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di Vittoria Capei Chiaromanni

Dagli anni ’80 è iniziata una nuova fase nell’evoluzione dell’immagine usata dal linguaggio pubblicitario. Oggi stiamo vivendo in quella che viene definita “società dell’immagine”. Anche il settore del vino ne è stato influenzato ed è così che l’etichetta ha assunto un ruolo nuovo e di grande importanza nel “fare vino”. E’ nata anche una nuova e specifica figura professionale: “designer specializzata in etichette alimentari” o “brand designer for wine”.

L’etichetta ha la funzione di informare il cliente circa il prodotto e comunicare un’immagine; è parte integrante del packaging e rappresenta una leva competitiva strategica per l’impresa produttrice.
Molti produttori, soprattutto i più piccoli, ancora, sfortunatamente, non hanno capito e inteso l’importanza che oggi ha l’immagine e il packaging in generale e continuano a puntare esclusivamente sulla qualità dei loro prodotti: giusto ma non basta più.

Nei supermercati, nei negozi specializzati, sugli scaffali troviamo tantissime bottiglie di vino occorre quindi che il prodotto catturi la nostra attenzione, susciti la nostra curiosità e sia facile da memorizzare: l’etichetta sarà il biglietto da visita dell’azienda produttrice. Molti sono gli stessi consumatori che non nascondono di scegliere il vino proprio in base all’etichetta mentre fino a qualche anno fa la scelta avveniva principalmente sulla notorietà del luogo di produzione.
Non esiste un’etichetta perfetta e universale: oggi si vende in tutto il mondo quindi ogni paese va gestito in modo diverso. Un’etichetta per essere giusta e corretta deve dare alla vista le seguenti informazioni: il vino contenuto in bottiglia, la storia e le caratteristiche dell’azienda produttrice. Le etichette poi dovranno rinnovarsi nel tempo così da non diventare banali e noiose. Inoltre, tanto per fare degli esempi di cosa piace o non piace agli altri Paesi: il mercato americano ama lo stemma, il cavaliere ed il castello mentre il mercato cinese preferisce etichette di formato medio grande con riferimento all’antichità, la rovina di un castello, una moneta o immagini che richiamano al simbolismo mistico assolutamente non religioso.

Molti sono anche i produttori che scelgono di affidarsi ad “etichette d’autore”; ovvero commissionano la creazione dell’etichetta a veri e propri artisti poiché il vino è anche questo: un’opera d’arte. L’etichetta  come opera d’arte è stata usata da alcuni produttori come vera e propria strategia di marketing.
L’idea del binomio vino – arte è iniziata in Francia nel 1924 da Philippe de Rotschild che incaricò l’artista Jean Carlu per creare l’etichetta alle bottiglie Chateau Mouton dello stesso anno. Questo esperimento venne poi interrotto per poi essere ripreso nel 1945 quando, per celebrare la fine della Seconda guerra mondiale, la casa vinicola premier cru bordolese commissionò a Jean Oberle la seconda etichetta d’artista. Per citare poi solo alcuni dei grandi artisti che nel tempo hanno collaborato con la rinomata cantina francese Chateau Mouton Rotschild: Dalì, Mirò, Picasso, Warhol etc.
In Italia ha acquisito questa pratica solo intorno agli anni ’70 quando cioè il vino è diventato anche oggetto culturale e simbolo di identità territoriale e familiare. Oggi sono moltissime le aziende che scelgono di usare questa pratica nella creazione delle loro etichette.

Che ci si affidi ad artisti o ad esperti del settore, occorre che tramite l’etichetta si crei un rapporto  di fedeltà e fiducia tra il consumatore e la marca ed è anche per questo che sempre più frequentemente sentiamo parlare di “brand equity”: il patrimonio di valori e assetti sintetizzati da una marca. Tale concetto ha contribuito a sviluppare la considerazione secondo la quale una strategia di marketing deve necessariamente essere integrata e coerente con le politiche di branding. Il brand è fondamentale nella scelta di un prodotto facendo da filtro nel consumatore che si trova a dover scegliere tra numerose bottiglie di vino. Nel 1993 Keller ha ideato il modello CBBE (Customer based brand equity) che sottolinea diversi vantaggi che la notorietà della marca comporta per il consumatore: vantaggi di apprendimento, vantaggi di considerazione, vantaggi di scelta.

Il marketing del vino dovrà soddisfare tre esigenze: soddisfare il consumatore, promuovere il benessere della società e portare profitto all’azienda produttrice.
Va poi ricordato e sottolineato che fare un buon vino rimane comunque necessario. Una bella etichetta altrimenti porterà alla vendita del prodotto nel breve periodo ma non farà scegliere una seconda volta tale prodotto al consumatore.
Per un vino di successo sarà necessario avere qualità al gusto e alla vista.

Scaffale Vino COOP - Viale Italia 51 - 20099 Sesto San Giovanni (MI)Scaffale di vini (fonte www.goodwines.tips)


Vittoria Capei Chiaromanni
, dottoressa triennale in “Comunicazione, media e giornalismo” e dottoressa magistrale in “Strategie della comunicazione pubblica e politica” presso l’Università degli studi di Firenze. Specializzata in “Marketing, comunicazione e pubblicità” presso l’ Istituto Europeo di Design – Roma, ha svolto sul settore del vino la propria tesi di laurea dal titolo: “Il vino toscano tra tradizione ed innovazione. Il ruolo dell’azienda Marchesi Antinori”. vittoria.capei.c@gmail.com

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