di Sara Sardellitti e Annabella Vitalone
La menopausa rappresenta un evento molto significativo nella vita di una donna, nel corso del quale la funzionalità dell’apparato riproduttivo viene persa, con conseguente infertilità. Questa fase si verifica generalmente intorno ai 50 anni ed è caratterizzata da una graduale variazione dell’assetto ormonale, che porta a cambiamenti sia fisici che psicologici, che vengono affrontati da ogni donna in modo diverso. Tra i sintomi principali associati alla menopausa vi sono: vampate di calore, secchezza vaginale, insonnia, depressione ed altri cambiamenti dell’umore. Nel lungo termine, invece, la menopausa può essere responsabile della comparsa di osteoporosi, malattie metaboliche e cardiovascolari.
Premesso che la menopausa di per sé non è una patologia, i sintomi ad essa correlati possono essere male sopportati dalle donne che ne sono affette, influenzando negativamente la qualità delle loro vite. Attualmente, esistono diversi approcci per cercare di alleviare i disturbi climaterici. In primis, dal momento che i fattori comportamentali e lo stile di vita possono anticipare l’arrivo della menopausa, sia l’allontanamento da cattive abitudini (fumo, alcol), sia la scelta di seguire un’alimentazione sana ed equilibrata, abbinata ad una giusta attività fisica, rappresentano valide strategie di prevenzione per rafforzare e migliorare lo stato di salute generale. Da un punto di vista farmacologico, invece, la terapia ormonale sostituiva (TOS) rappresenta la terapia ad oggi più efficace, specialmente per i sintomi vasomotori ed urogenitali percepiti dalle pazienti. Tuttavia, la pubblicazione di studi intorno agli anni 2000 che hanno correlato la TOS ad un aumento del rischio di carcinoma mammario, malattie coronariche, tromboembolia venosa ed ictus, ha ridotto notevolmente la scelta della TOS per i sintomi correlati alla menopausa. Per questo molte donne si sono indirizzate verso l’utilizzo di prodotti di origine vegetale.
Tra le piante medicinali maggiormente utilizzate vi è la cimicifuga (Cimicifuga racemosa L. Nutt.), una pianta erbacea perenne la cui droga (che in farmacognosia si riferisce alla parte biologicamente utile di una pianta), rappresentata dai rizomi e dalle radici, è utile nel migliorare la frequenza delle vampate di calore e il tono dell’umore (Figura 1). Non a caso tale pianta è anche conosciuta come “erba delle donne”, in quanto era originariamente utilizzata dagli Indiani del Nord America per curare molteplici disturbi femminili, tra cui appunto quelli relativi alla menopausa.
Figura 1. Pianta di Cimicifuga racemosa L. Nutt. [www.flickr.com, 2009]
Il meccanismo d’azione della cimicifuga sembrerebbe prevedere il coinvolgimento di diverse sostanze, in grado di esercitare degli effetti sul sistema serotoninergico, dopaminergico e gabaergico. Relativamente alla sicurezza d’impiego, rispetto ad altre droghe vegetali, non sembra controindicata nelle donne precedentemente affette da carcinoma mammario estrogeno-dipendente, tuttavia sarebbe bene utilizzarla solamente se necessario e sotto controllo medico, poiché l’ipotesi di un’azione estrogenica non può essere del tutto esclusa. Inoltre, a causa di un potenziale rischio di epatotossicità, l’eventuale assunzione di prodotti a base di cimicifuga in soggetti con problematiche al fegato deve essere attentamente valutata. In questo contesto va infatti ricordato che, in Italia, la cimicifuga può essere utilizzata quale ingrediente di integratori alimentari per contrastare i disturbi della menopausa, ma suddetti prodotti devono riportare obbligatoriamente in etichetta, quale avvertenza supplementare, la frase “per l’uso e la durata dell’assunzione si consiglia di consultare il medico. Non utilizzare comunque in caso di disfunzioni o malattie epatiche” (si veda Allegato 1 del decreto dirigenziale 26 luglio 2019, presente sul sito del Ministero della Salute).
Un’altra pianta molto apprezzata nella fitoterapia della menopausa è la soia (Glycine max L. Merr.); pianta erbacea annuale da secoli presente nell’alimentazione delle popolazioni asiatiche e che più di recente è entrata a far parte anche della dieta occidentale. In particolare, l’attenzione nei confronti della soia in Occidente è iniziata quando alcuni dati epidemiologici hanno evidenziato che le donne asiatiche, consumando più alimenti ricchi in isoflavoni (soia, tofu) rispetto a quelle occidentali, presentavano una minore incidenza dei sintomi vasomotori associati alla menopausa. Gli isoflavoni (genisteina, daidzeina), contenuti nei semi, rientrano nella categoria dei fitoestrogeni e sono considerati quali estrogeni naturali. Diversi studi hanno confermato l’esistenza di possibili benefici correlabili.
Figura 2. Principali effetti degli isoflavoni della soia su segni e sintomi della menopausa [Immagine modificata da Xiao et al., 2017].
Gli isoflavoni sono in grado di esercitare un’azione estrogenica in virtù del fatto che la loro struttura chimica, molto simile a quella del 17-β estradiolo, permette loro di legarsi ai recettori degli estrogeni, svolgendo un effetto estrogenico in un ambiente caratterizzato da un basso contenuto di estrogeni oppure un effetto anti-estrogenico in presenza di alte concentrazioni endogene di estrogeni. In merito al suo impiego clinico, G. max si è dimostrata in grado di ridurre la frequenza e l’intensità delle vampate di calore, nonché di prevenire la perdita ossea nelle donne in menopausa. Gli isoflavoni, però, a causa della loro azione estrogenica e della possibilità di agire come interferenti endocrini, potrebbero essere causa di un aumento del rischio di carcinoma mammario, iperplasia endometriale, nonché di disfunzioni della tiroide. Dunque, l’utilizzo della soia in tali situazioni non è raccomandato.
Ulteriori piante medicinali ad azione estrogenica che condividono con la soia un profilo fitochimico simile, ma distinto, nonché le stesse precauzioni d’impiego, sono il luppolo (Humulus lupulus L.) ed il trifoglio rosso (Trifolium pratense L.), le quali si sono rivelate utili soprattutto per ridurre la frequenza delle vampate di calore.
Un altro rimedio tradizionalmente utilizzato per migliorare l’ansia e la sintomatologia vasomotoria è l’agnocasto (Vitex agnus-castus L.), un arbusto la cui droga è data dai frutti. L’efficacia clinica di questa pianta sembra correlabile al suo meccanismo d’azione probabilmente di tipo dopaminergico (anche se non può essere esclusa un’attività estrogenica). Il suo utilizzo può determinare lievi disturbi gastrointestinali e reazioni allergiche in soggetti predisposti; tali effetti possono essere comuni anche alle altre piante medicinali già menzionate. Inoltre, data l’azione ormonale dell’agnocasto, l’eventuale impiego in donne con carcinoma sensibile all’azione degli ormoni o con disturbi ipofisari dovrà essere attentamente valutato da un medico, al fine di tutelare al meglio la sicurezza delle pazienti. In questo caso specifico infatti il rapporto rischio/beneficio non sembra giocare a favore di un uso dell’agnocasto in menopausa.
Considerando le diverse sfumature che la sintomatologia climaterica può avere, vi sono altre piante medicinali che possono essere impiegate come coadiuvanti. In particolare, la valeriana (Valeriana officinalis L.) può essere utilizzata come rimedio per l’insonnia; l’iperico (Hypericum perforatum L.) per la depressione lieve, la passiflora (Passiflora incarnata L.), la melissa (Melissa officinalis L.) per l’ansia e l’irritabilità; il ginkgo (Ginkgo biloba L.) per i disturbi dell’attenzione e della memoria. Più recentemente, sono state studiate anche altre piante medicinali per il trattamento delle vampate di calore in menopausa tra cui l’olio di enotera (Oenothera biennis L.), i semi di lino (Linum usitatissimum L.), la liquirizia (Glycyrrhiza glabra L.), la salvia (Salvia officinalis L.), l’anice (Pimpinella anisum L.), il fieno greco (Trigonella foenum-graecum L.), il finocchio (Foeniculum vulgare Mill.) e la maca (Lepidium meyenii Walp.), ecc.
In particolare, l’olio di enotera che rappresenta un’ottima fonte di acidi grassi essenziali omega-6, è in grado di aumentare i livelli di prostaglandina E2, svolgendo in tal modo attività antinfiammatoria e migliorando la componente vasomotoria della menopausa (vampate di calore, in particolare). I semi lino, contenenti soprattutto acido alfa-linolenico, lignani e fibre, sembrano esercitare un’azione estrogenica (probabilmente ascrivibile alla formazione di metaboliti) utile ad esplicare effetti benefici sulla sintomatologia delle donne in post-menopausa (specialmente sulla frequenza e sulla gravità delle vampate di calore). La liquirizia, contenente terpeni, saponine, flavonoidi, isoflavonoidi e steroidi, è in grado di esercitare un’attività estrogenica nei confronti del recettore β degli estrogeni che la rende potenzialmente utile per dare sollievo dalle vampate di calore. Tuttavia, questo effetto si esplica quando è impiegata come integratore alimentare (e non come alimento in quanto tale) e in tale forma può essere responsabile di interazioni farmacologiche ed effetti collaterali (ritenzione di sodio, ipopotassiemia, edema, ipertensione) tali da non giustificarne l’uso in menopausa. La salvia si è rivelata utile nel ridurre le vampate di calore e la sudorazione, ma la relativa tipologia estrattiva ed il meccanismo d’azione sono ancora oggetto di valutazione. Gli effetti indesiderati (vertigini, tachicardia) si presentano ad alte dosi. L’anice, caratterizzata dalla presenza di anetolo, possiede un’attività simil-estrogenica, ma anche analgesica, antiossidante, antispastica, ecc. In menopausa, sembra in grado di ridurre le vampate di calore. Stesso effetto è stato riscontrato per il fieno greco (pianta che contiene mucillagini, proteine e saponine) ed il finocchio (pianta ad attività pro-estrogenica). Infine anche la maca (ricca in β-sitosterolo, campesterolo, acidi grassi liberi, ecc.) è stata tradizionalmente utilizzata per secoli dalle culture andine del Sud America per l’equilibrio ormonale femminile, contrastando la sintomatologia climaterica. Sebbene la sua attività sembri promettente, i dati di sicurezza clinica nelle donne in menopausa sono ancora limitati.
Sulla base degli studi ad oggi presenti nella letteratura scientifica, le conclusioni che si possono trarre sono che la cimicifuga e la soia rappresentano le due piante cardine nel trattamento dei disturbi climaterici, in quanto le evidenze cliniche si sono rivelate nel complesso buone. Per il luppolo, il trifoglio rosso e l’agnocasto, invece, le prove d’efficacia clinica sono ancora ridotte. Tuttavia, bisognare considerare che negli studi effettuati sono stati utilizzati spesso estratti vegetali molto diversi tra loro e/o privi del marker di riferimento o delle informazioni sulla provenienza della pianta, portando talvolta ad esiti contrastanti. Ciò può essere dovuto al fatto che spesso non viene posta la giusta attenzione nei confronti della variabilità insita nel materiale vegetale, che va ad influenzare poi l’estratto che se ne ricava e che non rende possibile l’ottenimento di risultati riproducibili tra loro. Inoltre, per la sospetta epatotossicità della cimicifuga e per i potenziali effetti proliferativi cellulari degli isoflavoni sul tessuto mammario ed endometriale, sono richieste ulteriori indagini sulla sicurezza di impiego. Infine, le piante medicinali oggetto di studi più recenti (olio di enotera, semi di lino, liquirizia, salvia, anice, ecc.) sul trattamento della sintomatologia climaterica, presentano un impiego potenzialmente promettente, ma nonostante i dati siano incoraggianti, anche in questo caso, non sono conclusivi.
Sunto ed aggiornamento dell’elaborato di tesi in Farmacognosia del Corso di Laurea triennale in Scienze Farmaceutiche Applicate (Facoltà di Farmacia e Medicina), Sapienza Università di Roma.
Relatore: Prof. ssa Annabella Vitalone – Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia “Vittorio Erspamer”, Sapienza Università di Roma.
Studente: Dott.ssa Sara Sardellitti, laureata in Scienze Farmaceutiche Applicate, presso Sapienza Università di Roma. E-mail: sardellitti.1767197@studenti.uniroma1.it