Quando la qualità incontra la tracciabilità
di Donato Ferrucci
La tracciabilità è un argomento di interesse strategico per il settore agroalimentare, chiamata spesso a rappresentare esigenze tecniche di diversa natura. E’ però necessario inquadrare la tematica in termini legislativi e funzionali. La tracciabilità rimane uno strumento gestionale finalizzato ad uno scopo (“Obiettivo”) che l’azienda è chiamata a definire con precisione. In linea generale il prodotto alimentare, in termini legislativi, risponde a tre principi (Reg. (CE) 178/2002, General Food Law – GFL):
- Sicurezza (Art. 14 GFL);
- Conformità alle disposizioni normative (Art. 18 GFL);
- Lealtà comunicativa (Art. 16 GFL).
A questi si addizionano i possibili requisiti di qualità che intervengono sul prodotto e ne vanno a delineare caratteristiche di specificità rispetto a quelli simili.
La tracciabilità è quindi uno strumento poliedrico, di natura tecnica, che consente di gestire informazioni legate al prodotto. Nasce con una funzionalità correlata alla sicurezza alimentare. Nel caso di allerta è la tracciabilità che, mediante i suoi sistemi organizzativi, garantisce la capacità dell’operatore a richiamare/ritirare gli alimenti interessati dal difetto.
Una volta però assodata questa capacità e raggiunta quindi la fase di maturità dello strumento rispetto alla funzione primaria, si è imposta l’esigenza di confrontarsi con obiettivi più sofisticati in termini di contenuti e potenzialità. Si passa quindi da una funzione di supporto alla sicurezza a quella di trasferimento affidabile di requisiti. La tracciabilità diventa infatti strumento di trasferimento delle informazioni relative agli aspetti legati alla qualità.
Il modello della tracciabilità è basato sul concetto che, nel processo produttivo, si hanno in ingresso materie e informazioni e, si prevede che escano, prodotti ma anche informazioni, che dovranno essere coerenti e correlate con quelle in ingresso. La tracciabilità diventa così un modello di supporto ad un processo, e non più ad una emergenza, con il compito di preservare informazioni correlate a valori, in termini di origine, sostanza, etica o altro ancora.
In questa ipotetica “scatola” della rintracciabilità vengono processate materie e informazioni. Sarà compito del sistema garantire che ad ogni evoluzione di materia sia preservata la serie di informazioni ritenute rilevanti ai fini dell’obiettivo.
L’affidabilità del sistema è determinata mediante prove di stabilità (verifiche) che possono essere effettuate sulle informazioni (test di tracciabilità) e sulle materie (bilanci di massa).
Per arrivare a interpretare la nuova funzione occorre esaminare la tracciabilità da una nuova prospettiva, elevandola a modello di sistema e non come semplice strumento di richiamo.
La tracciabilità, in linea generale, è finalizzata, per scopo e funzione, a gestire il flusso delle informazioni legate ad un determinato oggetto. Parliamo quindi di flussi di informazioni che “navigano” lungo la filiera alimentare, trasportate da supporti, gestite mediante schemi organizzativi e finalizzate a precisi obiettivi di molteplice natura.
Il concetto di base è che la tracciabilità è legata alla gestione dell’informazione, intesa come memoria di accadimenti e requisiti. Sistema di organizzazione delle informazioni che si prevede saranno oggetto di comunicazione al consumatore, ed in virtù del principio di lealtà informativa dettato dall’art. 16 del Reg. (CE) 178/2002, non potranno che essere veritiere.
Esempio emblematico di questa declinazione della tracciabilità è rappresentato dalla correlazione tra prodotto alimentare ed uno specifico aspetto di natura produttiva o territoriale, quale origine o metodo di produzione.
La tracciabilità si evolve quindi nella funzione e, di conseguenza, nella struttura. Essendo chiamata a garantire non solo situazioni di allerta ma anche evidenza di corretta, anzi, coerente indicazione tra il requisito e quanto è comunicato; e che trova conforto in un sistema informativo in grado di dimostrare con ragionevole attendibilità il legame tra informazione e materiali.
E’ quindi possibile definire il modello organizzativo come caratterizzato dai seguenti elementi:
- Obiettivo (“perché”);
- Oggetto (“che cosa”);
- Campo di applicazione (“fino a dove”);
- Metodi, regole, strumenti (“come”).
L’obiettivo oggi è sempre più spesso orientato al concetto di “conoscere”, inteso come sapere chi, cosa, perché (informazione di valorizzazione), e la conseguente coerenza/veridicità delle informazioni fornite, piuttosto che “dove” (informazione di locazione funzionale alla sicurezza), elemento dato per scontato e non più oggetto di discussione o vanto per l’operatore.
Su tali basi, si impone la necessità di tracciare non solo le materie oggetto di sistema ma, anche, tutte quelle informazioni relative ai vari momenti produttivi ritenuti significativi per il conseguimento degli obiettivi prefissati, superando l’approccio per “materiali” in evoluzione lungo la catena di produttiva, a vantaggio di quello per “interazioni”, che coinvolge persone, scelte, azioni, luoghi, fino al risultato finale.
L’oggetto è dato dal materiale su cui si intende progettare e implementare il sistema. Questo, una volta acquisito e processato, con conseguente cambiamento di stato (fisico, dimensionale, di forma, di composizione, ecc.), esce dal sistema azienda per incontrarne uno nuovo, fino a diventare il bene destinato al consumatore. Il posizionamento spaziale e temporale dell’oggetto può ricadere in un punto qualsiasi del processo produttivo a seconda del livello di filiera in cui ci si pone.
Il campo di applicazione esprime gli oggetti coinvolti e quali elementi il sistema deve includere. Naturalmente anche il campo di applicazione diventa elemento di coerenza. Non sarebbe corretto infatti attribuire un sistema di tracciabilità ad un intero prodotto quando solo alcuni suoi elementi fossero presi in considerazione (è il caso della tracciabilità solo di alcuni componenti di un alimento composto).
Il campo di applicazione o dominio, identifica l’estensione del sistema e, nel contempo, ne fissa i limiti, definiti come ampiezza e profondità.
L’ampiezza determina l’estensione orizzontale, materia/e prima/e e ingredienti che entrano nel prodotto ed i relativi fornitori coinvolti. La profondità, estensione verticale, considera il numero di soggetti coinvolti e le fasi interessate lungo la filiera, fissando il punto di partenza e quello di arrivo.
E’ opportuno sottolineare che il sistema si estende fino a dove l’azienda ne ha il controllo e la responsabilità. Oltre tali limiti può esserci solo la conoscenza delle realtà operative senza alcuna possibilità di intervento e/o garanzia, se non nella fase di accettazione in ingresso mediante controlli di rispondenza delle forniture a quanto concordato. Esiste quindi un limite di natura prettamente giuridica, l’azienda, superabile solo mediante accordi volontari con gli altri attori coinvolti nelle fasi extra-aziendali del processo evolutivo del prodotto. Il passaggio della rintracciabilità dall’ambito intra-aziendale a quello extra-aziendale segna il salto dalla rintracciabilità interna a quella di filiera.
I metodi sono rappresentati dalle norme di riferimento relative alla tracciabilità, passando da quelle cogenti (Art. 18 Reg. (CE) 178/2002), poi tecniche (ISO 22005), fino a disciplinari e standard a carattere privatistico ma funzionali allo scopo.
Le regole sono invece quelle specifiche prassi adottate dall’azienda e formalizzate in procedure operative che dettano le modalità con cui, nello specifico, l’azienda opera nel contesto della tracciabilità.
Infine, gli strumenti, altro non sono che elementi di registrazione e misura, comprese le attività di audit, finalizzati a definire la capacità del sistema a raggiungere e garantire la stabilità degli obiettivi.
La metodologia di un sistema di rintracciabilità, fase strategica, è quindi basata sul concetto di ereditarietà. Ogni prodotto, in ogni passaggio di stato, eredita dallo stato precedente le informazioni ritenute significative (produttore, fornitore, parametri tecnici e merceologici, interventi effettuati e controlli). L’applicazione, fase tattica, avviene mediante attuazione di controlli a garanzia del rispetto dei requisiti e basati su misurazioni, prove analitiche e registrazioni degli eventi, inclusi i cambiamenti fisici del prodotto (lavorazioni) e le cause (disidratazione, fermentazione, sezionamento, aggiunta di nuovi ingredienti, ecc.). Fondamentale è che la fase applicativa sia preceduta da una adeguata analisi dei rischi allo scopo di individuare in via preventiva i punti critici del sistema, ovvero caratterizzati dalla maggiore probabilità di perdita dei requisiti (es. difficoltà a mantenere distinta l’origine per partite diverse, contaminazione da prodotti che non rispettano i parametri organolettici fissati, ecc.)
Da quanto appena esposto è evidente come il sistema al fine di evitare fallimenti, fermo restando l’obiettivo primario, debba essere misurato e proporzionato alla realtà aziendale; mediante una attenta pianificazione mirata alla corretta identificazione del dominio, obiettivi accessori e strumenti coerenti con le risorse disponibili. L’obiettivo ultimo, infatti, non persegue l’assenza di problemi ma la garanzia di gestione in caso di insorgenza. E’ quindi opportuno ragionare in termini di governo e non di dominio dei processi.
Un esempio di questo approccio è senza dubbio rappresentato dalla necessità, in alcuni casi, di riportare in etichetta l’origine dei prodotti o delle materie prime. In questo senso, l’ortofrutta è un caso emblematico, infatti, i prodotti ortofrutticoli freschi hanno obbligo di legge di indicazione dell’origine, intesa come luogo di coltivazione del prodotto. In un contesto aziendale strutturato, con molteplici prodotti, fornitori diversi e di diversi paesi, risulta evidente come un sistema di rintracciabilità debba fronteggiare l’esigenza di mantenere correlazione veritiera del requisito “origine” tra identità e comunicazione.
Analogo discorso può essere portato in esempio, sempre per il requisito “Origine”, delle materie prime dei prodotti biologici. Informazione da riportare obbligatoriamente in corrispondenza del logo comunitario.
Ed è proprio questo il punto focale di un sistema organizzativo basato sulle informazioni correlate ai materiali, la tracciabilità dell’identità del prodotto al fine di garantire il mercato circa la correttezza delle informazioni correlate all’alimento.
Donato Ferrucci, Dottore agronomo libero professionista, riveste attualmente l’incarico di Responsabile di Bioagricert Lazio e di Cultore della materia presso la cattedra di Gestione e Comunicazione d’Impresa” – Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università degli Studi della Tuscia. E-mail: donatoferrucci@alice.it