La filtrazione delle acque da irrigazione
di Andrea Palazzo
La qualità delle acque ad uso irriguo è un aspetto tecnico assolutamente da non sottovalutare in agricoltura e l’utilizzo sempre più diffuso dei sistemi di irrigazione a goccia la rende praticamente imprescindibile. Il sistema di filtraggio delle acque dipende fortemente dalla sua fonte di approvvigionamento in quanto il materiale (inorganico ed organico) presente andrebbe trattato in maniera diversa. Nel caso di approvvigionamento idrico da acque a cielo aperto (laghi, fiumi, canali ad esempio) il problema maggiore è dovuto alla presenza di materiale organico come alghe, uova di pesci e altri depositi che vanno “bloccati” ancor prima di entrare nell’impianto utilizzando apparecchiature particolari come i filtri a graniglia e/o i filtri autopulenti. Il trattamento chimico di queste acque con l’utilizzo di cloro, acidi e fungicidi non sempre portano a risultati incoraggianti. Per quanto riguarda la clorazione questa può essere in modo continuo, con concentrazioni di cloro attivo di 1-2 mg/L, sia contro lo sviluppo di alghe e batteri che come trattamento per rimuovere il ferro e il manganese (grazie al potere ossidante del cloro) o discontinuo, con concentrazioni di 10-20 mg/L per le periodiche disinfezioni (si può arrivare anche 500 mg/L per trattamenti più drastici) (Fonte Paolo Marzialetti, Stefano Landi, Alberto Pardossi – http://www.clamerinforma.it/ARSIA/Schede_acqua/Arsia_Capitolo_X). A tal fine si utilizzano solitamente l’ipoclorito di calcio o di sodio (soluzione acquosa con concentrazione variabile di cloro attivo dall’1% fino al 15%; la normale candeggina ne contiene il 5%), oppure cloramine (costose, lente ad agire e anche più fitotossiche). Proprio il problema della fitotossicità ha limitato l’uso del cloro come trattamento chimico alle acque di irrigazione a meno che al fine di ridurre la quantità di cloro da iniettare negli impianti, la clorazione sia successiva ad un trattamento fisico, installando ad esempio dei filtri a sabbia. L’acidificazione tra i trattamenti chimici è quella che trova maggior applicazione. Le acque da irrigazione spesso contengono carbonati di calcio e il trattamento con acidi (tra cui l’acido nitrico) può essere efficace ma solo se ne viene calibrata la concentrazione (in relazione anche alla eventuale somministrazione di concimi acidi) e se non vengono effettuati trattamenti su tubazioni in acciaio o in alluminio per rischio di corrosione.
In generale si può dire che solo alcuni trattamenti chimici alle acque da irrigazioni possono risultare efficaci ma solo se accoppiati all’uso di filtri adeguati.
E’ proprio sull’uso dei filtri che si concentrano gli studi sui trattamenti delle acque da irrigazione. Questi vanno scelti, come si diceva, in funzione della fonte di approvvigionamento idrico. Nel caso si tratti di acque da pozzo il problema maggiore riguarda indubbiamente la sabbia e molte volte anche il limo presente. In questi casi il consiglio tecnico consiste nell’uso di un filtro a idrociclone (desabbiatore) seguito da un filtro a rete o a dischi.
Il filtro a idrociclone è realizzato in acciaio e presenta una forma cilindrica; in esso l’acqua è costretta ad entrare lateralmente al cilindro (freccia verde nella figura sottostante), subisce una forza centrifuga che fa precipitare le parti solide verso il basso facendo risalire al centro l’acqua pulita (freccia blu). Il consiglio è quello di utilizzare, a valle del filtro a idrociclone, un filtro a rete o a dischi. Questi possono essere in plastica o in acciaio e possono resistere a pressioni anche molto elevate.
I filtri a rete e a dischi presentano una cartuccia in nylon o in acciaio inox o con dischi in polipropilene. Il flusso dell’acqua attraversa una sezione obbligata del corpo del filtro; è sempre opportuno installare dei manometri alla glicerina sia a monte che a valle del filtro per verificare lo stato di pulizia ed eventualmente smontare il corpo per pulire la cartuccia. Nella versione autopulente l’operazione viene effettuata automaticamente una volta raggiunto un certo livello di impurità.
Nella scelta del filtro è molto importante stabilire la dimensione della maglia filtrante, solitamente espressa in mesh. Si ricorda che il mesh corrisponde al numero di maglie per pollice lineare ed è utilizzata per riconoscere materiali filtranti particelle granulari. La tabella sottostante mette a confronto la misura anglosassone del mesh con i più conosciuti micron e millimetri. In funzione del materiale presente (esempio sabbia, dal diametro variabile da 2 a 0.02 mm) è consigliabile aumentare la capacità filtrante partendo dalla fonte fino ad arrivare ai settori irrigui. Nei sistemi a goccia infatti, a prescindere dalla fonte, un sistema di filtraggio centrale molte volte non è sufficiente a garantire un buon funzionamento dell’impianto per cui nella progettazione e nella scelta dei materiali sarebbe opportuno prevedere filtri (ad esempio a dischi) nei singoli settori di distribuzione.
Tabella di comparazione tra unità di misura mesh-micron-pollici-millimetri. Fonte Pharmaguideline
Nel caso in cui la fonte di approvvigionamento idrico sia a cielo aperto (lago, fiume, canale, diga) il problema maggiore riguarda le alghe, la melma e altri materiali organici; in questo caso il trattamento fisico deve prevedere l’uso di un filtro a sabbia (a graniglia) posto a monte dell’impianto, sempre seguito immediatamente da un filtro a dischi o a rete (manuale o automatico). I filtri a graniglia presentano un corpo in acciaio entro il quale andranno inseriti diversi strati di sabbia a granulometria crescente dall’alto verso il basso; si possono avere filtri a doppia camera o più facilmente filtri in batteria (a 2-4-6 o 8 a seconda della portata dell’impianto).
Stazione di Filtraggio a graniglia (Fonte JP Filtri)
La loro azione consiste nel normale passaggio da una camera all’altra o meglio ancora da un filtro all’altro attraversando i diversi strati di sabbia. È importante prevedere la possibilità di effettuare dei controlavaggi invertendo il verso del flusso di acqua al fine di pulire i filtri stessi; l’operazione può essere effettuata sia manualmente che automaticamente mediante l’uso di un pressostato differenziale che, una volta tarato, fa partire il controlavaggio.
L’efficacia di un trattamento del genere è notevole soprattutto se tutti i settori dell’impianto irriguo siano, anche in questo caso, dotati di filtri a rete o a dischi in plastica.
In conclusione, il sistema di irrigazione a goccia, ad oggi il sistema più utilizzato in agricoltura, richiede una attenta analisi per valutare il sistema di trattamento chimico e soprattutto fisico da effettuare.
Andrea Palazzo, laureato in Scienze Agrarie nel 1998 presso la Facoltà di Agraria di Palermo, è docente di Economia ed Estimo e Genio rurale presso l’Istituto Agrario “Parolini” di Bassano del Grappa (Vicenza) con esperienza nel campo delle valutazioni immobiliari e nella progettazione e consulenza di impianti di irrigazione. E-mail: a.palazzo@istitutoagrarioparolini.edu.it