione dello stato generale di “qualità” dell’allevamento stesso.
- d) Qualità dell’aspetto estetico (o fenotipo).
Eccoci a quell’aspetto che, per ovvie ragioni, più di tutti gli altri attrae l’attenzione di coloro che ricercano la qualità. Dico per ovvie ragioni perché il fenotipo è evidente a tutti, è la valutazione di ciò che si vede e che quindi chiunque, anche esterno a quella selezione, è in grado di giudicare a distanza.
Certamente è anch’esso un fattore importante, fondamentale… potremmo chiamarlo “il fine ultimo” di una selezione.
L’aspetto estetico dei prodotti di un centro di selezione, non è altro che la “vetrina”, ossia quella condizione di visibilità, di esibizione, di esposizione davanti a tutti, di quel che è stato fatto nel proprio allevamento. Il risultato delle proprie scelte che viene mostrato, messo a confronto e sottoposto a giudizio.
Tale giudizio farà muovere l’ago della bilancia dello stato di “qualità” di quel determinato allevamento.
La qualità dell’aspetto estetico quindi può essere sinonimo di bellezza? Può essere sinonimo di tipicità?
Quasi sempre è così, anche se bellezza e tipicità non in tutti i casi sono connotati complementari. Un soggetto può essere tipico, ma con difetti che non permettono di definirlo “bello”, ma al contrario, quando un soggetto è definibile “bello”, si presume che sia anche tipico, altrimenti tale bellezza non avrà attinenza con lo standard, ma risulterà solo un aggettivo personale senza alcun valore zoognostico.
Non è quindi giusto asserire che la qualità di un allevamento la si evince esclusivamente dai risultati espositivi o dal giudizio degli esperti giudici… sì, certo, anche quello è un aspetto che influisce moltissimo sul piatto della bilancia, ma vi sono aspetti che il giudice in mostra non è in grado di valutare, come la salute effettiva o tutto ciò che concerne il genotipo dei soggetti derivati dal medesimo centro di selezione.
“Thunderball del Lago degli Orsi”, soggetto di grande atleticità
Tenendo presente la sommatoria di questi quattro aspetti, possiamo definire il grado di qualità di una selezione, quindi di un allevamento.
Lungi da me minimizzare il tutto ad un freddo calcolo matematico. Non si può mai schematizzare una selezione, tanto meno rendere schematico o aritmetico il grado di qualità di un allevamento; queste mie spiegazioni dei vari aspetti che influiscono sulla qualità selettiva, vogliono solo fornire elementi per distinguere coloro che veramente si possono arrogare il diritto di ostentare un grado elevato di qualità nel proprio allevamento, da coloro che invece fondano la propria selezione sulla casualità, su tentativi aleatori o sul famigerato colpo di fortuna, producendo talvolta anche soggetti eccelsi, badate bene, ma dovuti però solo a circostanze casuali non spiegabili razionalmente e difficilmente ripetibili.
Fin troppo facile dunque parlare di qualità… ma la vera qualità deve essere percepita anche da chi l’acquista e soprattutto da chi la osserva!
Un lavoro difficile quello di mantenere un ingente grado di qualità nel proprio centro di selezione, infatti sono rarissimi i casi in cui il nome dell’allevamento diventa per tutti sinonimo di qualità, questo succede solo se l’allevatore riesce a mantenere invariato il livello di qualità medio dei propri soggetti/riproduttori nel corso di svariati decenni.
Sembra facile a dirsi, ma non è uno scherzo, né un gioco, né un divertimento… è bensì una durissima battaglia quotidiana contro le avversità della genetica, contro le forze della natura, e in molti casi anche contro la sfortuna.
Qualità in allevamento, in definitiva, può essere riassumibile con tre semplici parole: “allevare con criterio“. Ciò racchiude gli elementi sopra citati, quelli visibili e quelli che solo l’allevatore conosce.
Allevare è una vera mescolanza di elementi prevedibili ed imprevedibili allo stesso tempo. La qualità di una selezione è far conciliare tali elementi al meglio delle proprie possibilità.
Bisogna sempre tener conto che l’allevamento non è un binario rettilineo, non è tutto bianco o tutto nero… è altresì un delicatissimo connubio di scelte, competenze, esperienze, indagini, strategie, programmi, intenzioni, e sì… talora anche di ogni condizione che s’intenda come dovuta a contingenze indipendenti dalla volontà, o addirittura a un corso fatale e imperscrutabile.
L’autore mentre analizza un soggetto in foto
Federico Vinattieri, laureato in Scienze Zootecniche, allevatore, giudice, scrittore, titolare Allevamento di Fossombrone – www.difossombrone.it – http://lupi.difossombrone.it – http://ornitologia.difossombrone.it). Curriculum vitae >>>