Fig.1: Esempio di micro-chiudenda realizzata
Inquadramento storico e realtà amiatina
Negli ultimi trent’anni lo studio delle relazioni tra ungulati selvatici e formazioni forestali ha evidenziato la complessità del tema e le numerose interazioni che caratterizzano questo articolato rapporto. Argomento di notevole interesse, soprattutto laddove, per varie ragioni, si registrano incrementi della abbondanza di ungulati selvatici anche a seguito di scelte gestionali conservative. L’incremento degli ungulati selvatici, registrato in molte aree in Italia, ma anche in Europa, ha indotto nuove problematiche, conseguenti all’aumento degli impatti sulla vegetazione e all’interferenza con le attività antropiche. Gli impatti in ambito forestale negli ultimi anni sono cresciuti notevolmente. Il problema si è diffuso ulteriormente e con estrema rapidità, arrivando ad interessare l’intera superficie nazionale. Nonostante ciò, informazioni dettagliate e disponibili riguardanti impatto degli ungulati, ed in particolar modo dei cervidi, sulle fustaie di faggio in rinnovazione sono ancora insufficienti, è proprio in questo scenario che nasce il presente studio. In base a quanto evidenziato, in considerazione della gestione forestale intrapresa, volta alla rinnovazione naturale, la società Macchia Faggeta, in qualità di gestore e proprietario, di alcune centinaia di ettari di faggeta lungo le pendici del Monte Amiata, ha deciso di svolgere un primo monitoraggio volto a comprendere in anticipo eventuali criticità ed eventualmente attuare azioni di mitigazione. In considerazione dello stato di maturità di numerose particelle di faggio e l’avvicinarsi dei periodi di messa a rinnovazione, attraverso l’attuazione di idonei trattamenti selvicolturali, si evidenzia la necessità di comprendere in anticipo dinamismi e possibilità di evoluzione della rinnovazione naturale di tali formazioni forestali. Al fine di disporre di elementi utili per una più approfondita conoscenza degli ecosistemi e per una gestione integrata delle risorse forestali e faunistiche, la Società Macchia Faggeta, avvalendosi del supporto scientifico dell’Università degli Studi della Tuscia – DAFNE, si è proposta di effettuare una prima indagine conoscitiva sui possibili effetti della fauna selvatica sulla rinnovazione. La ricerca è stata condotta avvalendosi dell’uso di micro-chiudende posizionate in particelle soggette ad interventi selvicolturali volti a favorire la rinnovazione naturale. Contestualmente alla messa in opera delle micro-chiudende sono state analizzate le caratteristiche pedologiche salienti all’interno delle recinzioni e nelle aree controllo limitrofe, inoltre è stata valutata la presenza o meno di rinnovazione arborea e classificata sia in termini qualitativi, sia quantitativi. Di seguito vengono evidenziati i primi risultati riguardanti gli aspetti legati alla rinnovazione e formulate delle considerazioni riguardo il carico di ungulati nelle aree di interesse.
Monte Amiata e Società Macchia Faggeta
Il Monte Amiata è un edificio vulcanico che si colloca tra le province di Grosseto e Siena, presenta un’altitudine di 1738 metri s.l.m. e spicca quindi incontrastato dominando le colline della Val d’Orcia, della Maremma e le pianure tufacee laziali.
È proprio in quest’area che opera la società “Macchia Faggeta”. Si tratta di un’antica associazione fondata nel 1788, da 58 soci Capostipiti delle famiglie del comune di Abbadia San Salvatore (SI), arrivando ad oggi a contare quasi 4.000 soci. La Società è nata per la gestione e il mantenimento della faggeta che si trova nella parte sommitale del Monte Amiata, della “Macchia a Faggeta” per una superficie di circa 570 ettari. Nel corso dei secoli, la Società non ha soltanto avuto la facoltà di utilizzare i beni del bosco ma si è assunta il compito di preservarlo e custodirlo
L’importanza, non solo economica ma anche ambientale e sociale, che riveste la foresta per gli abitanti di Abbadia San Salvatore ha portato la Società Macchia Faggeta a richiedere e ad ottenere, nel 2008, la certificazione internazionale di sostenibilità forestale rilasciata dal Programme for Endorsement of Forest Certification Schemes (PEFC). Con la certificazione, la società Macchia Faggeta è diventata una delle prime proprietà collettive dell’Appennino ad aver ottenuto questo importante risultato, dimostrando di essere una Società all’avanguardia che gestisce la risorsa forestale in maniera legale e sostenibile e dimostrando una grande sensibilità verso le tematiche ambientali. La lungimirante gestione ha portato nel tempo la Società Macchia Faggeta a stringere rapporti di collaborazione scientifica con diversi Enti di Ricerca, tra cui il gruppo di Utilizzazioni forestali e Tecnologia del legno del Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali (DAFNE) dell’Università degli Studi della Tuscia con lo scopo di sperimentare sul proprio territorio nuovi modelli di gestione forestale, o come in questo caso analizzare gli impatti della fauna selvatica sulla rinnovazione, per far si che la sopravvivenza di quest’ultima non sia compromessa.
Per le nostre ricerche sono state individuate due aree principali. Queste sono state localizzate grazie a studi preliminari supportati anche dall’esperienza degli operatori della Società Macchia Faggeta. In ognuna di queste sono state realizzate due micro-chiudende.
Nello specifico:
- la prima è situata in Località “Sasso di Renzola” ed interessa le particelle forestali 47 e 48 del Piano di Gestione e Assestamento Forestale della Società Macchia Faggeta. In questa zona sono stati effettuati negli ultimi anni interventi selvicolturali volti ad innescare la rinnovazione naturale di faggio. Qui sono state posizionate 2 chiudende una nella particella 47 e una nella particella 48;
- la seconda zona è situata in Località “Pian de’ Renai” ed interessa la particella forestale 3 del Piano di Gestione e Assestamento Forestale della Società Macchia Faggeta. Qui, a seguito degli interventi selvicolturali avvenuti nelle ultime stagioni silvane, si è innescata una considerevole rinnovazione naturale di faggio.
Le chiudende posizionate all’interno della medesima area sono state differenziate in funzione della loro esposizione rispetto al nord. Lo scopo principale è stato appunto di comprendere e valutare se il carico di ungulati possa in qualche modo effettivamente influire sul futuro sviluppo della rinnovazione. In particolare, si valuterà l’evolvere della rinnovazione dentro e fuori dalle micro-chiudende e, in caso si riscontrassero difformità nello sviluppo dei semenzali, sarà possibili valutare l’effettivo impatto della fauna selvatica sulla rinnovazione insediata.
Fig.2: ortofoto rappresentante l’intera area di studio
Materiali e metodi
Per analizzare l’impatto degli ungulati ci si è avvalsi di micro-chiudende quadrate con lato di 4 metri con una superficie di 16 m2. Son state realizzate utilizzando dei pali di castagno di 2 m e della rete metallica con quadrettatura rettangolare di 4 cm X 8 cm, è stata scelta questa tipologia di recinzione perché non permette alla fauna in questione di entrare in queste aree. Il metodo d’indagine utilizzato è basato sull’analisi della rinnovazione presente dentro la chiudenda escludendo l’effetto margine considerato come un transetto della larghezza di 20 cm, per una superficie netta a chiudenda di 13 m2. Parallelamente una identica superficie è stata valutata esternamente alla chiudenda entro 4 m di distanza da quest’ultima. In queste indagini sono stati conteggiati tutti gli esemplari di latifoglie presenti nel suddetto quadrato classificandoli in funzione dello stadio di sviluppo. Su tutte le chiudende realizzate è stata affissa inoltre una segnaletica che esplica a tutti i visitatori la funzionalità di tali strutture.
Fig. 3: esempio di cartellonistica posto sulle chiudende
Impatti sulla rinnovazione
Le analisi effettuate per valutare l’effetto del carico di ungulati selvatici sulla rinnovazione hanno riguardato, come detto in precedenza, la valutazione della presenza/assenza di rinnovazione e una classificazione qualitativa e quantitativa di questa. Si è ricorsi ad un metodo d’indagine basato sull’analisi di fotogrammi. Sono state infatti rilevate, all’interno e all’esterno di ogni chiudenda, 8 foto del soprassuolo con fotocamera ad elevata risoluzione. Il posizionamento dei fotogrammi è stato scelto con criterio random. Successivamente i fotogrammi acquisiti sono stati valutati in base alla definizione dell’immagine e sono stati selezionati i 4 migliori per ogni chiudenda (4 dentro e 4 fuori). In seguito, i fotogrammi sono stati riportati in ambiente CAD e scalati mediante l’apposita funzione “Scala in base a lunghezza di riferimento”. A questi è stato poi sovrapposto un quadrato di lato 80 cm (superficie di 0,64 m2) e sono stati conteggiati tutti gli esemplari di latifoglie presenti nel suddetto quadrato classificandoli in funzione dello stadio di sviluppo (il criterio di classificazione è riportato nella seguente tabella 1).
Tabella 1: classificazione della rinnovazione
Analizzando i dati ricavati si è arrivati ai primi risultati. Per quanto riguarda le 2 chiudende situate in Sasso di Renzola, si registra un trend simile tra le due, infatti in entrambi i casi si hanno differenze a livello numerico tra l’interno, con una quantità maggiore e l’esterno, mentre parlando dello stadio di sviluppo non si riscontrano particolari differenze, in quanto tutte le piante rilevate sono classificabili come semenzale (tabella 2 e in fig.3). Da questi risultati si evince che la zona sembra essere influenzata da un significativo impatto di ungulati.
Tabella 2: risultati quantitativi e qualitativi della rinnovazione nelle chiudende 1 e 2, D/F: dentro/fuori
Fig. 3: grafico riassuntivo dei dati rilevati nelle chiudende 1 e 2
Per quanto riguarda invece le chiudende site in località Pian de Renai la situazione risulta invece leggermente più complessa. Nella chiudenda 3 non si hanno infatti differenze sostanziali fra l’interno e l’esterno, eccezion fatta per la presenza interna, non rilevata al di fuori della chiudenda, di un piccolo numero di semenzali. Il numero di questi è però molto esiguo e probabilmente dovuto alla semplice stocasticità. Al contrario nella chiudenda 4 si ha un’inversione di tendenza, soprattutto in confronto con quanto rilevato in Località Sasso di Renzola, e la rinnovazione al di fuori della recinzione risulta essere superiore in termini numerici a quella interna (come riportato in tabella 3 e fig. 4). In questa zona non sembrerebbe quindi esserci un significativo carico da ungulati, che potrebbe portare a squilibri nella rinnovazione, anche qui sarà comunque necessario un monitoraggio costante per accertare che questa situazione non cambi nel tempo.
Tabella 3: risultati quantitativi e qualitativi della rinnovazione nelle chiudende 3 e 4
Figura 4: grafico riassuntivo dei dati rilevati nelle chiudende 3 e 4
Conclusioni
Dai primi risultati si evidenzia come la fauna selvatica, in particolare ungulati, effettuano un prelievo sulla rinnovazione forestale la cui entità deve essere valutata in termini quali-quantitativi per stabilire se possa rappresentare una minaccia per la rinnovazione naturale delle fustaie di faggio, tuttavia tale impatto non sembra generalizzabile all’intera superficie. Analizzando nel dettaglio le due particelle:
- in località Sasso di Renzola si ha la presenza principalmente di semenzali e secondariamente di plantule. La differenza riscontrata per entrambe le chiudende evidenzia un’importante diminuzione della densità di rinnovazione ascrivibile alla fauna selvatica,
- in località Pian de’ Renai si riscontra la presenza principalmente di rinnovazione affermata e secondariamente di plantule. In questo caso la differenza riscontrata per entrambe le chiudende evidenzia solo marginalmente una diminuzione della densità di rinnovazione causata dalla fauna selvatica.
Per il futuro sarà interessante notare per tutte le situazioni presenti ma, soprattutto per Pian de Renai, eventuali cambiamenti in termini di sviluppo in altezza e incremento diametrico tra la rinnovazione esterna ed interna alle chiudende.
Autori: Rodolfo Picchio, Francesco Latterini, Rachele Venanzi, Damiano Tocci, Andrea Amici
Dipartimento DAFNE – Università degli Studi della Tuscia di Viterbo – E.mail: r.picchio@unitus.it