di Marco Sollazzo
Una procedura sottovalutata ma fondamentale nel migliorare la produzione casalinga di vino è il controllo analitico del vino presso un laboratorio specializzato. Le informazioni raccolte hanno lo scopo di intervenire in maniera mirata sul vino, evitando l’uso e abuso di additivi, a volte superflui, che ne compromettono le qualità organolettiche del vino. Secondariamente i risultati delle analisi permettono al produttore di migliorare e conservare al meglio il vino prodotto nel corso degli anni.
Tutte le analisi devono essere riportate dal laboratorio con la rispettiva unità di misura e con la metodica utilizzata per la determinazione del risultato, poiché alcuni strumenti risultano più accurati e presentano meno margine di errore. In ogni caso, è interesse del cliente richiedere entrambe le informazioni al laboratorio consultato per interpretare meglio i risultati.
Una volta acquisiti i dati analitici è bene consultare uno specialista del settore (preferibilmente esterno al laboratorio chimico), per scegliere come ottimizzare le eventuali addizioni al vino senza snaturarlo ed evitare il rischio di errori irreparabili dovuti al “fai da te”.
Quando e quali analisi da richiedere al laboratorio
Professionalmente parlando, le analisi chimiche sono necessarie in ogni step del processo produttivo: dal monitoraggio delle uve durante la loro maturazione, alla fase di mosto, dopo la fermentazione alcolica, dopo eventuali correzioni, prima dell’imbottigliamento ed una volta che il vino è stato imbottigliato. Un produttore hobbistico, producendo generalmente poche centinaia di litri, deve necessariamente trovare un compromesso tra il controllo della qualità del vino ed il costo da sostenere. La spesa risulta relativamente economica se consideriamo che un analisi per campione di vino, costa tra i 10 e i 15 euro.
Partendo da questo riflessione, verranno in seguito illustrate solo le analisi comunemente eseguite nella maggior parte delle produzioni hobbistiche, senza allargare il discorso su analisi più mirate e adottate per una produzione più professionale.
Qualsiasi campione di uva, di mosto o di vino per essere analizzato correttamente deve essere rappresentativo ed omogeneo. Per avere dei risultati accurati, le analisi devono essere eseguite lo stesso giorno del campione raccolto.
– Nelle uve, il grado zuccherino dell’uva e l’acidità totale, rappresentano ancora i parametri più utilizzati per decidere l’epoca di raccolta. Il monitoraggio delle uve può essere fatto solo parzialmente da un hobbista attraverso l’uso di rifrattometro portatile per il controllo zuccherino dell’uva. Il valore dell’acidità totale può essere richiesto attraverso analisi di laboratorio. I profili di maturazione delle uve possono essere molto diversi, a seconda della varietà, del suolo, dell’annata, ecc.
– Nel mosto, il grado zuccherino viene ottenuto mediante l’uso di densimetro (il più comune è il mostimetro Babo). Il risultato del grado babo deve essere corretto alla temperatura di riferimento e poi conseguentemente è possibile ottenere una stima del grado alcolico potenziale con l’uso di apposite tabelle (fig.1).
Fig.1 – Utilizzo di un mostimetro babo e della lettura dell’alcool potenziale attraverso grado babo letto a 20°C.
– Nel vino, dopo la fermentazione, le analisi generalmente richieste presso un laboratorio specializzato comp r e n d o no:
1) Alcool: ossia è la misurazione della gradazione alcolica del vino. E’ un parametro fondamentale richiesto dal consumatore e offre al produttore un’idea della stabilità chimico-fisico e microbiologica del vino.
2) Acidità totale: è la misurazione degli acidi titolabili a pH 7 presenti nel vino. Tale valore è molto importante perché esso costituisce parte fondamentale di un corpo del vino, della sua freschezza e del suo potenziale invecchiamento.
3) Acidità volatile: è la misurazione della frazione degli acidi volatili presenti nel vino, in particolare dell’acido acetico (è un parametro di qualità del vino). Tale valore incrementa con la quantità di aria a cui è a contatto il vino: sopra ad 1 g/L il vino non può essere commercializzato ed ha come destinazione merceologica l’acetificio. Per prevenire valori alti di acidità volatile occorre seguire le buone pratiche enologiche, atte ad evitare il contatto prolungato del vino con l’aria e aggiungendo dosi minime ma necessarie di solforosa.
4) Solforosa totale: indica la quantità totale di solfiti presenti nel vino. Per legge, i limiti massimi ammessi sono 160 mg/L nei vini rossi e 200 mg/L nei vini bianchi. Anche i ceppi di lievito, con il loro metabolismo, possono incrementare il valore finale.
5) Solforosa libera: è la misurazione della frazione libera della solforosa. Solo la solforosa molecolare, una piccolissima percentuale della solforosa libera, svolge efficacemente un’azione antiossidante e antimicrobica all’interno del vino. La solforosa libera è importante perché da essa dipende il buono stato di conservazione del vino, poiché protegge il vino quando questo è esposto all’aria per i travasi e le diverse operazioni enologiche (vedi articolo “I solfiti in enologia” – TerrAmica num. 2).
Tab.1 – Tabella riassuntiva dei principali parametri necessari per valutare la composizione chimica del vino.
*Il range medio consigliato è riportato per un vino fermo secco dopo essere stato imbottigliato.
6) pH: è la misurazione della concentrazione idrogenionica all’interno del vino. E’ un parametro che regola diversi equilibri, come il rapporto della solforosa totale e libera, l’ecologia microbica all’interno del mosto e del vino (quindi della possibile riuscita della fermentazione malo lattica), etc. Generalmente il vino bianco ha un pH compreso tra 3-3,3 mentre un rosso ha un pH più alto compreso tra i 3,3 e 3,5. Valori più alti possono compromettere la qualità del vino e l’insorgere di alterazioni microbiologiche (tab.1).
» Articolo tratto dalla Rivista TerrAmica – num. 5 Luglio 2016 «