di Federico Vinattieri
Questa è la storia di un cinofilo, anzi no… mi correggo subito, non di un cinofilo, di Mario Querci. Proprio lui, un nome che fa quasi paura, una figura diventata quasi mitologica per un neofita, un esempio da idolatrare, il cinofilo per antonomasia.
Quell’uomo della piana di Prato, che era destinato a lasciare il segno nel mondo della cinofilia, a marchiare a fuoco la storia di una razza.
Io l’ho conosciuto. Io c’ero. I ricordi non sono nitidi, data la mia giovane età a quell’epoca, ma nonostante ciò, io mi ricordo.
Mario Querci con Rebecca di Ponzano, al World Dog Show di Amsterdam 1985
Tanti hanno cercato di descriverlo, tanti hanno cercato di raccontare, ma tutti hanno commentato solo i suoi cani, non l’uomo, non il personaggio, non il metodo, non l’allevatore.
Se all’epoca conoscevamo quali fossero i pensieri nella mente di Mario? No assolutamente… ma posso solo fungere da testimone della persona ed esaminare il suo modo di selezionare i suoi cani, la sua razza, il Mastino Napoletano, da lui plasmato, come una statua di creta, modellata dalle sue grandi mani attente, critiche, severe, decise, senza tante esitazioni, seguendo il proprio concetto di tipo, chiaro e definito, mai travisato, sempre cristallino nella sua mente. Generazione dopo generazione, il tipo da portare avanti era quello, individuato accuratamente, senza eccezioni. Quello è il cane da lasciare a casa, quello invece è il cane da dar via. Niente di più semplice direte voi? Niente di più difficile vi rispondo.
In una vera selezione, si ha una parte di tentativi, caratterizzata da incertezza, e una parte invece di assoluta sicurezza. Non esiste una selezione senza incognita, ma ciò che distingue un grande allevatore da uno mediocre, è proprio il saper individuare tali eccezioni e saper scegliere sempre l’eccellenza, senza mai divergere dal proprio modello.
La scelta, sinonimo di selezione, è la più ardua, faticosa, pesante, problematica mossa di un cinofilo. Un errore influisce sul futuro, come d’altronde una scelta azzeccata. Quando Querci osservava i suoi cuccioli, prendendoli in mano, valutandoli frontalmente, occhi negli occhi, era un attimo… bastavano pochi secondi per individuare quali erano i più meritevoli. Occhi accorti, allenati, che proprio come i suoi mastini, “rimiravano” le sue sculture viventi.
Cosa distinue un allevatore da un artista? Entrambi usano la propria valutazione visiva, entrambi creano, entrambi ricercano la perfezione, entrambi elaborano, entrambi fuggono talvolta dal presente per osservare il futuro. Se allevare è arte, Querci era il Picasso della cinofilia, avendo proiettato una forma di cubismo sui suoi cani, “opere” uniche, non composte da accostamenti cromatici, bensì da un susseguirsi di rughe e pliche, a comporre una mosaico in carne ed ossa, l’antico molosso diventato moderno, grazie alle sue scelte.
Mario Querci quindi non è definibile “cinofilo”, è riduttivo definirlo così. Mario Querci era un vero artista, era un pioniere coraggioso, che ha saputo imporre le proprie scelte, che ha saputo rendere universale una sua visione, un suo progetto, che ha saputo codividere con il mondo la bellezza in una forma da lui ideata, proprio come fece Marino Marini con i suoi cavalli e cavalieri.
Mario non era un esperto di genetica, come talvolta ho sentito dire, questo è un falso storico molto comune; le sue conoscenze si basavano esclusivamente sull’esperienza diretta, la quale ha dei grandi vantaggi rispetto alla teoria, poiché quest’ultima non è quasi mai conforme all’atto pratico, in quando, come tutti sappiamo, la genetica non è una scienza esatta.
Ho sentito tantissime volte usare il termine “maestro” in modo inappropriato, questo titolo è una cosa seria, è un modo originale ed impegnativo di consegnarsi alle persone. Penso che per Mario il termine “maestro” è un termine molto azzeccato, ma non il termine letterale, non il sinonimo di “insegnante”, bensì una parola che evoca e riassume la frase “colui che deve essere ascoltato e deve essere preso in considerazione per ciò che ha dimostrato di saper fare”. Il titolo di “maestro” che molti gli hanno assegnato, lui se l’è guadagnato, anche se ho la quasi certezza che questo titolo Mario non lo avrebbe amato. Lui non si considerava assolutamente un maestro, e mai si è permesso di elargile lezioni.
“Chi ha occhi per guardare osservi e comprenda da sè”… questa era la sua filosofia.
Alcuni l’hanno seguita alla lettera e hanno appreso da lui, altri non sono riusciti a carpire il metodo, i concetti, e si sono perduti.
Mario Querci nel ring, con Sansone di Ponzano – maggio 1985
La selezione di Querci è equiparabile ad una vera e propria alchimia.
Nessuno è mai riuscito ad avvicinarsi ai suoi risultati. Lui fu il primo, fu l’ideatore, il creatore del tipo che ancora oggi, a distanza di decenni dalla sua morte, non può che identificarsi con un nome: “PONZANO”.
Questo storico affisso, sinonimo di eccellenza, sinonimo di armonia, sinonimo di vittoria.
Dal 1953 al 1990, una carriera esaltante e staripante di successi. I suoi 54 titoli di Campione Italiano parlano da soli e lasciano ben poco da commentare.
La sua biografia è nota un po’ a tutti. Inutile ripeterla. Ma la curiosità delle persone è più che altro direzionata a comprendere gli aspetti più occulti della sua personalità.
Alcuni amici stranieri a volte me lo chiedono… “dicci Federico, tu che l’hai conosciuto… Com’era Mario?”.
Quando Mario era in vita io ero un ragazzino… non stavo molto attento alle persone che avevo intorno, quindi per me è estremamente difficile ricordare e riuscire a descriverlo. Forse a Mario stavo anche un po’ antipatico, in quanto, da bambino invadente, mi rivolgevo a lui come ad una persona qualunque, e non con il rispetto che dovrebbe essere dato ad una persona di una certa età.
Quel che mi ricordo io era una figura autoritaria, un uomo grande, ma allo stesso tempo generoso e ospitale. Essendo cresciuto dentro la cinofilia, costantemente circondato da cinofili “mastinari” vicini a Querci, ho poi appreso da loro, nel corso degli anni, tante sfumature di quel personaggio. Ma il racconto non può mai proiettare la persona nella realtà, ma solo rappresentarla in parte, tramandando aneddoti reali e ricordi indelebili. Chi non l’ha conosciuto di persona, non lo potrà mai capire veramente.
Vorrei ci si rendesse conto, una volta per tutte, di ciò che Mario è riuscito a fare.
La genetica non era il suo mestiere, ma nonostante la poca conoscenza accademica della materia, fin da subito Querci comprese che determinati caratteristiche fenotipiche dovevano essere fissate, e allo stesso tempo altri caratteri potevano essere tralasciati. Capì il meccanismo, capì come agire.
Querci era un pragmatico, ed ebbe da subito la consapevolezza che bisognava selezionare seguendo un proprio modello e perseverando nella ricerca di un proprio obiettivo.
Si accorse che esiste un solo metodo, in selezione, per fissare con rapidità dei caratteri, e questo metodo si chiama “consanguineità”.
Quella fu la chiave di tutto. Iniziò a creare la sua base, combinando soggetti che potevano apportare quelle peculiarità da lui ricercate, accoppiando talvolta in stretta consanguineità… roba non facile da gestire per i comuni mortali.
Così facendo, la base fu creata e da lì partì la vera selezione del “tipo Ponzano“. La pratica della consanguineità, con le dovute accortezze, non fu mai tralasciata totalmente da Querci, poiché è in essa il segreto della stabilità di determinati connotati. Pian piano il modello di Querci prese forma, ed i Campioni da lui disseminati negli anni, ora sono storia e patrimonio della razza. Non sto ad elencarli, sarebbe superfluo. Tra i mastinari ancora echeggiano quei nomi, ormai leggendari, campioni e razzatori, uno più celebre dell’altro.
Erano gli anni d’oro della cinofilia italiana, quando le esposizioni importanti erano sempre le stesse, le poche classiche… quando era in vigore il famigerato CAC di campionato, quando nei ring i cani erano sempre presenti in abbondanza, quando la cinofilia era composta in gran parte da nobiltà e borghesia, quando i cellulari non esistevano e allora dovevi attendere il ritorno a casa per riferire alla moglie l’esito della gara, quando la medicina e la genetica era dedotta dalla mente e non estrapolata dai computer, quando spostarsi per partecipare ad una esposizione e sconfinare in un’altra Regione sembrava d’essere andati all’estero, quando le manifestazioni canine venivano organizzate nelle grandi ville o nei grandi parchi italiani, quando vi erano le file di gabbie per i concorrenti messe a disposizione dall’organizzazione, quando il Mastino Napoletano veniva acclamato e attirava sempre più veri appassionati, quando il rispetto tra espositori e allevatori non era affatto un aspetto facoltativo.
Mario Querci inventò il Mastino Napoletano odierno, fu lui l’artefice del cambiamento; fu lui a disegnare il nuovo mastino, intensificando i tratti di quell’antico molosso riscoperto da Scanziani, apportando l’armonia di nuove forme, frutto di propedeutiche scelte nel tempo, per il perseguimento di uno scopo predefinito.
Nel 1990 Mario Querci lasciò questo mondo. Ce l’aspettavamo un po’ tutti, poiché tutti noi eravamo a conoscenza della sua lunga malattia.
Oggi, ogni anno, Mario Querci viene ricordato con un Trofeo a lui intitolato, assegnato proprio a Prato, nella sua città, nell’ambito del più grande e prestigioso ritrovo di esemplari della razza, provenienti da tutto il Mondo.
Noi che abbiamo proseguito siamo semplici allevatori, forse un giorno saremo parte della storia… lui è leggenda.
Da Sx: Mario Mazzucconi, Massimo Vinattieri e Mario Querci, a Firenze
Federico Vinattieri è un appassionato allevatore cinofilo, ornitofilo e avicoltore (titolare Allevamento di Fossombrone – www.difossombrone.it – http://lupi.difossombrone.it – http://ornitologia.difossombrone.it). Curriculum vitae >>>