Qualità, reddito e costi anche ambientali sostenibili.
di Christian Chiani
Noccioleto adulto nel Viterbese
Coltivare nocciolo nel viterbese si presenta come una scelta che garantisce reddito e qualità a fronte di costi da sostenere e impatto ambientale tutto sommato nei limiti della sostenibilità. Vi si produce circa il 40% del totale a livello nazionale e la maggior parte del prodotto è destinato alla trasformazione nelle industrie mentre una parte residua è consumata direttamente. Nuove aree anche limitrofe al mare e storicamente interessate da altre piantagioni sono sempre più oggetto di coltivazione anche per una crisi decennale delle stesse aprendo anche delle questioni complesse soprattutto relative al concetto di vocazionalità. Il nocciolo, Corylus avellana, è un albero da frutto mediamente rustica appartenente alla famiglia delle betulacee che produce in media 1,5-3,5 t/ha. Ha foglie cuoriformi e a margine dentato. È un arbusto alto circa 3-4 metri autosterile e le varietà tradizionalmente coltivate nella Tuscia sono la Tonda Romana ed il Nocchione, utilizzato come principale impollinatore anche se pure il nocciolo selvatico può svolgere questa importante funzione. Un’altra varietà è la Tonda Giffoni di origini Campane che per caratteristiche di adattabilità, rusticità e produttività si sta diffondendo sempre di più. È una specie monoica diclina proterandra con fiori unisessuali. Fiori femminili costituiti da ciuffetti di colore rosso e organi maschili, amenti, penduli e si formano in autunno.
Fiori femminili e amenti maschili
La impollinazione ed antesi dei fiori avviene verso gennaio-febbraio, un momento della stagione un po’ insolito per le piante da frutto ed è anemofila. Il frutto è avvolto da brattee da cui si libera ed a maturazione cade. A livello agronomico esistono due principali modalità di conduzione del frutteto: a pratino o con lavorazione con erpice rotante. Nel primo caso sono effettuate due tre passaggi nella stagione per contenere la flora infestante mentre nel secondo caso si procede a diverse lavorazioni con erpice per andare poi a preparare il terreno prima della raccolta. La raccolta, che avviene verso settembre quando le nocciole sono tutte cadute a terra, è completamente meccanizzata e si procede effettuando quasi sempre due passaggi con semovente anche in accordo al meccanismo della doppia raccolta che prevede dei contributi europei. La concimazione di fondo è di solito praticata nei mesi invernali e si può usare letame, ammendanti e concimi organo minerali. In emergenza si può intervenire durante la stagione con fertirrigazione utilizzando l’impianto a goccia ed apportando elementi minerali prontamente assimilabili che influiscono molto sulle componenti della resa finale del prodotto. La potatura è più o meno contemporanea alla concimazione di fondo e prevede una asportazione delle branche esauste, disseccate o attaccate da patogeni, una asportazione delle branche che intralciano il passaggio dei mezzi ed impediscono le lavorazioni e dei polloni. È di solito effettuata ogni anno. Accanto alla potatura manuale trova qualche timido consenso quella meccanica effettuata con macchine a dischi ed oggetto anche di sperimentazioni a livello universitario. La potatura avviene in inverno o primavera quando la pianta non è in succhio e le forme di allevamento più diffuse sono ad alberello e a vaso cespugliato. Il sesto di impianto è generalmente di 5X5, con varianti di 4X4 e più raramente 6X6 o combinazione degli stessi. Non esistono per ora impianti intensivi o super intensivi nella Tuscia. La coltivazione classica avviene su pianta franca di piede ma negli ultimi anni sta aumentando la curiosità verso le piante innestate. Queste sono di diverse varietà con portinnesto Colyrus colurna. Il vantaggio principale consiste nella totale assenza di attività pollonifera mentre di contro la principale criticità è rappresentata dalla limitata vita potenziale delle piante: il nocciolo innestato viene infatti in questo caso assimilato ad un più comune e generico frutteto (Meleto, Pescheto ecc.) che ad ogni ciclo devono essere reimpiantati.
Nell’agroecosistema nocciolo la Cimice (Gonocerus acuteangulatus) è l’insetto chiave e causa attraverso una puntura con l’apparato boccale un danno alla mandorla che equivale ad uno scadimento qualitativo nella resa commerciale e nel peggiore dei casi uno scarto del prodotto in questione. Altre avversità sono sintetizzabili in Mal dello stacco (Cytospora corilicola), Anisandro diffuso soprattutto in alcune aree ed il Balanino del nocciolo (Curculio nucum). Per ovviare agli impatti ambientali dei trattamenti fitosanitari è stata in alcuni casi improntata una difesa fitosanitaria basata su monitoraggio dei patogeni sulle colture e del livello di patogenesi; in particolare il frappage, con trattamenti mirati ed effettuati solo in caso di necessità per presenza della cimice. Si sono evidenziate in queste attività Assofrutti ed il comune di Corchiano con Agricoltura Consapevole, un progetto sostenibile che ha interessato vari comuni e con incoraggianti risultati.
Cimice adulta Gonocerus acuteangulatus
La pratica irrigua a causa dei cambiamenti climatici e per l’andamento irregolare delle piogge è sempre più diffusa. Zone storicamente coltivate in asciutto necessitano ora di irrigazione mentre quelle di solito irrigate sono state interessate da un incremento della intensità della pratica. L’irrigazione avviene nella grande maggioranza dei casi secondo la tecnica della microirrigazione e viene praticata nel periodo estivo, a partire da giugno. La tendenza attuale è verso la razionalizzazione dell’irrigazione mirata a risparmiare acqua migliorando le condizioni agronomiche di coltivazione e la qualità finale del prodotto ottenibile. Anche l’università della Tuscia è in prima linea con vari progetti ed attività tra cui Ruewo, che ha superato la prima fase del Psr misura 16.1 con un progetto che intende razionalizzare la pratica gestendo da piattaforma e Terrasystem srl, Spin off dell’Università della Tuscia che ha avviato una sperimentazione che applica il metodo del bilancio idrico. Nel mese di gennaio per conto della associazione CPN e Viconuts è stato ottenuto anche un marchio di filiera che certifica una nocciola cento per cento italiana e che sancisce un accordo tra produttori e industria di trasformazione.
Esistono principalmente due indirizzi produttivi e di gestione che sono la conduzione in biologico e quella in integrato. La prima come da regolamento 2091/92 prevede essenzialmente un divieto di uso di mezzi tecnici di sintesi a fronte della possibilità di usare strategie agronomiche, genetiche, biologiche e fisiche e risulta diffusa su un trenta per cento della superficie totale con tendenza all’incremento. Il metodo integrato invece, definito dalla normativa 11233/2009, consente un uso della chimica ma razionale con possibilità di utilizzo di tutti i metodi poi sopra menzionati per il biologico. La varietà Tonda Romana ha ottenuto recentemente un importante segno, il riconoscimento di DOP. A livello mondiale esistono quattro denominazioni per la nocciola e l’Italia può vantarne ben tre. Le attuali strategie di marcato non hanno tuttavia finora tenuto molto in considerazione questo aspetto come avviene ad esempio per la Tonda Gentile Trilobata Piemontese oggetto di strategie di marketing molto efficaci. Negli ultimi anni sono stati molti gli eventi organizzati al fine di dare maggiore visibilità al prodotto nocciola. Si è trattato soprattutto di attività seminariali convegni e attività di promozione sul territorio. Una associazione molto attiva nella promozione è Nocciola Italiana che ha organizzato il Nocciola Day, quest’anno virtuale. Questo evento si svolge tutti gli anni a dicembre e riscuote sempre un ottimo gradimento degli appassionati. La corilicoltura è stata recentemente al centro di accese polemiche per il potenziale effetto deleterio sull’ambiente. Una associazione che si batte molto contro la corilicoltura è il Bio Distretto della via Amerina del Dott Crucianelli. Uno dei bersagli più colpiti è una multinazionale che da non molto tempo ha acquisito anche la maggioranza delle quote di Assofrutti, la Ferrero. Anche se questo polverone che è stato alzato si basa su dati certi e dimostrati di un più elevato tasso di decessi per cancro nelle zone che insistono su aree corilicole e un impoverimento in biodiversità del territorio non è stato finora chiarito il motivo per cui si punta il dito solo su nocciolo e non anche su altre colture della Tuscia come olivo o ad esempio la vite che necessitano mediamente di maggiori interventi fitosanitari.
La corilicoltura nella Tuscia si configura come un investimento che nel medio periodo garantisce un ritorno di capitale ed un recupero dell’investimento con standard qualitativi elevati per i consumatori e buoni margini per coltivatori de intermediari. I prezzi mediamente si attestano quasi ai livelli della più blasonata Piemontese. Le aree nuove di impianto possono presentare anche aspetti positivi sul parametro qualità però andrebbe opportunamente valutata anche l’impronta ecologica delle colture rispetto alle tradizionali aree. Sicuramente può essere considerato positivo un approccio che tende ancor di più verso la sostenibilità, con gli apporti di una agricoltura di precisioni e degli ultimi ritrovati in fatto di mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici come l’uso del caolino.
Christian Chiani, laureato con lode in Scienze agrarie, è abilitato all’esercizio della libera professione di Agronomo. Ha avuto esperienza di volontariato in agricoltura sociale ed ha maturato due stage nel 2017/18 rispettivamente con l’Università di Agraria di Perugia e con l’Arsial di Roma su innesto del nocciolo, Francescana e adattabilità di diverse specie di frutta secca all’areale della Tuscia. Ora lavora come docente presso l’ ITT di Civita Castellana E-mail: christian.chiani@libero.it