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Dolci natalizi: tra storia e leggenda

di Maura Gori

panettone
Panettone (Di N i c o l a from Fiumicino (Rome), Italy – Panettone – Nicolettone 2017 – IMG_7092, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=54313482)

Panforte, panpepato, cavallucci, ricciarelli e mostaccioli, continuando con panettone, pandoro, torrone, pandolce e struffoli: gustosi simboli legati in modo indissolubile al periodo natalizio. Sono solo alcuni dei molti dolci che rallegrano le nostre tavole, secondo una tradizione che si tramanda da secoli. La loro origine, passata ormai all’archivio della memoria, combina storia e leggenda e somma alla piacevolezza del gusto quella dell’ascolto di storie fantastiche che si perdono nel tempo.
In gran parte dolci del territorio, molti sono inseriti nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali e alcuni hanno ottenuto dall’Unione Europea il riconoscimento di Indicazione geografica. Caratteristiche importanti che li rendono unici. In questa occasione, tuttavia, ci concentreremo soprattutto sui miti che aleggiano intorno alla loro origine con narrazioni che spesso sconfinano nella leggenda. Iniziamo il racconto.

Panforte e Panpepato

Sono due dolci distinti, apprezzati sin dal Medioevo, ed oggi segnalati con riconoscimenti comunitari diversi. Al contrario le vicende legate alle loro origini non di rado ne confondono i nomi, tracciando un confine assai labile.
Custodito nell’archivio del monastero di Sant’Ambrogio di Moncellesi, in territorio senese, un documento del 1206 informa sulla quantità di “panes melatos e pepatos”, pani insaporiti di pepe e miele, che i contadini dovevano fornire come pagamento alle suore. Col tempo si affermò l’abitudine di arricchire questi pani con fichi, mele, uva e mandorle. Frutta fresca che, tuttavia, inacidiva dopo breve tempo, facendo virare il sapore verso una sgradevole asprigno, quindi “fortis”. Da qui la probabile traduzione letterale del panforte come “pane acido”.
Ed è utile ora accennare al preziosissimo “piper nigrum”, pepe nero. Di origine indiana, già presente nelle ricche mense della Roma imperiale, si diffonde nel territorio senese fin dal XII secolo. Dato il suo elevatissimo costo, tanto da essere utilizzato al posto delle monete, era destinato alle mense del clero, dei nobili e dei ricchi, o alle spezierie ed ai conventi dove le spezie venivano utilizzate prevalentemente per preparati medicinali. Per una sua più ampia diffusione sarà necessario aspettare la fine del secolo seguente quando alcuni mercanti, tra i quali il senese Niccolò Salimbeni, ne ampliarono la diffusione e resero accessibili, oltre al preziosissimo pepe, anche la noce moscata, i chiodi di garofano ed il cumino.
Col tempo quindi il termine “fortis” passò ad indicare anche l’aggiunta, nei “panes melatos” di una profusione di spezie varie. Da qui l’uso a volte generico del termine “panforte” sia per i dolci dal sapore inacidito che per quelli abbondantemente speziati, i panpepati appunto.
Ritenuti con proprietà afrodisiache grazie alla presenza del pepe, la preparazione di questi ultimi verrà affidata all’Arte dei Medici e degli Speziali di Siena ed effettuata in via esclusiva nelle spezierie della città e, come già detto, nei conventi. Il Dittionario volgare e latino già del 1576 tratta del panpepato come “pan papato hic panis dolciarium”, ritenendolo di fatto un prodotto dolciario. Il dolce con 17 ingredienti, tanti quanti le contrade senesi, si prepara ancora oggi nella città del Palio secondo una ricetta del 1675. Nel 1772 le autorità cittadine ne vorranno tutelare l’originalità, vietandone la produzione fuori dalle mura. Pochi anni più tardi, nel 1776, il francescano Natale Pepi, abbandonato il convento, inizierà nella sua spezieria la lavorazione di un panpepato mutuato fedelmente dalla ricetta appresa durante la permanenza nel monastero: il “pepia ceres”.
Nel 1879 il dolce a cupola cosparsa di pepe cambia nella forma e parzialmente nella ricetta. L’occasione è la visita a Siena della regina Margherita, moglie di Umberto I, per assistere al Palio. La copertura di pepe nero viene sostituita da una di zucchero a velo oltre e variare la frutta candita del composto. Il nuovo dolce, bianco e più delicato rispetto al predecessore, verrà offerto in omaggio alla sovrana dalla quale prese il nome. Ancora oggi conosciamo questa variante come Panforte Margherita.
Fin qui la storia, ed ora la leggenda. L’origine del panforte (o del panpepato, la netta differenza sfugge giacché pane “fortis” indica, come già accennato, anche il prodotto con l’aggiunta di pepe e spezie) sembra rimandare a suor Ginevra, una giovane rinchiusasi in convento a causa dell’amore infelice per messer Giannetto da Perugia da lei creduto morto durante le crociate. Mentre era intenta nella preparazione del pan melato la giovane sentì la voce dell’amato provenire da fuori e, per la forte emozione, versò nel composto una quantità enorme di pepe e spezie, canditi e semi di zucca, creando così la gustosa prelibatezza. Persa nel mito anche la vicenda di suor Berta che aggiunse alla farina miele, mandorle, pepe e spezie per corroborare i senesi indeboliti dal lungo assedio della loro città. Ancora: si racconta che suor Leta, cuoca del monastero benedettino di Sant’Ambrogio di Siena (lo stesso in cui la storia colloca nel 1206 la prima testimonianza scritta del dolce), abbia trovato nella dispensa molti sacchetti di alimenti rosicchiati dai topi ed illoro contenuto mescolato. Decise allora di raccogliere la farina, le mandorle e le spezie aggiungendoli al miele che intanto aveva messo a scaldare. Mentre il composto stava cucinando, un gatto nero graffiò la suora che riconobbe nell’animale il Maligno. Lo mise in fuga, tirandogli contro una parte del contenuto del pentolone. La Madre Badessa, accorsa, non solo ringraziò la consorella per aver liberato il convento dal Demonio ma, assaggiato l’impasto che intanto sobbolliva, diffondendo un allettante profumo, ne fu entusiasta e lo chiamò “pan pepato”. E per finire: nel 1260, durante la battaglia di Montaperti tra Siena e Firenze, l’energetica leccornia, fornita in grande quantità ai soldati senesi ormai duramente provati, si dice abbia alimentato la ripresa e la vittoria dell’esercito contro i fiorentini che avevano dovuto accontentarsi degli insufficienti e magri viveri loro forniti.

Panforte di Siena
Panforte di Siena IGP (foto https://www.coripanf.org/)

Molte le varianti regionali di questo dolce. Tra le altre il pampapato di Ferrara, o pampepato. L’origine sembrerebbe risalire al XVII secolo ed essere legata al convento delle monache di clausura del Corpus Domini della città. Per l’ideazione di questo “pane arricchito“, tipico delle festività natalizie, le Clarisse ripresero da un’antica ricetta di Cristoforo da Messisburgo, famoso cuoco della corte del duca Alfonso d’Este, iniziando la lavorazione di un nuovo pane speziato. Presso gli Estensi infatti si conosceva già un prelibato panpepato che concludeva i sontuosi banchetti ducali. L’originaria ricetta venne quindi rielaborata in un dolce a base di cioccolato fondente (ingrediente ricercatissimo), nocciole, mandorle, cannella e pepe. La forma era simile ad una cupola ricoperta da un sottile strato di cioccolato che lo avrebbe reso ricco e ricercato nel sapore e nell’aspetto, degno delle grandi personalità, tra cui niente meno che il Papa, a cui doveva essere offerto in dono. E non meraviglia data la grande l’influenza, spesso non rassicurante, che lo Stato della Chiesa aveva da tempo su quel territorio.
Dal principale destinatario di questa prelibatezza, o forse per le spezie nell’impasto, deriverebbe anche il nome che, dall’originale “pan del Papa“, in seguito si evolverà in pampapato o pampepato, denominazioni entrambe corrette e comunemente usate.
Altre gustose varianti di questo dolce si trovano anche nel ternano e ad Anagni.

Pampepato
Pampepato di Ferrara IGP (foto http://www.prolocoferrara.it/)

 Cavallucci

“Cavalluccio chiamasi un dolce in forma quasi di mostacciolo, composto di miele e di noci tritate o pestate, e cotto in forno, il quale si fa specialmente nella città di Siena”. Così il prestigioso Dizionario degli Accademici della Crusca definisce i gustosi dolcetti.
L’origine di questi biscotti risale, probabilmente, al Rinascimento, 1515 per l’esattezza, quando i “beriquocoli”, dolci simili, seppure più morbidi, molto speziati e destinati a conservarsi a lungo, vengono distribuiti alla popolazione senese dal Concistoro della città. Col tempo saranno modificati con l’eliminazione di alcuni ingredienti, rendendoli nel gusto più somiglianti ai dolci saporiti e bitorzoluti che conosciamo oggi.
La Treccani aggiunge: “in antico avevano l’impronta di un cavallo”. Linea forse mutuata dal racconto, assai veritiero, che li vedrebbe consumati quotidianamente nelle osterie e stazioni di posta del senese (importanti crocevia per le carovane provenienti da Oriente) sia da viaggiatori e corrieri che si ristoravano con un alimento corroborante ed energetico, sia dagli addetti al cambio dei cavalli che li inzuppavano nel vino.
Le varie ipotesi sul nome di questi dolci sono messe tuttavia in dubbio dall’Artusi il quale ne La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene scrive “perché siano così chiamati cred[o] non si sappia neanche a Siena”.

Ricciarelli

Questi biscotti di forma ovale, forse nati nel XIV secolo, rimandano alla leggenda del cavaliere senese Ricciardetto della Gherardesca, da cui forse il nome dei gustosi e profumati dolci alle mandorle, il quale, di ritorno dalle Crociate, ne avrebbe portato la ricetta dall’Oriente. L’Oriente viene chiamato in causa anche per i bordi irregolari e increspati dei biscotti che, si dice, ricordino la forma a punta delle babbucce dei Sultani che Ricciardetto aveva visto in Terra Santa. Altre voci legano le origini dei ricciarelli a quelle del marzapane diffuso fin dal XV secolo sulle tavole dei senesi più abbienti. Col termine generico “marzapane” si chiamavala pasta di mandorle appannaggio dell’élite benestante. Caterina Sforza, in occasione delle sue nozze, poté gustare ricciarelli indicati nelle cronache dell’evento come “marzapani secondo la moda di Siena”.

Ricciarelli
Ricciarelli di Siena IGP (foto https://www.coripanf.org/)

Mostaccioli

Molte le varianti regionali di questi biscotti. L’origine li lega alla Magna Grecia o al mondo romano. Teocrito li cita tra il IV ed il III secolo a.C. e Catone il Censore, nel secolo successivo, nel De agri cultura, parla di “mustacei”, focacce a base di farina, mosto d’uva, cumino, alloro ed anice, preparate in occasione delle nozze.
Secondo alcuni documenti il nome potrebbe rimandare al latino “mustum”, ingrediente utile per addolcire il prodotto e presente, almeno originariamente, nelle antiche ricette contadine. Per altri deriverebbe da “mustax”, alloro, le cui foglie venivano usate per avvolgere il “mustaceum” di cui si è detto. Un’altra possibile origine del nome li legherebbe al greco antico “mástax”, bocconcini.
Al tardo Medioevo risalgono i “mostazoli”, biscotti a base di mosto cotto. Nel Cinquecento, facendo riferimento ai mostaccioli napoletani, Bartolomeo Scappi, cuoco delle cucine vaticaneal tempo di papa Pio V, parla delle ricette di “piccoli pasticci secchi [che] sono sempre migliori il secondo giorno che il primo, e durano un mese nella lor perfettione”

Mostaccioli
Mostaccioli campani (foto http://www.agricoltura.regione.campania.it/)

Panettone

Sono diverse le leggende che aleggiano intorno all’origine del dolce simbolo di Milano. Risale al 1200 un pane lievitato addolcito con miele, uva e semi di zucca. Nel XVII secolo questa iniziale preparazione si trasforma in una focaccia di farina di grano costellata di chicchi d’uva fresca fino a quando, due secoli dopo, all’impasto si aggiunsero anche uova, zucchero e uva passa a testimonianza della ricchezza di coloro che potevano permettersi questa corroborante prelibatezza.
Per quanto riguarda le origini del nome, si tramanda che risalga ai tempi di Ludovico il Moro quando Toni, uno sguattero della cucina del palazzo ducale, avrebbe tentato di rimediare ad un dessert bruciato, sostituendolo con quello che aveva cotto con l’impasto avanzato arricchito con frutta e canditi e dando vita ad un pane dolce che, apprezzatissimo, da allora sarebbe stato denominato “pan del Toni“. Come nelle migliori tradizioni non mancano le varianti del racconto. Secondo un’altra versione, alla vigilia di Natale il sontuoso dolce a cupola con chicchi d’uva al suo interno, destinato ad allietare i palati degli ospiti del Duca, finì per bruciarsi. È facile immaginare la disperazione del cuoco! Per fortuna la pronta inventiva del giovane Toni suggerì di servire ugualmente il dolce, giustificando come voluta la crosta abbrustolita. Da qui, visto l’enorme successo, deriverebbe il nome “pan del Toni“. E ancora: Ughetto, figlio del condottiero Giacometto degli Atellani, innamorato della bella popolana Adalgisa, volle omaggiarla facendosi assumere come garzone dal fornaio Toni, il padre di lei. Improvvisandosi pasticcere si ingegnò ad impastare un pane dolce lievitato che piacque così tanto da costringere, a furor popolare, il severo condottiero Giacometto a permettere le nozze del figlio con l’umile giovane. Da ogni dove la gente arrivavaper gustare il prelibato “pan del Toni”.
Tuttavia l’origine più verosimile del panettone è forse un’altra. Pietro Verri fa riferimento all’abitudine dei milanesi, fin dall’XI secolo, di portare sulle loro tavole il “Pane di Natale” a conclusione del Cenone. Per le notevoli dimensioni, la portata beneaugurante veniva chiamata anche “Pan grande“. Da qui è breve il passaggio a Panettone.
Nel 1400 gli Statuti delle Corporazioni riportano il divieto ai fornai che impastavano i pani per la povera gente, di produrre quelli destinati all’élite milanese. Un’imposizione che veniva meno solo il giorno di Natale quando tutti, poveri e ricchi, potevano consumare il prezioso “pan de scior” o “pan de Ton”.

Pandoro

Altri aneddoti riguardano il pandoro. Anche il dolce dorato, ormai tradizionalmente legato al Veneto, ha origini antiche. Plinio il Vecchio, nel I secolo d.C., parlava già della preparazione di un “panis” a base di farina, burro ed olio. Al XIII secolo risale invece il “nadalin“, dolce tipico di Verona creato in omaggio ai Della Scala signori della città e dal quale il prodotto che conosciamo sembrerebbe derivare. Si racconta anche che l’impasto del pandoro possa rimandare al dessert francese più apprezzato alla corte dei Dogi: la brioche.
Il nome del Pandoro deriva dal veneto “pan de oro, e forse richiama la medievale abitudine dell’élite veneziana di impreziosire il lievitato di forma conica con foglie dorate. Una leggenda narra invece che un garzone, prendendo una fetta illuminata dal sole, abbia esclamato “l’è proprio un pan de oro”. I dubbi rimangono.
E’ invece una certezza che la prelibatezza ancora oggi degustata si debba a Domenico Melegatti il quale, il 14 ottobre 1894, ne depositerà la ricetta all’Ufficio brevetti del Ministero di Agricoltura e Commercio del Regno d’Italia. Ed il pasticcere era talmente sicuro dell’originalità e bontà della sua creazione che promise la piccola fortuna di ben mille lire a chiunque avesse presentato un lievitato con una composizione identica a quella da lui ideata. Nessuno ebbe il coraggio di sfidarlo. L’ispirazione dell’artista impressionista Angelo Dall’Oca Bianca suggerirà la peculiare e caratteristica forma troncoconica a otto punte.

Pandoro
Pandoro (foto https://www.starbene.it)

Torrone

Il torrone è un dolce natalizio tipico di molte regioni italiane, uno dei più famosi è quello cremonese. Secondo quanto riportato da Tito Livio, pare che già nella Roma antica si fosse soliti consumare una preparazione a base di miele, mandorle ed albume, come confermato nel 116 a.C. da Marco Terenzio Varrone. Altre voci lo fanno risalire ad una ricetta dell’antica Grecia. Non manca chi ipotizza che possa derivare da un croccante di origine araba, noto come “turun” del quale, tra il 1100 e il 1150, Gherardo Cremonese, traducendo il De medicinis e cibis semplicibus, del medico di Cordova Abdul Mutarrif, trovò la descrizione. Secondo altri il torrone come lo conosciamo oggi sarebbe opera dei cuochi chiamati a celebrare le nozze, il 26 ottobre 1441, di Francesco Sforza e Bianca Visconti ed a stupire gli ospiti con un banchetto ricco di originali leccornie.
La forma ricorderebbe quella del Torrazzo, campanile del Duomo e simbolo della città di Cremona mentre il nome parrebbe rimandare al verbo latino “torrere”, bruciare, con un esplicito richiamo alla tostatura delle mandorle e nocciole che arricchiscono il dolce oppure allo spagnolo “turròn”, abbrustolire.

Torrone
Torrone di Cremona (foto https://www.lombardianotizie.online/)

Pandolce genovese

Anche il pandolce ha origini antiche e, forse, lontane. Secondo lo storico genovese Luigi Augusto Cervetto (1854-1923) sarebbe la rielaborazione di un dolce persiano a base di frutta secca, pinoli e canditi. Non c’è certezza. Tuttavia la Repubblica di Genova, già nell’XI secolo, in occasione della Prima Crociata, aveva delle basi nel Mediterraneo orientale e l’influenza di questi luoghi è testimoniata da ingredienti nuovi, come l’uva sultanina e i canditi, chearricchiranno il pane lievitato divenuto simbolo della città. Altre testimonianze fanno nascere la prelibatezza ligure nel corso del XVI. L’ammiraglio Andrea Doria volle bandire un concorso tra i pasticceri genovesi per la creazione di un dolce che, per la ricchezza dei suoi ingredienti, potesse sia celebrare degnamente le nozze del nipote con Zanobia del Carretto sia rappresentare il prestigio e l’opulenza della città. Inoltre, per le proprietà nutrienti e per la possibilità di conservarsi a lungo ed essere trasportato con facilità, il pandolce ha accompagnato per molto tempo i marinai durante i lunghi viaggi.

Pandolce
Pandolce genovese (foto https://www.touringclub.it/)

Struffoli

La storia antichissima di questi dolcetti napoletani è assai incerta. Varie le ipotesi sulle origini delle golose palline, o striscette, di pasta dolce fritte e cosparse di candidi e coloratissimi confettini, noti a Napoli come “diavullilli” (diavoletti). La probabile origine è nella Magna Grecia, dato che nella cucina ellenica, a tutt’oggi, esiste una preparazione simile. Si tratta dei “loukoumades”. D’altronde anche l’etimo potrebbe avere assonanza con il termine greco “strongoulos”, ghiottonerie. Tuttavia anche il “pinhonate” andaluso ha molti tratti in comune coi dolcetti in questione, e non sorprende data la profonda influenza sulla cultura partenopea delle tradizioni introdotte dal vicereame spagnolo. I dubbi sulle origini greche o spagnole permangono. Infine, il nome potrebbe anche derivare dal napoletano “strofinare” che rimanda al gesto delle mani mentre manipolano la pasta fino a farla arrivare alla forma dovuta. Un gesto usuale per le monache napoletane le quali, fin dal 1700, in prossimità delle feste natalizie, erano solite uscire dai conventi per andare a fare visita alle famiglie bisognose alle quali donavano gli struffoli.
Ampia la diffusione di questi dolcetti in molte parti d’Italia. Il cuoco Antonio Latini, nel XVII secolo, cita gli “strufoli” alla romana, simili a quelli napoletani, Inoltre “cicerchiata” è il nome con cui si indicano questi dolcetti in Abruzzo, Umbria così come in Basilicata e Calabria. Nella zona del viterbese il nome è usato per frittelle che altrove sono indicate come “castagnole” e consumate durante il Carnevale. Ad evidenziare la ricca tradizione legata alle gustose palline di pasta fritta si trovano la “pignolata” tra le vie di Messina, i “sannachiudere” a Taranto, a Lecce i “purcedduzzi” ed i “giggeri” a Carloforte in Sardegna.

Struffoli
Struffoli (foto http://www.agricoltura.regione.campania.it/)

Maura Gori è docente di lettere presso l’Istituto Tecnico Agrario di Firenze.

 Sitografia:

Enciclopedia Treccani: www.Treccani.it
Le origini del panforte: www.luxurytuscanytravel.com
Panpepato e panforte di Siena tra storia e leggenda: www.ilcittadinoonline.it
Storie e leggende su panforte e panpepato: www.toscanamylove.it
Il panforte di Siena: storie e leggende: www.diciboealtrestorie.it
La storia del pampepato ferrarese: www.ilpanettiere.com
La storia del pampepato di Ferrara: www.umbertopassini.it
Il pampapato (o panpepato) di Ferrara tra storia e tradizione: www.travelemiliaromagna.it
Per indicazioni su: Storia panforte di Siena IGP, Storia cavallucci di Siena, Storia dei mostaccioli, Storia del torrone, Storia pandolce genovese si rimanda a www.taccuinigastronomici.it
Cavallucci e Ricciarelli di Siena, non solo a Natale: www.tuttotoscana.net
Alla scoperta della storia dei Ricciarelli: http://blog.sapori.it
Mostaccioli: origini e storia dei biscotti delle feste: www.agrodolce.it
Sapori leggendari del Natale: tra baffi e re, i Mustacciuoli: www.labussolanews.it
L’incredibile storia del panettone milanese: www.storiedimenticate.it
Storie e leggende del panettone: www.repubblica.it
Storia del Pandoro: www.dissapore.com
Pandoro: un nome nato tra storia e leggenda: www.innaturale.it
Qual è la vera storia del Pandoro di Natale? Tra leggenda e tradizioni: www.ultimora.news
Il “pane de oro”: curiosità sulle origini de Pandoro: http://redacademy.it
Il torrone di Cremona, tra miti e curiosità: www.innaturale.com
Il pandolce genovese tra storia e leggenda: www.ivg.it
La tradizione del pandolce genovese: www.diciboealtrestorie.com
Sapori leggendari del Natale: la rotonda storia degli struffoli: www.labussolanews.it
La leggenda dello struffolo: www.sottoilvesuvio.it
Gli struffoli napoletani:http://storienapoli.it