Gestione forestale e ricerca: primi passi per un modello di gestione sostenibile delle foreste produttive di faggio
di Angela Lo Monaco, Rachele Venanzi, Francesco Latterini, Michela Benato, Rodolfo Picchio
Sulla destra della viabilità forestale esempio di fustaia di faggio coetanea, sulla sinistra la particella in disetaneizzazione
L’area amiatina
Il Monte Amiata, edificio vulcanico che si colloca tra le province di Grosseto e Siena, da sempre è stato oggetto di miti e leggende che rivestono un ruolo vitale e simbolico per le popolazioni locali.
Questo rilievo di natura vulcanica, con la sua altitudine di 1738 metri s.l.m., spicca incontrastato dominando le colline della Val d’Orcia, della Maremma e le pianure tufacee laziali. La variazione degli ecosistemi risulta essere intimamente correlata alla complessa evoluzione geologica dell’area e la sua collocazione geografica marginale ha fortemente condizionato lo sviluppo di specifiche tipologie di vegetazione.
Al di sopra della fascia vegetazionale dominata dal castagno, dalla quota di 1100-1200 m fino alla vetta, è localizzata una fascia vegetazionale montana caratterizzata dalla presenza di boschi di faggio, estesi per circa 26 km2, la cui crescita è stata facilitata dalle favorevoli condizioni climatiche e pedologiche.
La Società Macchia Faggeta
Il gestore e proprietario dei boschi di faggio è la società “Macchia Faggeta”. Si tratta di un’antica associazione fondata nel 1788, da 58 soci Capostipiti delle famiglie del comune di Abbadia San Salvatore (SI), divenuti 205 nel 1800 e 159 nel 2012 arrivando ad oggi a contare quasi 4.000 soci. La Società è nata per la gestione e il mantenimento della faggeta che si trova nella parte sommitale del Monte Amiata, della “Macchia a Faggeta” per una superficie di oltre 500 ettari. Nel corso dei secoli, la Società non ha soltanto avuto la facoltà di utilizzare i beni del bosco ma si è assunta il compito di preservarlo e curarlo, capendo che se non fosse stato mantenuto e gestito con parsimonia e sapienza, questa importante risorsa sarebbe andata perduta. Grazie ad un uso corretto della foresta e alla capacità della Società di mantenere indiviso per secoli questo vasto territorio boschivo, è stato possibile preservare un bene comune di cui possono goderne non solo i Capostipiti e la comunità di Abbadia San Salvatore ma anche i numerosi turisti e fruitori di altri servizi che visitano la zona.
L’importanza, non solo economica ma anche ambientale e sociale, che riveste la foresta per gli abitanti di Abbadia San Salvatore ha portato la Società Macchia Faggeta a richiedere e ad ottenere, nel 2008, la certificazione internazionale di sostenibilità forestale rilasciata dal Programme for Endorsement of Forest Certification Schemes (PEFC). Con la certificazione, la Macchia Faggeta è diventata una delle prime proprietà collettive dell’Appennino ad aver ottenuto questo importante risultato, dimostrando di essere una Società all’avanguardia che gestisce la risorsa forestale in maniera legale e sostenibile e dimostrando una grande sensibilità verso le tematiche ambientali.
La lungimirante gestione ha portato nel tempo la Società Macchia Faggeta a stringere rapporti di collaborazione scientifica con diversi Enti di Ricerca, tra cui il gruppo di Utilizzazioni forestali e Tecnologia del legno del Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali (DAFNE) dell’Università degli Studi della Tuscia con lo scopo di sperimentare sul proprio territorio nuovi modelli di gestione forestale.
Applicazione di un modello sperimentale di gestione forestale sostenibile
La recente collaborazione tra DAFNE e la Società Macchia Faggeta ha avuto lo scopo di studiare ed applicare un differente modello di gestione per le foreste di Faggio (Fagus sylvatica L.) giunte alla fine del periodo di conversione e di individuare criteri per eseguire le utilizzazioni forestali rendendo minimi gli impatti sulla vegetazione e sul suolo e per la valutazione tecnologica degli individui giunti a fine ciclo. In particolare uno dei primi concreti casi applicativi ha avuto lo scopo di valutare la progressiva disetaneizzazione per piccoli gruppi di una fustaia di faggio. In questo ambito sono stati anche valutati e raccolti elementi per la valorizzazione della produzione in un contesto di gestione sostenibile in foresta di faggio certificata. Questo ultimo aspetto, ovvero la caratterizzazione del legno ritraibile è un passo fondamentale per la qualificazione necessaria alla destinazione del materiale per prodotti di reddito, quindi direttamente legato ad uno dei tre capisaldi della sostenibilità. La conoscenza delle caratteristiche del legno di Faggio derivate dalle conversioni effettuate durante il secolo scorso è necessaria al fine di rendere consapevoli i proprietari della capacità delle foreste di fornire un reddito in relazione al valore della materia prima rinnovabile di cui dispongono.
La particella oggetto di studio, ha una superficie di 3,45 ha, situata ad una quota di circa 1250 m s.l.m. Le specie arboree presenti sono Faggio (Fagus sylvatica L.), Abete Bianco (Abies alba Mill.) e Castagno (Castanea sativa Mill.), con presenza di Ginestre (Spartium junceum L.) concentrate in alcune aree che talvolta raggiungono anche diametri di 1-2 cm ad 1,3 m da terra.
Da un punto di vista evolutivo, il popolamento è già stato sottoposto a taglio di sementazione e a taglio secondario. Infatti, la rinnovazione risulta già abbondantemente affermata in modo uniforme sull’intera particella e con classi diametriche e di età molto disformi.
L’analisi dei rilievi dendrometrici effettuati ha evidenziato che la fase evolutiva del popolamento della particella studiata risulta ottimale poiché la struttura è già simile a quella disetanea. La provvigione presente è bassa e deve essere incrementata gradualmente migliorando la distribuzione diametrica, ma tenendo in considerazione gli atti normativi e di pianificazione.
Dal confronto dei dati dendrometrici rilevati con la distribuzione del numero delle piante in funzione dei diametri riportata in letteratura per quanto riguarda le faggete centroeuropee si evince che nella particella oggetto di studio sono presenti un numero maggiore di piante nelle classi diametriche inferiori ai 20 cm mentre mancano nelle classi superiori ai 20 cm (fig. 1).
Figura 1: il grafico descrive la presenza di individui arborei riferiti ad ettaro in funzione delle varie classi diametriche di appartenenza (diametro per convenzione preso a 1,3 m dal suolo). Dalla figura è possibile osservare come la situazione al momento del rilievo si discosti solo leggermente dai dati di massima reperiti da dati bibliografici e risulta ancor più concretamente vicina all’attesa distribuzione ideale sviluppata nel corso del presente studio.
Per questo motivo gli interventi previsti dovrebbero mirare a ridurre il numero delle piante nelle classi diametriche più piccole cercando di favorire le classi intermedie per aumentare il volume presente nella particella. Inoltre, poiché sono presenti solo poche specie arboree, gli interventi dovranno essere attuati in modo da aumentare la biodiversità arborea.
Si propongono tre diversi interventi (fig. 2):
- il primo intervento proposto, sarà mirato a selezionare le piante che dovranno ricoprire le classi diametriche centrali (superiori ai 20 cm), diminuendo gli individui nelle classi più basse. Lo scopo di questo intervento è quello di aprire la copertura per favorire l’ingresso di specie in questo momento non presenti.
- Il secondo intervento dovrà essere attuato non prima di 10 dal primo (minimo stabilito dal Regolamento forestale vigente), ma comunque non oltre i 15 anni in modo che sia tecnicamente efficace.
Figura 2: il grafico descrive gli sviluppi futuri applicando il sistema di gestione proposto in questo studio. Dalla figura è possibile osservare che già dopo il secondo intervento il modello proposto si avvicina sempre di più allo stato ottimale individuato e sviluppato nel corso del presente studio e rientra nei canoni proposti dagli studi pubblicati in altri contesti geografici.
- il terzo intervento, alla luce di quanto evidenziato precedentemente, è previsto dopo ulteriori 15 anni al massimo. Pur trattandosi di una programmazione a lungo termine, le lente dinamiche forestali permettono di programmare e pianificare queste azioni fin da ora con un buon grado di successo, ferma restando la necessità di revisione e controllo periodici.
Nucleo di rinnovazione nella particella in disetaneizzazione
Conclusioni
Gli interventi proposti tengono conto degli ultimi dettami sviluppati dalla ricerca applicati in un contesto di sostenibilità e nel pieno rispetto di quanto previsto dal Regolamento Forestale della Regione Toscana e dei vincoli ambientali presenti nell’area. Infatti, gli interventi saranno effettuati con intervalli maggiori di 10 anni, saranno lasciate in piedi le piante di dimensioni più grandi e la rinnovazione sarà di tipo naturale. Non si prevede di intervenire sulle classi intermedie, poiché ad oggi risultano scarsamente rappresentate.
Per quanto riguarda gli aspetti necessari di approfondimento, nell’ottica dei criteri della certificazione PEFC, è possibile evidenziare i seguenti punti:
- Prendendo in considerazione un intervallo di tempo analogo al turno della fustaia coetanea, la particella gestita come fustaia disetanea una volta a regime produrrà quantitativi di biomassa simili o solo leggermente inferiori.
- Con la fustaia disetanea la struttura del popolamento si diversifica e contribuisce anche ad una differente evoluzione del paesaggio.
- In questo momento la biodiversità arborea del popolamento risulta piuttosto bassa, ma gli interventi proposti mirano anche ad un miglioramento di questo specifico aspetto, grazie alla creazione di specifiche aperture nella copertura con interventi localizzati a piccoli gruppi.
- Sicuramente questa tipologia di gestione contribuirà al mantenimento nel tempo della copertura forestale, ovvero a non lasciare quasi mai estese superfici di suolo scoperte dalla vegetazione arborea.
La gestione proposta per questa tipologia di disetaneizzazione non ha preso in considerazione il concetto di diametro di recidibilità e periodo di curazione, ma si basa su un criterio evolutivo tipico della selvicoltura sistemica incentrato sulla provvigione minimale ed un suo graduale incremento in visione prospettica, compatibilmente con le caratteristiche di fertilità della stazione.
Tutti questi concetti, espressi in terminologia meno tecnica, mirano all’applicazione di un sistema di gestione in grado di far confluire insieme numerosi aspetti, quali produzione, ambiente, servizi ecosistemici, paesaggio e sviluppo sociale. Nel contempo è chiaro come, ai fini degli interessi del gestore ma anche di molti altri fruitori, risulta controproducente mirare ad un completo cambio di gestione dell’intera superficie forestale, ciononostante sarà molto interessante creare isole di diversificazione a livello gestionale sapientemente distribuite sul territorio, al fine di migliorare i numerosi aspetti che caratterizzano la gestione forestale sostenibile.
Autori: Angela Lo Monaco, Rachele Venanzi, Francesco Latterini, Michela Benato, Rodolfo Picchio
Corrispondente: Rodolfo Picchio – Dipartimento DAFNE – Università degli Studi della Tuscia di Viterbo – r.picchio@unitus.it