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di Maura Gori

panettone
Pa­net­to­ne (Di N i c o l a from Fiu­mi­ci­no (Rome), Italy – Pa­net­to­ne – Ni­co­let­to­ne 2017 – IMG_7092, CC BY 2.0, https://​commons.​wikimedia.​org/​w/​index.​php?​cur​id=543​1348​2)

Pan­for­te, pan­pe­pa­to, ca­val­luc­ci, ric­cia­rel­li e mo­stac­cio­li, con­ti­nuan­do con pa­net­to­ne, pan­do­ro, tor­ro­ne, pan­dol­ce e struf­fo­li: gu­sto­si sim­bo­li le­ga­ti in modo in­dis­so­lu­bi­le al pe­rio­do na­ta­li­zio. Sono solo al­cu­ni dei molti dolci che ral­le­gra­no le no­stre ta­vo­le, se­con­do una tra­di­zio­ne che si tra­man­da da se­co­li. La loro ori­gi­ne, pas­sa­ta ormai al­l’ar­chi­vio della me­mo­ria, com­bi­na sto­ria e leg­gen­da e somma alla pia­ce­vo­lez­za del gusto quel­la del­l’a­scol­to di sto­rie fan­ta­sti­che che si per­do­no nel tempo.
In gran parte dolci del ter­ri­to­rio, molti sono in­se­ri­ti nel­l’e­len­co na­zio­na­le dei pro­dot­ti agroa­li­men­ta­ri tra­di­zio­na­li e al­cu­ni hanno ot­te­nu­to dal­l’U­nio­ne Eu­ro­pea il ri­co­no­sci­men­to di In­di­ca­zio­ne geo­gra­fi­ca. Ca­rat­te­ri­sti­che im­por­tan­ti che li ren­do­no unici. In que­sta oc­ca­sio­ne, tut­ta­via, ci con­cen­tre­re­mo so­prat­tut­to sui miti che aleg­gia­no in­tor­no alla loro ori­gi­ne con nar­ra­zio­ni che spes­so scon­fi­na­no nella leg­gen­da. Ini­zia­mo il rac­con­to.

Pan­for­te e Pan­pe­pa­to

Sono due dolci di­stin­ti, ap­prez­za­ti sin dal Me­dioe­vo, ed oggi se­gna­la­ti con ri­co­no­sci­men­ti co­mu­ni­ta­ri di­ver­si. Al con­tra­rio le vi­cen­de le­ga­te alle loro ori­gi­ni non di rado ne con­fon­do­no i nomi, trac­cian­do un con­fi­ne assai la­bi­le.
Cu­sto­di­to nel­l’ar­chi­vio del mo­na­ste­ro di San­t’Am­bro­gio di Mon­cel­le­si, in ter­ri­to­rio se­ne­se, un do­cu­men­to del 1206 in­for­ma sulla quan­ti­tà di “panes me­la­tos e pe­pa­tos”, pani in­sa­po­ri­ti di pepe e miele, che i con­ta­di­ni do­ve­va­no for­ni­re come pa­ga­men­to alle suore. Col tempo si af­fer­mò l’a­bi­tu­di­ne di ar­ric­chi­re que­sti pani con fichi, mele, uva e man­dor­le. Frut­ta fre­sca che, tut­ta­via, ina­ci­di­va dopo breve tempo, fa­cen­do vi­ra­re il sa­po­re verso una sgra­de­vo­le aspri­gno, quin­di “for­tis”. Da qui la pro­ba­bi­le tra­du­zio­ne let­te­ra­le del pan­for­te come “pane acido”.
Ed è utile ora ac­cen­na­re al pre­zio­sis­si­mo “piper ni­grum”, pepe nero. Di ori­gi­ne in­dia­na, già pre­sen­te nelle ric­che mense della Roma im­pe­ria­le, si dif­fon­de nel ter­ri­to­rio se­ne­se fin dal XII se­co­lo. Dato il suo ele­va­tis­si­mo costo, tanto da es­se­re uti­liz­za­to al posto delle mo­ne­te, era de­sti­na­to alle mense del clero, dei no­bi­li e dei ric­chi, o alle spe­zie­rie ed ai con­ven­ti dove le spe­zie ve­ni­va­no uti­liz­za­te pre­va­len­te­men­te per pre­pa­ra­ti me­di­ci­na­li. Per una sua più ampia dif­fu­sio­ne sarà ne­ces­sa­rio aspet­ta­re la fine del se­co­lo se­guen­te quan­do al­cu­ni mer­can­ti, tra i quali il se­ne­se Nic­co­lò Sa­lim­be­ni, ne am­plia­ro­no la dif­fu­sio­ne e re­se­ro ac­ces­si­bi­li, oltre al pre­zio­sis­si­mo pepe, anche la noce mo­sca­ta, i chio­di di ga­ro­fa­no ed il cu­mi­no.
Col tempo quin­di il ter­mi­ne “for­tis” passò ad in­di­ca­re anche l’ag­giun­ta, nei “panes me­la­tos” di una pro­fu­sio­ne di spe­zie varie. Da qui l’uso a volte ge­ne­ri­co del ter­mi­ne “pan­for­te” sia per i dolci dal sa­po­re ina­ci­di­to che per quel­li ab­bon­dan­te­men­te spe­zia­ti, i pan­pe­pa­ti ap­pun­to.
Ri­te­nu­ti con pro­prie­tà afro­di­sia­che gra­zie alla pre­sen­za del pepe, la pre­pa­ra­zio­ne di que­sti ul­ti­mi verrà af­fi­da­ta al­l’Ar­te dei Me­di­ci e degli Spe­zia­li di Siena ed ef­fet­tua­ta in via esclu­si­va nelle spe­zie­rie della città e, come già detto, nei con­ven­ti. Il Dit­tio­na­rio vol­ga­re e la­ti­no già del 1576 trat­ta del pan­pe­pa­to come “pan pa­pa­to hic panis dol­cia­rium”, ri­te­nen­do­lo di fatto un pro­dot­to dol­cia­rio. Il dolce con 17 in­gre­dien­ti, tanti quan­ti le con­tra­de se­ne­si, si pre­pa­ra an­co­ra oggi nella città del Palio se­con­do una ri­cet­ta del 1675. Nel 1772 le au­to­ri­tà cit­ta­di­ne ne vor­ran­no tu­te­la­re l’o­ri­gi­na­li­tà, vie­tan­do­ne la pro­du­zio­ne fuori dalle mura. Pochi anni più tardi, nel 1776, il fran­ce­sca­no Na­ta­le Pepi, ab­ban­do­na­to il con­ven­to, ini­zie­rà nella sua spe­zie­ria la la­vo­ra­zio­ne di un pan­pe­pa­to mu­tua­to fe­del­men­te dalla ri­cet­ta ap­pre­sa du­ran­te la per­ma­nen­za nel mo­na­ste­ro: il “pepia ceres”.
Nel 1879 il dolce a cu­po­la co­spar­sa di pepe cam­bia nella forma e par­zial­men­te nella ri­cet­ta. L’oc­ca­sio­ne è la vi­si­ta a Siena della re­gi­na Mar­ghe­ri­ta, mo­glie di Um­ber­to I, per as­si­ste­re al Palio. La co­per­tu­ra di pepe nero viene so­sti­tui­ta da una di zuc­che­ro a velo oltre e va­ria­re la frut­ta can­di­ta del com­po­sto. Il nuovo dolce, bian­co e più de­li­ca­to ri­spet­to al pre­de­ces­so­re, verrà of­fer­to in omag­gio alla so­vra­na dalla quale prese il nome. An­co­ra oggi co­no­scia­mo que­sta va­rian­te come Pan­for­te Mar­ghe­ri­ta.
Fin qui la sto­ria, ed ora la leg­gen­da. L’o­ri­gi­ne del pan­for­te (o del pan­pe­pa­to, la netta dif­fe­ren­za sfug­ge giac­ché pane “for­tis” in­di­ca, come già ac­cen­na­to, anche il pro­dot­to con l’ag­giun­ta di pepe e spe­zie) sem­bra ri­man­da­re a suor Gi­ne­vra, una gio­va­ne rin­chiu­sa­si in con­ven­to a causa del­l’a­mo­re in­fe­li­ce per mes­ser Gian­net­to da Pe­ru­gia da lei cre­du­to morto du­ran­te le cro­cia­te. Men­tre era in­ten­ta nella pre­pa­ra­zio­ne del pan me­la­to la gio­va­ne sentì la voce del­l’a­ma­to pro­ve­ni­re da fuori e, per la forte emo­zio­ne, versò nel com­po­sto una quan­ti­tà enor­me di pepe e spe­zie, can­di­ti e semi di zucca, crean­do così la gu­sto­sa pre­li­ba­tez­za. Persa nel mito anche la vi­cen­da di suor Berta che ag­giun­se alla fa­ri­na miele, man­dor­le, pepe e spe­zie per cor­ro­bo­ra­re i se­ne­si in­de­bo­li­ti dal lungo as­se­dio della loro città. An­co­ra: si rac­con­ta che suor Leta, cuoca del mo­na­ste­ro be­ne­det­ti­no di San­t’Am­bro­gio di Siena (lo stes­so in cui la sto­ria col­lo­ca nel 1206 la prima te­sti­mo­nian­za scrit­ta del dolce), abbia tro­va­to nella di­spen­sa molti sac­chet­ti di ali­men­ti ro­sic­chia­ti dai topi ed il­lo­ro con­te­nu­to me­sco­la­to. De­ci­se al­lo­ra di rac­co­glie­re la fa­ri­na, le man­dor­le e le spe­zie ag­giun­gen­do­li al miele che in­tan­to aveva messo a scal­da­re. Men­tre il com­po­sto stava cu­ci­nan­do, un gatto nero graf­fiò la suora che ri­co­nob­be nel­l’a­ni­ma­le il Ma­li­gno. Lo mise in fuga, ti­ran­do­gli con­tro una parte del con­te­nu­to del pen­to­lo­ne. La Madre Ba­des­sa, ac­cor­sa, non solo rin­gra­ziò la con­so­rel­la per aver li­be­ra­to il con­ven­to dal De­mo­nio ma, as­sag­gia­to l’im­pa­sto che in­tan­to sob­bol­li­va, dif­fon­den­do un al­let­tan­te pro­fu­mo, ne fu en­tu­sia­sta e lo chia­mò “pan pe­pa­to”. E per fi­ni­re: nel 1260, du­ran­te la bat­ta­glia di Mon­ta­per­ti tra Siena e Fi­ren­ze, l’e­ner­ge­ti­ca lec­cor­nia, for­ni­ta in gran­de quan­ti­tà ai sol­da­ti se­ne­si ormai du­ra­men­te pro­va­ti, si dice abbia ali­men­ta­to la ri­pre­sa e la vit­to­ria del­l’e­ser­ci­to con­tro i fio­ren­ti­ni che ave­va­no do­vu­to ac­con­ten­tar­si degli in­suf­fi­cien­ti e magri vi­ve­ri loro for­ni­ti.

Panforte di Siena
Pan­for­te di Siena IGP (foto https://​www.​coripanf.​org/)

Molte le va­rian­ti re­gio­na­li di que­sto dolce. Tra le altre il pam­pa­pa­to di Fer­ra­ra, o pam­pe­pa­to. L’o­ri­gi­ne sem­bre­reb­be ri­sa­li­re al XVII se­co­lo ed es­se­re le­ga­ta al con­ven­to delle mo­na­che di clau­su­ra del Cor­pus Do­mi­ni della città. Per l’i­dea­zio­ne di que­sto “pane ar­ric­chi­to“, ti­pi­co delle fe­sti­vi­tà na­ta­li­zie, le Cla­ris­se ri­pre­se­ro da un’an­ti­ca ri­cet­ta di Cri­sto­fo­ro da Mes­si­sbur­go, fa­mo­so cuoco della corte del duca Al­fon­so d’E­ste, ini­zian­do la la­vo­ra­zio­ne di un nuovo pane spe­zia­to. Pres­so gli Esten­si in­fat­ti si co­no­sce­va già un pre­li­ba­to pan­pe­pa­to che con­clu­de­va i son­tuo­si ban­chet­ti du­ca­li. L’o­ri­gi­na­ria ri­cet­ta venne quin­di rie­la­bo­ra­ta in un dolce a base di cioc­co­la­to fon­den­te (in­gre­dien­te ri­cer­ca­tis­si­mo), noc­cio­le, man­dor­le, can­nel­la e pepe. La forma era si­mi­le ad una cu­po­la ri­co­per­ta da un sot­ti­le stra­to di cioc­co­la­to che lo avreb­be reso ricco e ri­cer­ca­to nel sa­po­re e nel­l’a­spet­to, degno delle gran­di per­so­na­li­tà, tra cui nien­te meno che il Papa, a cui do­ve­va es­se­re of­fer­to in dono. E non me­ra­vi­glia data la gran­de l’in­fluen­za, spes­so non ras­si­cu­ran­te, che lo Stato della Chie­sa aveva da tempo su quel ter­ri­to­rio.
Dal prin­ci­pa­le de­sti­na­ta­rio di que­sta pre­li­ba­tez­za, o forse per le spe­zie nel­l’im­pa­sto, de­ri­ve­reb­be anche il nome che, dal­l’o­ri­gi­na­le “pan del Papa“, in se­gui­to si evol­ve­rà in pam­pa­pa­to o pam­pe­pa­to, de­no­mi­na­zio­ni en­tram­be cor­ret­te e co­mu­ne­men­te usate.
Altre gu­sto­se va­rian­ti di que­sto dolce si tro­va­no anche nel ter­na­no e ad Ana­gni.

Pampepato
Pam­pe­pa­to di Fer­ra­ra IGP (foto http://​www.​pro​loco​ferr​ara.​it/)

 Ca­val­luc­ci

“Ca­val­luc­cio chia­ma­si un dolce in forma quasi di mo­stac­cio­lo, com­po­sto di miele e di noci tri­ta­te o pe­sta­te, e cotto in forno, il quale si fa spe­cial­men­te nella città di Siena”. Così il pre­sti­gio­so Di­zio­na­rio degli Ac­ca­de­mi­ci della Cru­sca de­fi­ni­sce i gu­sto­si dol­cet­ti.
L’o­ri­gi­ne di que­sti bi­scot­ti ri­sa­le, pro­ba­bil­men­te, al Ri­na­sci­men­to, 1515 per l’e­sat­tez­za, quan­do i “be­ri­quo­co­li”, dolci si­mi­li, sep­pu­re più mor­bi­di, molto spe­zia­ti e de­sti­na­ti a con­ser­var­si a lungo, ven­go­no di­stri­bui­ti alla po­po­la­zio­ne se­ne­se dal Con­ci­sto­ro della città. Col tempo sa­ran­no mo­di­fi­ca­ti con l’e­li­mi­na­zio­ne di al­cu­ni in­gre­dien­ti, ren­den­do­li nel gusto più so­mi­glian­ti ai dolci sa­po­ri­ti e bi­tor­zo­lu­ti che co­no­scia­mo oggi.
La Trec­ca­ni ag­giun­ge: “in an­ti­co ave­va­no l’im­pron­ta di un ca­val­lo”. Linea forse mu­tua­ta dal rac­con­to, assai ve­ri­tie­ro, che li ve­dreb­be con­su­ma­ti quo­ti­dia­na­men­te nelle oste­rie e sta­zio­ni di posta del se­ne­se (im­por­tan­ti cro­ce­via per le ca­ro­va­ne pro­ve­nien­ti da Orien­te) sia da viag­gia­to­ri e cor­rie­ri che si ri­sto­ra­va­no con un ali­men­to cor­ro­bo­ran­te ed ener­ge­ti­co, sia dagli ad­det­ti al cam­bio dei ca­val­li che li in­zup­pa­va­no nel vino.
Le varie ipo­te­si sul nome di que­sti dolci sono messe tut­ta­via in dub­bio dal­l’Ar­tu­si il quale ne La scien­za in cu­ci­na e l’ar­te di man­giar bene scri­ve “per­ché siano così chia­ma­ti cred[o] non si sap­pia nean­che a Siena”.

Ric­cia­rel­li

Que­sti bi­scot­ti di forma ovale, forse nati nel XIV se­co­lo, ri­man­da­no alla leg­gen­da del ca­va­lie­re se­ne­se Ric­ciar­det­to della Ghe­rar­de­sca, da cui forse il nome dei gu­sto­si e pro­fu­ma­ti dolci alle man­dor­le, il quale, di ri­tor­no dalle Cro­cia­te, ne avreb­be por­ta­to la ri­cet­ta dal­l’O­rien­te. L’O­rien­te viene chia­ma­to in causa anche per i bordi ir­re­go­la­ri e in­cre­spa­ti dei bi­scot­ti che, si dice, ri­cor­di­no la forma a punta delle bab­buc­ce dei Sul­ta­ni che Ric­ciar­det­to aveva visto in Terra Santa. Altre voci le­ga­no le ori­gi­ni dei ric­cia­rel­li a quel­le del mar­za­pa­ne dif­fu­so fin dal XV se­co­lo sulle ta­vo­le dei se­ne­si più ab­bien­ti. Col ter­mi­ne ge­ne­ri­co “mar­za­pa­ne” si chia­ma­va­la pasta di man­dor­le ap­pan­nag­gio del­l’é­li­te be­ne­stan­te. Ca­te­ri­na Sfor­za, in oc­ca­sio­ne delle sue nozze, poté gu­sta­re ric­cia­rel­li in­di­ca­ti nelle cro­na­che del­l’e­ven­to come “mar­za­pa­ni se­con­do la moda di Siena”.

Ricciarelli
Ric­cia­rel­li di Siena IGP (foto https://​www.​coripanf.​org/)

Mo­stac­cio­li

Molte le va­rian­ti re­gio­na­li di que­sti bi­scot­ti. L’o­ri­gi­ne li lega alla Magna Gre­cia o al mondo ro­ma­no. Teo­cri­to li cita tra il IV ed il III se­co­lo a.C. e Ca­to­ne il Cen­so­re, nel se­co­lo suc­ces­si­vo, nel De agri cul­tu­ra, parla di “mu­sta­cei”, fo­cac­ce a base di fa­ri­na, mosto d’uva, cu­mi­no, al­lo­ro ed anice, pre­pa­ra­te in oc­ca­sio­ne delle nozze.
Se­con­do al­cu­ni do­cu­men­ti il nome po­treb­be ri­man­da­re al la­ti­no “mu­stum”, in­gre­dien­te utile per ad­dol­ci­re il pro­dot­to e pre­sen­te, al­me­no ori­gi­na­ria­men­te, nelle an­ti­che ri­cet­te con­ta­di­ne. Per altri de­ri­ve­reb­be da “mu­stax”, al­lo­ro, le cui fo­glie ve­ni­va­no usate per av­vol­ge­re il “mu­sta­ceum” di cui si è detto. Un’al­tra pos­si­bi­le ori­gi­ne del nome li le­ghe­reb­be al greco an­ti­co “mástax”, boc­con­ci­ni.
Al tardo Me­dioe­vo ri­sal­go­no i “mo­sta­zo­li”, bi­scot­ti a base di mosto cotto. Nel Cin­que­cen­to, fa­cen­do ri­fe­ri­men­to ai mo­stac­cio­li na­po­le­ta­ni, Bar­to­lo­meo Scap­pi, cuoco delle cu­ci­ne va­ti­ca­neal tempo di papa Pio V, parla delle ri­cet­te di “pic­co­li pa­stic­ci sec­chi [che] sono sem­pre mi­glio­ri il se­con­do gior­no che il primo, e du­ra­no un mese nella lor per­fet­tio­ne”

Mostaccioli
Mo­stac­cio­li cam­pa­ni (foto http://​www.​agricoltura.​regione.​campania.​it/)

Pa­net­to­ne

Sono di­ver­se le leg­gen­de che aleg­gia­no in­tor­no al­l’o­ri­gi­ne del dolce sim­bo­lo di Mi­la­no. Ri­sa­le al 1200 un pane lie­vi­ta­to ad­dol­ci­to con miele, uva e semi di zucca. Nel XVII se­co­lo que­sta ini­zia­le pre­pa­ra­zio­ne si tra­sfor­ma in una fo­cac­cia di fa­ri­na di grano co­stel­la­ta di chic­chi d’uva fre­sca fino a quan­do, due se­co­li dopo, al­l’im­pa­sto si ag­giun­se­ro anche uova, zuc­che­ro e uva passa a te­sti­mo­nian­za della ric­chez­za di co­lo­ro che po­te­va­no per­met­ter­si que­sta cor­ro­bo­ran­te pre­li­ba­tez­za.
Per quan­to ri­guar­da le ori­gi­ni del nome, si tra­man­da che ri­sal­ga ai tempi di Lu­do­vi­co il Moro quan­do Toni, uno sguat­te­ro della cu­ci­na del pa­laz­zo du­ca­le, avreb­be ten­ta­to di ri­me­dia­re ad un des­sert bru­cia­to, so­sti­tuen­do­lo con quel­lo che aveva cotto con l’im­pa­sto avan­za­to ar­ric­chi­to con frut­ta e can­di­ti e dando vita ad un pane dolce che, ap­prez­za­tis­si­mo, da al­lo­ra sa­reb­be stato de­no­mi­na­to “pan del Toni“. Come nelle mi­glio­ri tra­di­zio­ni non man­ca­no le va­rian­ti del rac­con­to. Se­con­do un’al­tra ver­sio­ne, alla vi­gi­lia di Na­ta­le il son­tuo­so dolce a cu­po­la con chic­chi d’uva al suo in­ter­no, de­sti­na­to ad al­lie­ta­re i pa­la­ti degli ospi­ti del Duca, finì per bru­ciar­si. È fa­ci­le im­ma­gi­na­re la di­spe­ra­zio­ne del cuoco! Per for­tu­na la pron­ta in­ven­ti­va del gio­va­ne Toni sug­ge­rì di ser­vi­re ugual­men­te il dolce, giu­sti­fi­can­do come vo­lu­ta la cro­sta ab­bru­sto­li­ta. Da qui, visto l’e­nor­me suc­ces­so, de­ri­ve­reb­be il nome “pan del Toni“. E an­co­ra: Ughet­to, fi­glio del con­dot­tie­ro Gia­co­met­to degli Atel­la­ni, in­na­mo­ra­to della bella po­po­la­na Adal­gi­sa, volle omag­giar­la fa­cen­do­si as­su­me­re come gar­zo­ne dal for­na­io Toni, il padre di lei. Im­prov­vi­san­do­si pa­stic­ce­re si in­ge­gnò ad im­pa­sta­re un pane dolce lie­vi­ta­to che piac­que così tanto da co­strin­ge­re, a furor po­po­la­re, il se­ve­ro con­dot­tie­ro Gia­co­met­to a per­met­te­re le nozze del fi­glio con l’u­mi­le gio­va­ne. Da ogni dove la gente ar­ri­va­va­per gu­sta­re il pre­li­ba­to “pan del Toni”.
Tut­ta­via l’o­ri­gi­ne più ve­ro­si­mi­le del pa­net­to­ne è forse un’al­tra. Pie­tro Verri fa ri­fe­ri­men­to al­l’a­bi­tu­di­ne dei mi­la­ne­si, fin dal­l’XI se­co­lo, di por­ta­re sulle loro ta­vo­le il “Pane di Na­ta­le” a con­clu­sio­ne del Ce­no­ne. Per le no­te­vo­li di­men­sio­ni, la por­ta­ta be­neau­gu­ran­te ve­ni­va chia­ma­ta anche “Pan gran­de“. Da qui è breve il pas­sag­gio a Pa­net­to­ne.
Nel 1400 gli Sta­tu­ti delle Cor­po­ra­zio­ni ri­por­ta­no il di­vie­to ai for­nai che im­pa­sta­va­no i pani per la po­ve­ra gente, di pro­dur­re quel­li de­sti­na­ti al­l’é­li­te mi­la­ne­se. Un’im­po­si­zio­ne che ve­ni­va meno solo il gior­no di Na­ta­le quan­do tutti, po­ve­ri e ric­chi, po­te­va­no con­su­ma­re il pre­zio­so “pan de scior” o “pan de Ton”.

Pan­do­ro

Altri aned­do­ti ri­guar­da­no il pan­do­ro. Anche il dolce do­ra­to, ormai tra­di­zio­nal­men­te le­ga­to al Ve­ne­to, ha ori­gi­ni an­ti­che. Pli­nio il Vec­chio, nel I se­co­lo d.C., par­la­va già della pre­pa­ra­zio­ne di un “panis” a base di fa­ri­na, burro ed olio. Al XIII se­co­lo ri­sa­le in­ve­ce il “na­da­lin“, dolce ti­pi­co di Ve­ro­na crea­to in omag­gio ai Della Scala si­gno­ri della città e dal quale il pro­dot­to che co­no­scia­mo sem­bre­reb­be de­ri­va­re. Si rac­con­ta anche che l’im­pa­sto del pan­do­ro possa ri­man­da­re al des­sert fran­ce­se più ap­prez­za­to alla corte dei Dogi: la brio­che.
Il nome del Pan­do­ro de­ri­va dal ve­ne­to “pan de oro, e forse ri­chia­ma la me­die­va­le abi­tu­di­ne del­l’é­li­te ve­ne­zia­na di im­pre­zio­si­re il lie­vi­ta­to di forma co­ni­ca con fo­glie do­ra­te. Una leg­gen­da narra in­ve­ce che un gar­zo­ne, pren­den­do una fetta il­lu­mi­na­ta dal sole, abbia escla­ma­to “l’è pro­prio un pan de oro”. I dubbi ri­man­go­no.
E’ in­ve­ce una cer­tez­za che la pre­li­ba­tez­za an­co­ra oggi de­gu­sta­ta si debba a Do­me­ni­co Me­le­gat­ti il quale, il 14 ot­to­bre 1894, ne de­po­si­te­rà la ri­cet­ta al­l’Uf­fi­cio bre­vet­ti del Mi­ni­ste­ro di Agri­col­tu­ra e Com­mer­cio del Regno d’I­ta­lia. Ed il pa­stic­ce­re era tal­men­te si­cu­ro del­l’o­ri­gi­na­li­tà e bontà della sua crea­zio­ne che pro­mi­se la pic­co­la for­tu­na di ben mille lire a chiun­que aves­se pre­sen­ta­to un lie­vi­ta­to con una com­po­si­zio­ne iden­ti­ca a quel­la da lui idea­ta. Nes­su­no ebbe il co­rag­gio di sfi­dar­lo. L’i­spi­ra­zio­ne del­l’ar­ti­sta im­pres­sio­ni­sta An­ge­lo Dal­l’O­ca Bian­ca sug­ge­ri­rà la pe­cu­lia­re e ca­rat­te­ri­sti­ca forma tron­co­co­ni­ca a otto punte.

Pandoro
Pan­do­ro (foto https://​www.​starbene.​it)

Tor­ro­ne

Il tor­ro­ne è un dolce na­ta­li­zio ti­pi­co di molte re­gio­ni ita­lia­ne, uno dei più fa­mo­si è quel­lo cre­mo­ne­se. Se­con­do quan­to ri­por­ta­to da Tito Livio, pare che già nella Roma an­ti­ca si fosse so­li­ti con­su­ma­re una pre­pa­ra­zio­ne a base di miele, man­dor­le ed al­bu­me, come con­fer­ma­to nel 116 a.C. da Marco Te­ren­zio Var­rone. Altre voci lo fanno ri­sa­li­re ad una ri­cet­ta del­l’an­ti­ca Gre­cia. Non manca chi ipo­tiz­za che possa de­ri­va­re da un croc­can­te di ori­gi­ne araba, noto come “turun” del quale, tra il 1100 e il 1150, Ghe­rar­do Cre­mo­ne­se, tra­du­cen­do il De me­di­ci­nis e cibis sem­pli­ci­bus, del me­di­co di Cor­do­va Abdul Mu­tar­rif, trovò la de­scri­zio­ne. Se­con­do altri il tor­ro­ne come lo co­no­scia­mo oggi sa­reb­be opera dei cuo­chi chia­ma­ti a ce­le­bra­re le nozze, il 26 ot­to­bre 1441, di Fran­ce­sco Sfor­za e Bian­ca Vi­scon­ti ed a stu­pi­re gli ospi­ti con un ban­chet­to ricco di ori­gi­na­li lec­cor­nie.
La forma ri­cor­de­reb­be quel­la del Tor­raz­zo, cam­pa­ni­le del Duomo e sim­bo­lo della città di Cre­mo­na men­tre il nome par­reb­be ri­man­da­re al verbo la­ti­no “tor­re­re”, bru­cia­re, con un espli­ci­to ri­chia­mo alla to­sta­tu­ra delle man­dor­le e noc­cio­le che ar­ric­chi­sco­no il dolce op­pu­re allo spa­gno­lo “tur­ròn”, ab­bru­sto­li­re.

Torrone
Tor­ro­ne di Cre­mo­na (foto https://​www.​lom​bard​iano​tizi​e.​online/)

Pan­dol­ce ge­no­ve­se

Anche il pan­dol­ce ha ori­gi­ni an­ti­che e, forse, lon­ta­ne. Se­con­do lo sto­ri­co ge­no­ve­se Luigi Au­gu­sto Cer­vet­to (1854-1923) sa­reb­be la rie­la­bo­ra­zio­ne di un dolce per­sia­no a base di frut­ta secca, pi­no­li e can­di­ti. Non c’è cer­tez­za. Tut­ta­via la Re­pub­bli­ca di Ge­no­va, già nel­l’XI se­co­lo, in oc­ca­sio­ne della Prima Cro­cia­ta, aveva delle basi nel Me­di­ter­ra­neo orien­ta­le e l’in­fluen­za di que­sti luo­ghi è te­sti­mo­nia­ta da in­gre­dien­ti nuovi, come l’uva sul­ta­ni­na e i can­di­ti, chear­ric­chi­ran­no il pane lie­vi­ta­to di­ve­nu­to sim­bo­lo della città. Altre te­sti­mo­nian­ze fanno na­sce­re la pre­li­ba­tez­za li­gu­re nel corso del XVI. L’am­mi­ra­glio An­drea Doria volle ban­di­re un con­cor­so tra i pa­stic­ce­ri ge­no­ve­si per la crea­zio­ne di un dolce che, per la ric­chez­za dei suoi in­gre­dien­ti, po­tes­se sia ce­le­bra­re de­gna­men­te le nozze del ni­po­te con Za­no­bia del Car­ret­to sia rap­pre­sen­ta­re il pre­sti­gio e l’o­pu­len­za della città. Inol­tre, per le pro­prie­tà nu­trien­ti e per la pos­si­bi­li­tà di con­ser­var­si a lungo ed es­se­re tra­spor­ta­to con fa­ci­li­tà, il pan­dol­ce ha ac­com­pa­gna­to per molto tempo i ma­ri­nai du­ran­te i lun­ghi viag­gi.

Pandolce
Pan­dol­ce ge­no­ve­se (foto https://​www.​touringclub.​it/)

Struf­fo­li

La sto­ria an­ti­chis­si­ma di que­sti dol­cet­ti na­po­le­ta­ni è assai in­cer­ta. Varie le ipo­te­si sulle ori­gi­ni delle go­lo­se pal­li­ne, o stri­scet­te, di pasta dolce frit­te e co­spar­se di can­di­di e co­lo­ra­tis­si­mi con­fet­ti­ni, noti a Na­po­li come “dia­vul­lil­li” (dia­vo­let­ti). La pro­ba­bi­le ori­gi­ne è nella Magna Gre­cia, dato che nella cu­ci­na el­le­ni­ca, a tut­t’og­gi, esi­ste una pre­pa­ra­zio­ne si­mi­le. Si trat­ta dei “lou­kou­ma­des”. D’al­tron­de anche l’e­ti­mo po­treb­be avere as­so­nan­za con il ter­mi­ne greco “stron­gou­los”, ghiot­to­ne­rie. Tut­ta­via anche il “pi­n­ho­na­te” an­da­lu­so ha molti trat­ti in co­mu­ne coi dol­cet­ti in que­stio­ne, e non sor­pren­de data la pro­fon­da in­fluen­za sulla cul­tu­ra par­te­no­pea delle tra­di­zio­ni in­tro­dot­te dal vi­ce­rea­me spa­gno­lo. I dubbi sulle ori­gi­ni gre­che o spa­gno­le per­man­go­no. In­fi­ne, il nome po­treb­be anche de­ri­va­re dal na­po­le­ta­no “stro­fi­na­re” che ri­man­da al gesto delle mani men­tre ma­ni­po­la­no la pasta fino a farla ar­ri­va­re alla forma do­vu­ta. Un gesto usua­le per le mo­na­che na­po­le­ta­ne le quali, fin dal 1700, in pros­si­mi­tà delle feste na­ta­li­zie, erano so­li­te usci­re dai con­ven­ti per an­da­re a fare vi­si­ta alle fa­mi­glie bi­so­gno­se alle quali do­na­va­no gli struf­fo­li.
Ampia la dif­fu­sio­ne di que­sti dol­cet­ti in molte parti d’I­ta­lia. Il cuoco An­to­nio La­ti­ni, nel XVII se­co­lo, cita gli “stru­fo­li” alla ro­ma­na, si­mi­li a quel­li na­po­le­ta­ni, Inol­tre “ci­cer­chia­ta” è il nome con cui si in­di­ca­no que­sti dol­cet­ti in Abruz­zo, Um­bria così come in Ba­si­li­ca­ta e Ca­la­bria. Nella zona del vi­ter­be­se il nome è usato per frit­tel­le che al­tro­ve sono in­di­ca­te come “ca­sta­gno­le” e con­su­ma­te du­ran­te il Car­ne­va­le. Ad evi­den­zia­re la ricca tra­di­zio­ne le­ga­ta alle gu­sto­se pal­li­ne di pasta frit­ta si tro­va­no la “pi­gno­la­ta” tra le vie di Mes­si­na, i “san­na­chiu­de­re” a Ta­ran­to, a Lecce i “pur­ced­duz­zi” ed i “gig­ge­ri” a Car­lo­for­te in Sar­de­gna.

Struffoli
Struf­fo­li (foto http://​www.​agricoltura.​regione.​campania.​it/)

Maura Gori è do­cen­te di let­te­re pres­so l’I­sti­tu­to Tec­ni­co Agra­rio di Fi­ren­ze.

 Si­to­gra­fia:

En­ci­clo­pe­dia Trec­ca­ni: www.​Treccani.​it
Le ori­gi­ni del pan­for­te: www.​lux​uryt​usca​nytr​avel.​com
Pan­pe­pa­to e pan­for­te di Siena tra sto­ria e leg­gen­da: www.​ilc​itta​dino​onli​ne.​it
Sto­rie e leg­gen­de su pan­for­te e pan­pe­pa­to: www.​tos​cana​mylo​ve.​it
Il pan­for­te di Siena: sto­rie e leg­gen­de: www.​dic​iboe​altr​esto​rie.​it
La sto­ria del pam­pe­pa­to fer­ra­re­se: www.​ilp​anet​tier​e.​com
La sto­ria del pam­pe­pa­to di Fer­ra­ra: www.​umb​erto​pass​ini.​it
Il pam­pa­pa­to (o pan­pe­pa­to) di Fer­ra­ra tra sto­ria e tra­di­zio­ne: www.​tra​vele​mili​arom​agna.​it
Per in­di­ca­zio­ni su: Sto­ria pan­for­te di Siena IGP, Sto­ria ca­val­luc­ci di Siena, Sto­ria dei mo­stac­cio­li, Sto­ria del tor­ro­ne, Sto­ria pan­dol­ce ge­no­ve­se si ri­man­da a www.​tac​cuin​igas​tron​omic​i.​it
Ca­val­luc­ci e Ric­cia­rel­li di Siena, non solo a Na­ta­le: www.​tut​toto​scan​a.​net
Alla sco­per­ta della sto­ria dei Ric­cia­rel­li: http://​blog.​sapori.​it
Mo­stac­cio­li: ori­gi­ni e sto­ria dei bi­scot­ti delle feste: www.​agrodolce.​it
Sa­po­ri leg­gen­da­ri del Na­ta­le: tra baffi e re, i Mu­stac­ciuo­li: www.​lab​usso​lane​ws.​it
L’in­cre­di­bi­le sto­ria del pa­net­to­ne mi­la­ne­se: www.​storiedi­men­ti­ca­te.it
Sto­rie e leg­gen­de del pa­net­to­ne: www.​repubblica.​it
Sto­ria del Pan­do­ro: www.​dissapore.​com
Pan­do­ro: un nome nato tra sto­ria e leg­gen­da: www.​innaturale.​it
Qual è la vera sto­ria del Pan­do­ro di Na­ta­le? Tra leg­gen­da e tra­di­zio­ni: www.​ultimora.​news
Il “pane de oro”: cu­rio­si­tà sulle ori­gi­ni de Pan­do­ro: http://​redacademy.​it
Il tor­ro­ne di Cre­mo­na, tra miti e cu­rio­si­tà: www.​innaturale.​com
Il pan­dol­ce ge­no­ve­se tra sto­ria e leg­gen­da: www.​ivg.​it
La tra­di­zio­ne del pan­dol­ce ge­no­ve­se: www.​dic​iboe​altr​esto​rie.​com
Sa­po­ri leg­gen­da­ri del Na­ta­le: la ro­ton­da sto­ria degli struf­fo­li: www.​lab​usso​lane​ws.​it
La leg­gen­da dello struf­fo­lo: www.​sot​toil​vesu​vio.​it
Gli struf­fo­li na­po­le­ta­ni:http://​sto​rien​apol​i.​it

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