Superfrutti: “Supereroi” poco conosciuti
di Flavio Rubechini
I superfrutti sono un insieme di frutti, che presentano caratteristiche nutrizionali letteralmente super: sono sempre più presenti nelle nostre diete ed in uso sotto varie forme: dagli integratori alle confetture, ai succhi.Il loro consumo solo nell’ultimo anno ha segnato un incremento del 7,6 % (dati Nielsen), ma ciò che non sappiamo è che gran parte di questi prodotti sono di provenienza extra-europea, perché i “pionieri agricoli“ che si sono lanciati nella loro coltivazione in Italia, sono pochi, assenti addirittura per la maggior parte delle specie.
Goji
Iniziamo con uno dei superfrutti più conosciuti in Italia, il Lycium barbarum, o più semplicemente conosciuto come bacca di Goji. Questa pianta è conosciuta in Oriente, soprattutto in Cina fin dall’antichità. Sotto il nome comune di Goji, vanno genericamente 3 specie: la prima il Lycium chinense (Fig.1), dalle bacche piccole e rosse, con caratteristiche organolettiche poco pregiate e di scarso interesse commerciale, la seconda dalle bacche rosse, dolci e con interesse commerciale il Lycium barbarum (alla quale comunemente ci si riferisce parlando di coltivazione di Goji) ed infine il Lycium ruthenicum, dalle bacche nere e poco coltivato.
Fig.1. Bacche di Lycium barbarum. (fonte http://www.consorziogojiitalia.it).
L.barbarum è un arbusto perenne caducifoglie, che raggiunge un’altezza media tra gli 1,5 e i 2 metri, appartenente alla famiglia delle Solanaceae. A livello fogliare, presenta fogli lanceolate, alternate di colore grigio-verdastro. Il fusto dell’arbusto è ricoperto di spine, così come i rami. Il fiore presenta pistillo e calice fusi, e la corolla porta 5 petali, di colore lilla; la pianta è autofertile e la fioritura avviene tra maggio ed agosto, a seconda della varietà coltivata. La maturazione del frutto può avvenire tra luglio, per le varietà più precoci, e la fine di ottobre, per le più tardive. Il frutto è una bacca , di colore rosso nel L.Barbarum , con forma fusiforme, di lunghezza compresa tra i 6 e i 20 mm e diametro dai 3 ai 7 mm. Al suo interno vi sono dai 5 ai 30 semi appiattiti di forma rotondeggiante, con diametro di 3-4 mm.La coltivazione di L.Barbarum, può essere avviata impiantando direttamente le piantine di circa 2 anni di età, in primavera, scavando buche di circa 30 cm di profondità ed arricchendo la stessa con concime organico. L’ottenimento di piantine tramite la germinazione dei semi, è un processo molto lento ed è sconsigliata, a causa della difformità di produzione dell’impianto. Questa pianta, necessita di terreni leggermente acidi, ben drenati ma con buona disponibilità idrica; sopporta temperature anche molto basse ed ama posizioni soleggiate. Risulta comunque essere una pianta rustica, che si adatta a condizioni difficili. Il sesto di impianto consigliato è di 1 metro sulla fila e 2 metri tra le file; alcune varietà inoltre presentano un portamento strisciante e richiedono quindi dei sostegni per la crescita (Fig.2): è consigliato quindi un sistema di allevamento a spalliera, con la palificazione che può essere fatta sia con pali in legno che con pali di metallo, con 3 fili di acciaio zincato disposti a 60,120,180 centimetri da terra, per favorire lo sviluppo dei palchi.
Fig. 2. Impianto di L.barbarum con sostegni in legno. (fonte http://www.consorziogojiitalia.it).
Nei mesi che vanno da novembre a gennaio si eseguiranno le operazioni di potatura: la pianta fruttifica esclusivamente sui rami di un anno, quindi sarà necessario eliminare i rami più vecchi favorendo il rigetto di rami giovani; è consigliabile lasciare 4-5 speroni di 30- 50 cm di lunghezza per palco. Altra pratica consigliata è l’eliminazione dei polloni e dei succhioni verticali con troppa vigoria da effettuare in primavera. Questa pratica serve a favorire l’emissione di nuovi rametti laterali, destinati alla produzione di fiori e frutti. Nel mese di gennaio è opportuno apportare alcune dosi di concime che può essere pollina (circa 80-100 grammi a pianta) o letame pellettato o essiccato (da 100 a 120 grammi a pianta). In primavera, al fine di assicurare uno sviluppo rigoglioso, verrà effettuata una concimazione con un concime ricco di azoto e potassio nella dose di 40-50 grammi per pianta. Nel periodo estivo, soprattutto nei primi anni successivi all’ impianto, è opportuno irrigare, mentre a partire dal 3-4 anno dall’impianto, è possibile limitare gli apporti di acqua ai soli periodi di stress idrico. L’impianto di irrigazione più efficace e con ridotto spreco idrico è sicuramente il ‘goccia a goccia’. La produzione media di una pianta di 3-4 anni è di circa 1 kg di bacche fresche. Da un punto di vista patologico, L.barbarum risulta suscettibile all’oidio che non causa però gravi danni.Gli insetti invece più dannosi sono gli acari e gli afidi; nell’ultimo anno si è dimostrata dannosa anche la Drosophila suzukii ,con attacchi però ridotti a piccoli appezzamenti. A livello commerciale questo frutto, ha subito negli ultimi anni un vero exploit: viene consumato prevalentemente essiccato ma non mancano preparati come marmellate e succhi. L’essiccazione prevede che la bacca raccolta venga lasciata essiccare due giorni al sole e successivamente immessa in essiccatori a 40 C°; si ottiene cosi la bacca essiccata che può essere gustata così come è, oppure unita a insalate e yogurt. A livello nutrizionale il Goji viene definito dai cinesi come pianta dell’eterna giovinezza: oltre ad essere ricco di zuccheri e sali minerali, presenta elevati tenori di antiossidanti (di gran lunga superiore al mirtillo, all’arancia e al. cioccolato amaro) e carotenoidi, (soprattutto la zeaxantina), utile per la vista, per proteggerci dalle radiazioni dannose del sole e possiede infine, una forte azione di protezione nei confronti dei radicali liberi, molecole assai dannose per il nostro organismo. In Italia il Goji è il superfrutto più conosciuto e coltivato: possiamo annoverare tra le aziende italiane che lo coltivano Goji Capo, una delle prime aziende a coltivare Goji in Italia,Bio Fattorie Toscana (unica azienda al mondo che segue il metodo Demeter con prodotto finali con livelli di zeaxantina superiori ai migliori prodotti cinesi), Lykion e Suedtirol Goji. È preferibile, per concludere, acquistare bacche italiane, vista che a differenza di quelle cinesi (la Cina è il produttore mondiale numero un per il Goji) risultano mediamente con residui di pesticidi nulli o assai minori.
Maqui
Altro superfrutto degno di nota, è sicuramente il Maqui (Fig.3). La pianta è originaria del Sud America, più precisamente della foresta pluviale di Valdivia in Cile, ed è pressoché sconosciuta a noi europei: la sua coltivazione avviene quasi esclusivamente in Sud America che però ricava la maggiore parte del prodotto immesso nel mercato raccogliendolo nelle foreste pluviali; giunge a noi, come polvere o come bacche essiccate. Gli unici tentativi europei di coltivazione sono avvenuti in Inghilterra e Spagna, con risultati quanti-qualitativi deludenti.
Fig. 3. Una piantagione di Maqui nel nord del Cile (fonte http://www.utalca.cl).
Il Maqui, il cui nome scientifico è Aristotelia chilensis, che cresce spontaneo in terra cilena e in Patagonia (Argentina). È un albero sempre verde, dioico, che raggiunge i 4-5 metri di altezza. Le sue foglie sono di un verde brillante, alterne, coriacee al tatto, con una venatura centrale evidente e lo stelo rosso (con lunghezza di 1,5-2 cm), con forma ellittica e bordo seghettato (Fig.4). Il fusto è di colore bianco, con corteccia liscia e vi si ricavano spesso strumenti musicali. I rami si presentano sottili e di colore bianco verdastro. Il fiore sia maschile che femminile, si presenta di colore colore giallognolo, con 5-6 petali per fiore (Fig.4).
Fig.4. Nelle prime due foto fiori di Maqui; nella terza immagine è possibile intravedere le foglie con stelo arrossato (fonte http://www.infor.gob.cl).
Il frutto è una bacca con dimensioni che vanno dai 5 ai 6 millimetri, di colore nero-porpora a maturazione completa, con polpa dolce (Fig.5); in ciascun frutto si trovano dai 2 ai 4 semi di circa 5 mm di larghezza.
Fig. 5. Le diverse fasi di maturazione della bacca di A.chilensis : da destra bacca che si prepara all’invaiatura , bacca a circa metà maturazione e infine bacca completamente matura. (fonte http://www.infor.gob.cl).
La coltivazione del Maqui è ad oggi poco esplorata e per lo più riferita ad ambienti che si trovano in Argentina e Cile. Si può comunque dire che il maqui predilige terreni con un pH leggermente acido, non eccessivamente profondi, ricchi di sostanza organica. Soffre le temperature basse ed ama i climi molto umidi che possono garantirgli un buon apporto idrico. Ha un’ottima capacità di riprodursi: la maggior parte delle piantagioni sono ottenute tramite talea, mentre il seme è pressoché inutilizzato; le piantine (Fig.6) vengono impiantate con sesti di impianto di 2 metri sulla fila e 4-5 metri tra le file.
Fig.6. Le varie fasi per ottenere le piantine da impiantare: la prima fase la raccolta della talea con almeno 4 foglie, la seconda la formazione del callo e la terza con avvenuta radicazione. (fonte http://www.infor.gob.cl).
È opportuno ricorre a concimazioni organiche annuali, da effettuare nei mesi antecedenti alla fioritura. I fiori fioriscono da ottobre a novembre in Sud America, mentre in Europa da marzo a maggio; sono impollinati dal vento ma anche dagli insetti soprattutto dei generi Apidae e Halictidae, e la fruttificazione avviene tra dicembre e gennaio in America del Sud ed in Europa da giugno a luglio. La pianta comincerà a produrre a partire dal 4 anno di età ed è stimato che la produzione ammonta a circa 10 kg per una pianta di sette anni. La raccolta è effettuata esclusivamente a mano, con una raccolta giornaliera per operaio di circa 4 kg di bacche. La potatura, che avviene subito dopo la raccolta, non necessita di particolari interventi, se non quelli di rimozione del legno vecchio e dei polloni che crescono numerosi e vigorosi. Sotto il profilo patologico, A.chilensis è suscettibile in particolare modo ad un fungo deuteromicete, Macrophomina phaseolina, che degrada molto rapidamente i tessuti tra fusto e radice e provocando una tipica colorazione nerastra nelle zone colpite. Non sono infine trascurabili i danni di insetti defogliatori, soprattutto quelli del genere Polythysana, che con la loro azione, riducono in maniera drastica la superficie fotosintetizzante.
Aronia
L’Aronia, è un genere di piante appartenente alla famiglia delle Rosaceae. La varietà più coltivata è l’Aronia melanocarpa ma fanno parte della famiglia anche l’Aronia arbutifolia (con bacche di colore rosso) e l’Aronia prunifolia (con bacche viola). È un genere di piante originario del Nord America e introdotto in Europa dal biologo russo Ivan Mičurin. Ad oggi viene consumata molto nei paesi dell’Est Europa, soprattutto Polonia e Russia sotto forma di marmellata o come succo; è conosciuta per il suo alto indice di polifenoli e antiossidanti e per il suo sapore gradevole.
Fig.7. Bacche di A.Melanocarpa (fonte https://twin-cities.umn.edu)
A.melanocarpa è un arbusto di piccole dimensioni (1,5-2 metri), a foglia caduca e con una vegetazione molto fitta; presenta gemme di colore rosso, piccole e tondeggianti.Le foglie sono verde chiaro, di forma ovale, con margine lievemente seghettato ed in autunno si colorano di rosso, a causa dell’elevata sintesi di polifenoli. Il fusto si presenta di colore grigio-marrone, portante rami di diametro poco elevato. Ha infiorescenza a corimbo, contenente in media dai 20 ai 25 fiori, i quali, sono larghi circa 1 centimetro, sono ermafroditi, con 5 petali bianchi e antere rosa (Fig.8). Il frutto è una bacca di colore blu-nero, largo dagli 0,5 ai 0,7 centimetri e si trova riunito in grappoli penduli.
Fig.8. Fiori di A. Melanocarpa (fonte https://twin-cities.umn.edu)
Dal punto di vista della coltivazione, A.melanocarpa, esige un clima freddo, fruttificando in regioni, come ad esempio la Russia o la Scandinavia, che presentano condizioni climatiche proibitive per la maggior parte delle piante. Sotto il profilo edafico, non presenta esigenze particolari : predilige infatti terreni di medio-impasto e fertili, ma si sviluppa bene anche in terreni sabbiosi dove è però utile porre all’interno della buca di impianto, una buona dose di terriccio; ha una spiccata resistenza ai terreni salini, tollera bene pH alcalini e trova il suo optimum di sviluppo in terreni con pH leggermente acido. Per l’impianto è utile partire da talee radicate, poiché si accorcia non di poco il processo di produzione: una pianta comincia ad essere produttiva al terzo anno di età. Al momento dell’impianto, in ambienti secchi o con scarsità d’acqua in molti periodi dell’anno, sarà utile incorporare un sistema di irrigazione: l’A.melanocarpa non sopporta la siccità prolungata, poiché possiede un apparato radicale molto superficiale; sono inoltre da evitare, ristagni idrici, che causerebbero asfissia radicale e una perdita prematura delle foglie.La fioritura avviene in primavera ed ha una durata di circa due settimane : è durante questo periodo che è consigliato provvedere alla concimazione, con letame pellettato, oppure con un concime in grado di apportare una buna dose di potassio; la completa maturazione è raggiunta in estate, circa tre mesi dopo la fioritura, e la raccolta dei frutti viene fatta esclusivamente a mano, al fine di preservarne la qualità.Successivamente, prima del riposo vegetativo, viene effettuata la potatura: questa risulta essere un’operazione fondamentale, vista la vegetazione molto fitta che si trova soprattutto nella chioma; dovranno essere eliminati i succhioni che si trovano all’interno della pianta, e i rami che hanno fruttificato andranno tagliati a metà, per favorire il rigetto. Le cultivar maggiormente conosciute sono sicuramente la Viking, per la produzione di grosse bacche e la Autumn Magic, molto ornamentale e dalle vivaci colorazioni autunnali.
Sotto l’aspetto patologico, l’A.melanocarpa non risulta suscettibile ai più comuni patogeni a parassiti; risulta unicamente sensibile al colpo di fuoco batterico, pericolosa patologia in grado di causare la morte dell’intera piantagione se non viene tempestivamente individuata. Teme, infine, l’azione dell’Ozziorinco, insetto defogliatore comune in Italia. Sotto il profilo nutrizionale, i frutti risultano essere un’ottima riserva di flavonoidi, fibre e vitamine (C, B1, B2). Risultano un vero toccasana contro la iperglicemia e le malattie cardiache.
Fig.9. Impianto di A.melanocarpa in Canada (fonte https://twin-cities.umn.edu)
Flavio Rubechini, diplomato presso l’ISS B. Ricasoli di Siena come perito agrario specializzato in viticoltura ed enologia, ha lavorato per aziende sia viti-vinicole che ad indirizzo misto in Veneto, Toscana e Sicilia. Si è specializzato nei superfrutti, dalla loro coltivazione alla loro commercializzazione, e ha seguito corsi della Massey University in Nuova Zelanda. Attualmente è studente in Scienze agrarie presso l’Università di Pisa. E-mail: flaviorubechini@icloud.com