di Marco Sollazzo
Negli ultimi vent’anni, alcune persone hanno deciso di ricominciare vecchie tradizioni, tra le quali la produzione del vino. Alcune pratiche enologiche utilizzate in passato sono tuttora utilizzate, mentre altre sono state revisionate e/o sostituite con delle nuove tecniche più idonee ad una produzione di qualità. Tuttavia, ci sono molte questioni che sono ancora dibattute tra i più esperti e che creano confusione tra i produttori hobbistici; come risultato, spesso il piccolo produttore si ritrova deluso dai risultati ottenuti. Tra le questioni più dibattute nel mondo hobbistico ritroviamo:
- a) Solfiti in enologia. Negli anni passati, la solforosa, nelle diverse forme commercializzate ad uso alimentare, veniva impiegata in maniera esagerata oppure si sceglieva di non utilizzarla per le sue controindicazioni. La disinformazione di questo prodotto ha portato ad una spaccatura nel mondo enologico e cioè se è doveroso o meno utilizzare la solforosa nel vino. Seppure molti produttori hobbistici hanno la volontà di produrre vino senza solfiti per una produzione più naturale e con meno chimica possibile, l’obiettivo è ancora di difficile portata. Infatti, anche se inizia a diventare una realtà quella della produzione di vini senza solfiti da parte di aziende professionali che decidono d’investire grandi capitali per la produzione di vino (ad esempio investendo nell’ utilizzo di gas inerti, nel mantenimento del catena del freddo, ecc..), questa via non rappresenta una scelta possibile per il produttore hobbistico, il quale non ha le capacità economiche, gli strumenti e le competenze necessarie per produrre un vino senza solfiti. Tuttavia, gli esperti sono d’accordo che non esistono surrogati comparabili alle caratteristiche dei solfiti e perciò la stragrande maggioranza delle aziende vitivinicole ne fa uso. L’aggiunta di solforosa deve essere fatta in maniera mirata, con analisi alla mano e utilizzando quantità adeguate. E’ inoltre da sconsigliare l’aggiunta eccessiva della solforosa nel processo produttivo, la quale oltre a portare ad arresti fermentativi e sentori sgradevoli può provocare reazioni allergiche. Per quest’ultimo motivo, il limite massimo di solforosa per la commercializzazione del vino è regolamentato dalla legge (fig.1).
- b) Lieviti selezionati. Nelle generazioni passate si produceva il vino in maniera completamente naturale senza nessuna aggiunta di lieviti selezionati. Il succo d’uva, una volta pigiato, veniva trasferito in una botte di legno e questo iniziava a fermentare in maniera completamente naturale e spontanea. Questo perché l’ecologia microbica presente sulle uve e nell’ambiente di lavorazione partecipa in maniera attiva al processo di fermentazione. Anche se all’epoca il vino era molto gradito da chi lo produceva per il suo elevato contenuto zuccherino, il vino poche volte completava la fermentazione, la quale rallentava e si arrestava. Il vino spesse volte si presentava poco alcolico, dolciastro e leggermente frizzantino per la diretta conseguenza della parziale fermentazione. L’utilizzo al giorno d’oggi di lieviti selezionati permette una maggiore sicurezza fermentativa e un minore apporto di composti secondari, incrementando la standardizzazione del processo e una riduzione dell’impatto ecologico microbico naturale dell’uva. Numerosi lieviti sono stati isolati e selezionati, perciò ogni tipologia di lievito selezionato esprime caratteristiche organolettiche diverse (fig.2).
Fig.1 – Limiti massimi di solfiti in enologia nelle diverse tipologie di produzione di vino (fonte vinolibero.it)
Tra i sostenitori dei vini naturali ci sono persone contrarie all’uso di lieviti selezionati per la poca “naturalezza” del processo fermentativo; tuttavia è importante ricordare che l’ecologia microbica dell’uva (che dipende dall’annata e dalla gestione del vigneto) può condizionare positivamente o negativamente il vino.
- c) Macerazione con i raspi. Seppur in passato ci sono state produzioni di vino con l’utilizzo di raspi durante il processo di macerazione perché si ricercavano vini più robusti e carichi di tannini, le numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato che essi apportano solamente caratteristiche negative al vino e perciò essi sono da separare durante la fase di pigiatura. Tra gli effetti negativi dei raspi ricordiamo: tannini ruvidi e erbacei, riduzione della gradazione alcolica finale per l’elevato contenuto di acqua, maggiore problema di stabilizzazione nel vino per la presenza di minerali e maggiore difficoltà negli spazi nei silos dato il maggiore volume occupato dai raspi.
- d) Primo travaso. Un altro aspetto molto sottovalutato è la tempistica del primo travaso. Numerosi sono i casi riportati dal produttore hobbista di aromi sgradevoli appena dopo la fermentazione alcolica. La maggior parte di questi aromi sgradevoli è legata alla presenza di fecce grossolane derivate dall’autolisi del lievito e dal materiale più pesante precipitato a fine fermentazione. Se le fecce grossolane sono lasciate per lungo tempo a contatto con il vino queste formano sentori sgradevoli, tra i quali quelli associati agli aromi di uova marce, cipolla, cavolfiore, ecc.. Il modo migliore per prevenire la formazione di questi aromi negativi è procedere rapidamente ad un travaso dopo la fermentazione, rimuovendo completamente le fecce presenti sul fondo.
- e) Utilizzo di contenitori in legno di cinque o più anni. Anche se generazioni passate hanno adoperato le stesse botti di legno per diversi anni nel produrre il vino, questo ha sicuramente dei risolvi negativi. Infatti, durante il corso degli anni, le doghe di legno hanno ereditato il patrimonio microbico dei diversi vini che ne sono venuti a contatto e anche di quelle specie che si sono proliferate nello spazio intercorso tra il riempimento della botte tra le diverse annate. Alcune di queste specie microbiche hanno effetti negativi e possono causare difetti nel vino. In aggiunta, l’impossibilità di completa sanitizzazione all’interno della botte, rende il legno un potenziale substrato contaminante.
Fig.2 – Diverse espressioni organolettiche a seconda della tipologia di lievito selezionato utilizzato (fonte mdpi.com)
E’ pertanto necessario essere consapevoli che se si vuole utilizzare il legno per la produzione di vino bisogna sostituirlo in maniera periodica, al fine di evitare possibili contaminazioni. Inoltre, numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato che, le doghe di legno, dopo 5 anni di utilizzo nella botte, hanno esaurito le proprietà aromatiche e non apportano nessuna caratteristica organolettica al vino. Oppure come soluzione alternativa al legno, sono oramai sempre più diffusi i contenitori in acciaio inox per la loro facile pulizia e gestione nel processo produttivo.
- f) Analisi del vino: una procedura sottovalutata ma fondamentale nel migliorare la produzione casalinga di vino è il controllo analitico del prodotto presso un laboratorio specializzato. Le informazioni raccolte hanno lo scopo di intervenire in maniera mirata sul vino, evitando l’uso e abuso di additivi, a volte superflui, che ne compromettono le qualità organolettiche del vino. Secondariamente i risultati delle analisi permettono al produttore di migliorare e conservare al meglio il vino prodotto nel corso degli anni. La consapevolezza di analizzare il vino da parte del produttore hobbistico ha permesso una produzione più attenta e mirata alla qualità, identificando eventuali problemi nel processo produttivo.
- g) Lasciare contenitori scolmi e sottovalutare il modo corretto di mantenere il vino. E’ ormai ben noto che Il nemico numero uno del vino è l’aria, composta dal 21% di ossigeno. Il vino a contatto con l’aria porta alla trasformazione naturale e spontanea dell’alcool presente in aceto (la molecola principale è l’acido acetico). E’ chiaro così, che senza l’intervento dell’uomo, il vino diventa naturalmente aceto. E’ perciò raccomandabile durante tutte le fasi di trasformazione, ad eccezione di quella di fermentazione, evitare i contatti con l’aria, affinchè il vino preservi le sue caratteristiche peculiari. Uno dei principali errori è quello legato allo stoccaggio e al mantenimento del vino, senza utilizzare in maniera corretta le adeguate misure di protezione (olio enologico, tappi gorgogliatori, galleggianti pneumatici) e nel caso del mantenimento del vino in botte di legno, ad opportune colmature periodiche.
» Articolo tratto dalla Rivista TerrAmica – num. 9 Luglio 2018 «
Marco Sollazzo, laureato in Tecnologie Alimentari ed Enologiche, Curriculum Viticoltura ed enologia presso la Facoltà di Agraria di Viterbo, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze viticole ed enologiche interateneo presso la Facoltà di Agraria di Torino, discutendo la tesi “Valutazione delle condizioni analitiche del test di minicontatto e impiego di biopolimeri per la stabilizzazione tartarica dei vini”. Curriculum vitae >>>