La produzione di carne bovina in Toscana: andamento nel periodo 2010-2016
di Giovanni Brajon, Riccardo Bozzi, Lapo Nannucci, Alessandro Crovetti
Introduzione
I prodotti agroalimentari tipici rappresentano da sempre un punto di forza per l’economia della Toscana; in particolare, la carne bovina e le sue preparazioni gastronomiche sono riconosciute a livello internazionale come prodotti di alto pregio. La qualità della carne è determinata da numerosi fattori che agiscono sia prima che dopo la macellazione. Tra i primi si annoverano: genetica dei capi, categoria produttiva, corretta conduzione zootecnica e sanitaria, rispetto delle condizioni di benessere in allevamento e durante il trasporto. Per ciò che concerne invece il periodo post-macellazione, i fattori principali sono le tecniche ed i tempi di frollatura che condizionano in modo marcato la qualità del prodotto finale. La frollatura deve avvenire in tempi sufficientemente lunghi, spesso non conciliabili con le esigenze di mercato.
In Italia, l’allevamento del bovino da carne è generalmente indirizzato all’ingrasso di razze precoci, spesso di provenienza estera, allevate in maniera intensiva; la Toscana si caratterizza invece per una tipologia di allevamento più tradizionale che fonda la sua organizzazione in larga parte sulla linea vacca-vitello[1], attraverso l’impiego di sistemi semi-estensivi ed anche l’utilizzo di razze bovine autoctone. La produzione di carne bovina è dunque caratterizzata da elevata qualità ma con limiti oggettivi per la commercializzazione a causa delle dimensioni medio-piccole delle aziende che non sono in grado di garantire un flusso di capi adeguato alle richieste del mercato, con particolare riguardo alla GDO.
Un esempio di valorizzazione della filiera della carne bovina toscana è rappresentato dalla società Agro-Zootecnica Toscana, che società commercializza bovini e suini identificati con una serie di marchi Collettivi Commerciali, tra i quali il marchio “Toscana-Toscana” relativo ai bovini nati e allevati in Toscana.
La percentuale dei capi macellati sotto questa denominazione, in questi ultimi anni è progressivamente aumentata, con un incremento del 9% tra il 2014 ed il 2015 fino ad arrivare ad un incremento del 43% dal 2016 al 2017. La previsione per il corrente anno (2018) è di un totale di 1300 capi, pari ad un ulteriore incremento del 5% rispetto all’anno precedente (fonte ARAT).
L’esperienza della società Agro-Zootecnica Toscana evidenzia la necessità degli allevatori di creare un canale commerciale sostenibile e in grado di soddisfare le richieste della filiera (impianti di macellazione, distributori, associazioni macellai, GDO).
Il presente studio ha avuto lo scopo di analizzare i flussi commerciali della carne bovina macellata in Toscana dal 2010 al 2016. La lettura dei dati esaminati può essere uno strumento per l’elaborazione di strategie volte alla valorizzazione della produzione di carne bovina sul territorio regionale.
Materiali e metodi
L’indagine ha riguardato i capi bovini macellati in Toscana dal 2010 al 2016, i dati utilizzati sono stati forniti dall’IZSAM (Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise) e sono quelli registrati nella Banca Dati Nazionale dell’anagrafe zootecnica del Ministero della Salute.
Per ognuno dei parametri studiati è stato determinato il trend nel periodo in esame focalizzandosi in particolare su:
- Numero dei capi;
- Origine dei capi (nati e allevati in Toscana, introdotti da altre regioni nazionali e dall’estero);
- Tipo genetico;
- Permanenza in allevamento;
- Numero d’impianti di macellazione attivi.
Il database di partenza conteneva 240.693 osservazioni che, a seguito di una fase di editing finalizzata alla rimozione di dati mancanti o incongruenze, si è ridotto a 218.147. In particolare, sono stati eliminati i capi con dati incompleti e i soggetti con un’età di macellazione superiore a 730 giorni (considerati animali a fine carriera).
Risultati
Capi macellati in Toscana
Il numero totale di capi macellati nel periodo considerato è stato dunque pari a 218.147, dei quali circa il 40%, ovvero 87.584, sono capi nati e allevati in Toscana, mentre il restante 60% (130.563) risulta introdotto da altre regioni italiane o dall’estero.
Nel corso dei sette anni si è registrata complessivamente una flessione progressiva fino al 2013 e una ripresa negli anni successivi, che tuttavia non ha consentito il raggiungimento dei livelli di partenza (fig. 1).
Figura 1. Numero di capi macellati in Toscana nel periodo 2010-2016
La diminuzione del numero dei capi ha riguardato sia gli animali nati e allevati in Toscana che quelli importati; con una flessione rispettivamente del 7% e del 26%.
Capi introdotti da altre regioni italiane e dall’estero
L’analisi dei flussi ha evidenziato che la maggior parte dei capi introdotti dall’estero è proveniente dalla Francia (fig. 2) ed ha rappresentato nel 2016 circa il 94% del totale introdotto nel territorio, dalle altre nazioni la quantità è limitata.
Figura 2. Numero di capi importati nel periodo 2010-2016
Anche a livello nazionale si osserva uno scenario simile, con una netta predominanza dei capi importati dal Piemonte che nel periodo 2010 – 2016 aumenta in percentuale passando dal 46% (nel 2010) al 57% (nel 2016) (fig. 3).
Figura 3. Numero di capi importati dal Piemonte rispetto al totale nel periodo 2010-2016
Un’analisi approfondita ha evidenziato che la maggioranza dei capi importati dal Piemonte (mediamente oltre il 90% all’anno) vengono macellati in un unico impianto che nel 2013 aveva ridotto la sua attività probabilmente a seguito di un cambiamento delle strategie commerciali della GDO alla quale questo impianto è collegato.
Per quanto riguarda le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Sardegna, che in passato rappresentavano comunque un’importante fonte di animali da ristallo, la diminuzione è stata progressiva e nel 2016 solamente dall’Emilia-Romagna sono stati introdotti poco più di 1000 capi.
Razze dei capi nati e allevati in Toscana
I tipi genetici più rappresentativi sono Meticcio, Chianina e Limousine.
Relativamente ai primi due tipi genetici si registra, dal 2010 al 2016, rispettivamente una diminuzione pari al 14,35% (4.876 vs 4.177) ed al 12% (4.442 vs 3.912); al contrario, la razza Limousine ha fatto registrare una crescita progressiva, a conferma del costante livello di interesse che questo bovino sta riscuotendo negli allevamenti del territorio, a causa delle spiccate doti di rusticità e precocità. A seguire, sempre con trend positivo, si notano i capi di razza Frisona e Maremmana (fig. 4).
Figura 4. Principali razze di bovini nati e allevati in Toscana. Numero di capi per razza nel periodo 2010-2016
Razze introdotte da altre regioni italiane e dall’estero
La maggior parte dei capi introdotti e destinati all’ingrasso è di razza Limousine, il cui andamento, nel periodo analizzato è passato da 11.181 capi nel 2010 a 6.199 nel 2013, mostrando una ripresa nel 2016 (9.556). A seguire, i meticci che hanno mostrato un trend simile, passando da 5.991 capi nel 2010 a 3.295 nel 2015, fino a raggiungere 3.977 animali macellati nel 2016.
Un caso particolare è quello della razza Aubrac che vede aumentare progressivamente il numero dei capi introdotti, raggiungendo il picco nel 2016 con 1.127 capi. Tale scenario può essere ricondotto in particolare a due fattori:
– il livello d’interesse da parte di alcuni allevatori che hanno iniziato a importare un numero considerevole di capi di questa razza di origine francese, caratterizzata da dimensioni corporee piuttosto ridotte da elevata rusticità e buona produzione di carne;
– le richieste da parte della GDO, che tramite la stipula di contratti commerciali con allevatori e ingrassatori, può condizionare le scelte di orientamento del mercato.
La razza Charolaise, di origine francese, in passato terza per numero di capi importati, ha evidenziato una forte diminuzione, passando da 3.269 capi nel 2010 a 730 nel 2016 (fig. 5).
Figura 5. Principali razze di bovini da carne introdotti da altre regioni italiane e dall’estero nel periodo 2010-2016
Giorni di permanenza in Regione
La crescita dell’interesse per i prodotti locali, pone l’attenzione sul numero dei giorni di stabulazione dei capi nel territorio regionale, affinché un vitello possa essere considerato toscano. I dati in nostro possesso ci consentono di calcolare i giorni di permanenza dei capi importati soltanto relativamente alla durata del ristallo nell’azienda che precede la macellazione. Pertanto, non essendo possibile monitorare i rari eventi di movimentazione di questi animali tra due o più aziende Toscane, i giorni di permanenza appaiono sottostimati. I dati ottenuti hanno evidenziato un picco di permanenza (19%) nell’ultima azienda prima della macellazione, quantificabile tra i 120 ed i 140 giorni, corrispondente alla tipica durata della fase di finissaggio dei vitelli da carne (circa 4-5 mesi). La permanenza sul territorio regionale per meno di 30 giorni riguarda un numero inferiore ai 10.000 capi (fig. 6) mentre la permanenza sul territorio per più di 180 giorni, alla quale corrisponde un bonus economico per gli allevatori derivante dall’applicazione dei regolamenti comunitari sui premi accoppiati per il settore zootecnico (premio ai 6 mesi ed ai 12 mesi di allevamento), riguarda il 40% dei capi importati. Raramente la fase d’ingrasso si protrae fino al raggiungimento dei 360 giorni (solo il 10% dei capi), nonostante vi sia la possibilità di accedere a un secondo bonus.
Figura 6. Giorni di permanenza dei capi sul territorio regionale nel periodo 2010-2016
Numero di impianti di macellazione attivi
Gli impianti di macellazione che hanno operato nel periodo 2010-2016 sono 35, dei quali 27 risultavano ancora in attività nell’anno 2016 (fig. 7).
Figura 7. Localizzazione degli impianti di macellazione di bovini in Toscana e loro volume di lavoro annuale
Le capacità di lavorazione sono spesso limitate, dei 27 impianti attivi nel 2016, 13 hanno capacità di lavorazione per più di 500 capi e solo 6 più di 2000 capi (Figura 8).
Figura 8. Volume annuale di lavoro degli impianti di macellazione di bovini in Toscana nel periodo 2010-2016
Il numero dei capi macellati per singolo impianto e per anno varia probabilmente in relazione ai contratti stipulati con la GDO. Un esempio di questa variabilità è rappresentato da un singolo impianto nel quale si è passati da una forte contrazione di attività nel 2013 a una significativa crescita nell’anno seguente, antecedente al cambiamento di ragione sociale che è avvenuto nel 2015.
Conclusioni
Il numero di capi bovini macellati in Toscana è diminuito dal 2010 al 2013 mentre negli anni successivi si è registrato un incremento progressivo fino al 2016. Ogni 5 bovini macellati, 2 sono nati e allevati nel nostro territorio; i rimanenti sono quasi tutti di origine francese, di cui una quota transita attraverso il Piemonte. I tipi genetici Meticcio e Limousine sono quelli maggiormente presenti, con la seconda razza in progressivo aumento, tuttavia, pur con numeri inferiori rispetto alle due razze precedenti, la Chianina e la Maremmana rappresentano un importante spazio sul mercato dei capi nati e allevati nel territorio. Questi genotipi sono spesso collegati ad una serie di marchi che ne valorizzano il prodotto: IGP (Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale) e ‘Toscana-Toscana’ gestito dalla società Agro-Zootecnica Toscana; in passato è stato anche intrapreso un percorso di valorizzazione della razza Maremmana, tramite la richiesta per il riconoscimento DOP (Vitellone della Maremma) del quale però ad oggi non si hanno più notizie.
Relativamente ai capi introdotti da altre regioni, il 40% degli animali effettua una fase d’ingrasso di durata pari ad almeno 180 giorni: la caratterizzazione di questo periodo sul territorio toscano, sotto il profilo dell’alimentazione e delle garanzie del benessere animale in allevamento, potrebbe costituire un’ulteriore prospettiva per la valorizzazione della carne di questi capi.
La rete degli impianti di macellazione è ben distribuita nel territorio, sebbene l’attività subisca variazioni in conseguenza degli accordi stipulati con la GDO che spesso condiziona le scelte dell’intera filiera. Inoltre, come abbiamo già evidenziato in precedenza, la frollatura delle carni, che rappresenta una fase importante per la qualità che ne deriva, viene praticata senza seguire criteri standard definiti.
Da questo studio emerge come sotto il nome generale di carne bovina toscana, in realtà vi siano prodotti differenti, per i quali andrebbe attivato un sistema trasparente di informazione che aiuti i consumatori nella scelta del prodotto, a partire dall’origine dei capi comprendendo un’informativa completa circa: sistema di produzione, fase di ingrasso, tipologia di alimentazione utilizzata, benessere animale in tutte le fasi fino alla macellazione, durata della frollatura.
Un programma politico di rilancio della carne bovina a livello regionale dovrebbe governare questo processo attraverso una logica d’interventi pianificati volti ad indirizzare la filiera verso le scelte migliori, mettendo al riparo la filiera da eventuali turbolenze che spesso hanno la loro origine all’esterno dei processi produttivi locali.
Giovanni Brajon – Istituto Zooprofilattico di Lazio e Toscana M. Aleandri;
Riccardo Bozzi, Lapo Nannucci, Alessandro Crovetti – DISPAA Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente – Università degli Studi di Firenze.
[1] Fioriti L., Parmigiani P., Ronga M. 2017. La competitività dell’allevamento bovino da carne in Italia. Sistemi aziendali a confronto. Documento realizzato dall’ISMEA nell’ambito del Programma Rete Rurale Nazionale. Piano 2016 – Scheda Progetto Ismea 10.2. Competitività e Filiere agroalimentari