di Rossana Negretti
L’agricoltura contribuisce in modo non trascurabile all’inquinamento ambientale; l’inarrestabile crescita demografica, però, comporta la necessità di incrementare ulteriormente la produzione agricola e zootecnica per soddisfare i fabbisogni alimentari della popolazione del pianeta. Anche il settore zootecnico, facendo largo uso delle materie prime prodotte in agricoltura e producendo inquinanti che derivano dalle attività di allevamento e di gestione delle deiezioni prodotte, è oggi chiamato a valutare in maniera oggettiva l’efficienza dei propri processi produttivi, al fine di sviluppare adeguate procedure di gestione aziendale che consentano di minimizzare l’impatto ambientale delle diverse produzioni animali.
Negli ultimi anni, diversi studi hanno affrontato la problematica dell’impatto ambientale dell’allevamento dei bovini da latte e da carne, dei suini, degli avicoli e di alcune produzioni da acquacoltura, ma poche ricerche sono state effettuate nell’ambito dell’allevamento del coniglio da carne, produzione zootecnica che in Europa, e in particolare in Italia, ha un’importanza economica non trascurabile.
L’obiettivo del presente studio è stato quello di valutare l’impatto ambientale di un allevamento intensivo di conigli da carne situato in Lombardia che, per dimensione aziendale e modalità di gestione, potesse essere rappresentativo dell’intera filiera di produzione italiana di coniglio da carne.
Il lavoro si è basato sulla raccolta dei dati produttivi di un’importante azienda cunicola della Provincia di Lecco mediante la messa a punto di un questionario molto dettagliato sottoposto in più riprese all’imprenditore.
L’azienda su cui è stato effettuato il presente studio è a ciclo chiuso ed è costituita da uno stabilimento adibito ai riproduttori e da uno adibito all’ingrasso. L’allevamento dei riproduttori è effettuato in quattro capannoni in cui, complessivamente, sono presenti 5160 fori-fattrice; sono inoltre presenti strutture per l’allevamento delle rimonte (circa 6200 animali/anno) e gabbie per la stabulazione dei maschi riproduttori (circa 130 animali/anno). Lo stabilimento di ingrasso, distante alcuni chilometri dal primo e strutturato in due differenti reparti, è provvisto di 39000 posti-ingrasso che consentono di realizzare una produzione complessiva 256000 conigli all’anno. Le fattrici e i maschi riproduttori sono stabulati in gabbie singole, mentre le rimonte e gli ingrassi vengono allevati in gabbie bicellulari. Il ritmo riproduttivo adottato è quello semi-intensivo con inseminazione della fattrice 11 giorni dopo il parto (intervallo interparto di 42 giorni); il ciclo di ingrasso ha una durata di circa 55 giorni (peso vivo medio alla macellazione uguale a 2,5 kg) e il numero di cicli di allevamento effettuati per anno è uguale a 6,6. L’azienda gestisce un grosso macello di proprietà che macella sia gli animali prodotti nelle proprie strutture di allevamento, sia un numero rilevante di conigli acquistati da altri allevamenti.
Per valutare l’impatto ambientale di tale attività è stato utilizzato il metodo Life Cycle Assessment (LCA), metodica oggi molto impiegata nel settore primario che permette di calcolare il consumo di risorse e di stimare le emissioni che possono determinare effetti negativi sulle acque, sull’aria e sul suolo. Le emissioni sono state determinate a partire dalle informazioni raccolte in azienda e mediante l’utilizzo di equazioni proposte dall’International Panel on Climate Change (IPCC) e dall’European Environment Agency (EEA). Il calcolo dell’impatto ambientale dei diversi settori di produzione (Riproduttori, Rimonta, Ingrasso e Macellazione) è stato effettuato mediante l’utilizzo di un software specifico (SimaPro 8.0.3) in grado di determinare, in funzione del processo produttivo attuato in azienda, diverse categorie di impatto. Fra queste, particolare importanza è stata attribuita alle seguenti categorie: Global Warmig Potential – GWP (kg CO2 eq), Acidification – AP (g SO4 eq), Eutrophication – EP (g PO4 eq), Ozone layer depletion – ODP (g CFC-11 eq), Photochemical oxidation (g C2H4 eq), Energy use (MJ) e Land use (m²/anno).
Le categorie sono state rapportate dapprima ai chilogrammi di peso vivo prodotto in azienda e, successivamente, ai chilogrammi di carne in uscita, come carcassa, dal processo di macellazione.
I risultati medi di impatto sono stati, rispettivamente per i chilogrammi di peso vivo e per quelli espressi su chilogrammo di carcassa, i seguenti: 5,8 e 8,3 kg CO2 eq (GWP); 67,8 e 97,6 g SO4 eq (AP); 36,5 e 53,0 g PO4 eq (EP); 0,00028 e 0,00041 g CFC-11 eq (ODP); 0,94 e 1,40 g C2H4 eq (Photochemical oxidation); 33,0 e 47,9 MJ (Energy use); 11,4 e 16,5 m²/anno (Land use).
Complessivamente, il settore ingrasso è risultato essere il maggior responsabile degli impatti dell’allevamento preso in esame (58,5% del totale), mentre il settore dell’allevamento dei riproduttori e quello delle rimonte hanno fatto registrare impatti decisamente inferiori (25,5 e 15,8%, rispettivamente). La fase di macellazione, come atteso, ha invece contribuito in modo decisamente marginale, con una percentuale prossima allo 0,2%.
Un’analisi più specifica dei diversi impatti ha permesso di stabilire che alla produzione e al trasporto delle diverse materie prime utilizzate per la fabbricazione degli alimenti è imputabile l’89% dell’Energy use, l’88% dell’ODP, il 79% del Land use, il 78% del Photochemical oxidation e il 76% del GWP. La produzione di alcune materie prime, quali la farina di estrazione di semi di soia, l’olio di soia (brasiliani) e l’olio di palma (prodotto in Malesia), impatta anche a causa del land use change. Anche la gestione delle deiezioni (sia nella fase di produzione, sia in quella di stoccaggio) ha influito significativamente sull’impatto ambientale dell’azienda, incidendo per più del 70% sull’acidificazione totale determinata dal processo di produzione del coniglio e per oltre il 50% sull’eutrofizzazione imputabile allo stesso.
Le sostanze che hanno maggiormente contribuito a determinare il Global Warming Potential sono state l’anidride carbonica che rappresenta il 58,3% del totale, il protossido d’azoto e il metano, rispettivamente con percentuali uguali al 29,1 e al 12,6 del totale. L’Acidificazione è risultata essere influenzata principalmente dall’ammoniaca (83,6% del totale), composto che ha anche svolto un ruolo piuttosto importante sull’eutrofizzazione alla quale ha contribuito per circa il 39%. I nitrati, invece, sono risultati essere i maggiori contribuenti al fenomeno dell’eutrofizzazione (44,8% del totale).
Una comparazione con le altre specie zootecniche allevate in modo intensivo ci ha permesso di evidenziare che l’attuale sistema di produzione del coniglio da carne risulta avere un impatto ambientale maggiore, in tutte le categorie considerate, di quello imputabile ai monogastici non erbivori (quali il broiler e il suino), mentre risulta complessivamente più efficiente rispetto all’allevamento dei bovini e del rombo.
Per limitare l’impatto ambientale dell’allevamento cunicolo, poiché dai risultati del presente studio emerge quanto pesi in tal senso l’alimentazione, potrebbe essere opportuno considerare di ridurre il contenuto proteico della razione somministrata agli animali nella fase di ingrasso e di moderare il ricorso, nella formulazione delle diete da accrescimento, a materie prime come la farina di estrazione di soia, l’olio di soia e quello di palma. Anche una moderata restrizione alimentare che non deprima eccessivamente le performance di crescita degli animali, potrebbe portare, come già verificato in uno studio di recente pubblicazione, ad una diminuzione degli impatti ambientali complessivi dell’allevamento del coniglio da carne. Tali proposte, però, non devono far dimenticare quanto risulti importante lavorare in allevamento per contenere la mortalità nella fase di accrescimento, per ottimizzare le performance di crescita degli animali e per ridurre l’indice di conversione alimentare, oltre che per diminuire, attraverso opportune pratiche gestionali, le emissioni provenienti dalle deiezioni prodotte in azienda.
Sintesi della tesi di laurea magistrale in Scienze agrarie presso l’Università Statale di Milano
“Applicazione della metodologia Life Cycle Assessment alla produzione del coniglio da carne”
Candidata: Rossana Negretti
Relatore: prof. Ivan Toschi
Rossana Negretti, laureata in “Valorizzazione e tutela del territorio e dell’ambiente montano” a Edolo (distaccamento dell’Università Statale di Milano), ha conseguito la laurea magistrale in “Scienze Agrarie” presso l’Università Statale di Milano. E-mail: rossana_negretti@libero.it