di Giovanni Canu
Nell’allevamento bufalino moderno, si incontrano sempre più spesso, problematiche di gestione della fase di lattazione delle bufale primipare. Problemi come latte non rispondente alle richieste del caseificio, prematura caduta del picco di lattazione e difficoltà all’ingravidamento in tempi rapidi nel primo “post parto” sono all’ordine del giorno e solo un approccio a 360 gradi che comprenda una attenta analisi della situazione aziendale in materia sanitaria, nutrizionale e manageriale, può darci le risposte a tali inconvenienti.
Infatti ogni problema si presenta con una multifattorialità di fondo, dove non c’è mai una sola causa scatenante quanto piuttosto un insieme di errori come ipotizzato, in ambito alimentare, sanitario ed, appunto, di gestione.
Dopo aver superato la difficilissima fase dell’allattamento e del successivo “salto” da alimentazione liquida ad alimentazione esclusivamente solida, la bufala, ormai ruminante a tutti gli effetti, si avvia verso le successive fasi di ingravidamento e parto.
La lattazione alla quale la bufala primipara va incontro, è naturalmente, la più difficoltosa da affrontare per una serie di motivi:
- Il soggetto che partorisce intorno ai 28-30 mesi di età è ancora in fase di accrescimento;
- La mammella va incontro al primo ciclo di produzione;
- L’apparato digestivo della bufala si appresta nel giro di pochi giorni a gestire alimenti mai incontrati prima.
Questi aspetti, di per sé, non costituiscono particolari ostacoli da superare se non fosse che da questi animali al primo parto ci si aspetta una carriera lunga e ampiamente redditizia sin da subito. Aspetto redditività che va valutato in tutte le sue varianti che sono:
- Quantità di latte prodotto;
- Qualità del latte prodotto;
- Facilità di mungitura espressa in minutaggio trascorso in sala e quantitativi di ossitocina somministrati;
- Tempi di involuzione uterina e successivo (rapido) nuovo ingravidamento.
Per quantità di latte sappiamo bene che una bufala con 20 quintali di latte prodotto in 270 giorni di lattazione sarà meno redditizia di una con 25 quintali , e che magari una bufala, a parità di kg di latte ceduto, sarà meno valida se avrà prodotto latte meno ricco in grassi e proteine.
Non tenendo conto delle esigenze di destagionalizzazione con blocco forzato dei concepimenti, possiamo affermare che una bufala che si ingravida nuovamente tardi (ad esempio dopo 180 gg dal parto) darà minor reddito di una ben al di sotto come qualità e quantità di latte ma che si ingravida dopo 60 giorni dal parto.
Portando un esempio numerico concreto, corredato da dati quanto più possibile precisi, possiamo riassumere come segue l’andamento della prova. La bufala che si ingravida a 180 giorni dal parto, nel caso dovesse rispettare tale intervallo temporale anche nei parti successivi, giungerebbe ad un secondo, terzo e quarto parto ogni 490 giorni circa. (180 giorni del periodo parto-concepimento vanno sommati ai 310/315 gg di gravidanza).
La bufala che si ingravida ogni 60 giorni post parto invece, giungerebbe al parto successivo ogni 370 giorni circa.
In conclusione dopo soli tre parti della bufala con intervallo parto concepimento lungo, la bufala che si ingravida prima ci darà un vitello in più! Ed avrà insistito per un numero maggiore di giorni nella zona di maggior spinta produttiva della lattazione, ossia i primi 30-70 giorni!
Come accennato, anche la facilità ad essere munta è un parametro in grado di determinare un incremento o un decremento di redditività…animali difficili, sempre bisognosi di ossitocina per rilasciare il latte rendono le operazioni in sala di mungitura complesse e lente.
Vediamo, adesso, come cercare di far combaciare tutte i tasselli del mosaico, al fine di avere una prima lattazione lunga con un buon picco di produzione ed una persistenza soddisfacente e con un intervallo parto concepimento quanto più breve possibile.
Le curve di lattazione, come quelle relative al tenore di grassi e proteine sono di facile lettura ed interpretazione ma sono comunque fattori fondamentali per iniziare a leggere i dati e trarne conseguenze su ciò che avviene in azienda. Importantissimo è, di conseguenza, anche valutare l’andamento della condizione corporea della bufala per i motivi che andremo a trattare.
Prima di analizzare in modo dettagliato la curva di lattazione di una bufala primipara, vediamo nello specifico come quest’ultima deve giungere al primo parto, in quali condizioni corporee e in che situazione metabolica. In cosa consiste, però, la difficoltà di analisi di una curva di lattazione di una primipara. O meglio, perché l’analisi di pochi capi primipari può non essere un campione rappresentativo della situazione globale in stalla. Questo avviene per un motivo molto semplice: mentre un campione di una decina di soggetti pluripari rispecchia quasi sempre la situazione della mandria, questo può non essere vero per quanto riguarda le bufale giovani.
Come ricordato, questi soggetti sono ancora in crescita, possono avere ritmi di accrescimento diversi l’un l’altro anche di tanto, e soprattutto non hanno ancora subito la selezione che opera l’allevatore per stabilizzare le produzioni verso uno standard uniforme (verso l’alto ovviamente). Per cui, mentre su 100 bufale pluripare standardizzate sui 25-28 quintali di latte sono già state scartate tutte quelle che avevano difficoltà a superare i 20 quintali, questo sulle manze, non avendo ancora partorito, non lo si è potuto ancora fare.
Analizzando le curve di lattazione di 5, 10 o 15 manze con lattazioni oltre i 23-24 quintali e ad una analisi globale della mandria si potrebbe riscontrare una enorme incongruenza sui dati, visto che saranno sicuramente comparse una ventina di manze con all’attivo meno di 17-18 quintali!
Oltre a fattori genetici che sicuramente incidono sulle performance produttive, questa altalena di risultati è da attribuirsi anche al fatto che in questi animali sia l’accrescimento totale che quello specifico del tessuto ghiandolare mammario sono lungi dall’essere completati. Questo si traduce in una enorme incidenza di fattori esterni sulla prima lattazione.
I piani alimentari pre parto, la fase di allattamento e la gestione della manza in accrescimento possono determinare enormi differenze. Ovviamente animali che hanno sofferto nei primi mesi di vita potrebbero arrivare al parto in condizioni non ottimali. E’ soprattutto il piano alimentare nel mese precedente il parto a fare la differenza. Ipotizzata una condizione corporea sovrapponibile in soggetti a circa 3 mesi dal parto non possiamo aspettarci partenze fulminee da animali sottoalimentati nell’ultima fase e determinante fase di asciutta.
Animali alimentati a paglia e pochi chilogrammi di cruscami quali tritello e farinaccio (o peggio con gli scarti fibrosi del carro da lattazione) non potranno mai competere con animali ai quali viene offerto un piatto unifeed completo con fieno polifita , paglia , 5/7 kg di silo mais allo stato ceroso ed una miscela di sfarinati composta da 1,0 kg di soia farina , 1,0 kg di mais, ed 1,0 chilogrammo di crusca oltre a 150/200 grammi di un buon integratore minerale con rapporto Ca/P di 1/3 fino ad 1/1, corredato da vitamine A,D ed E e da oligoelementi in forma chelata.
Figura 1
Analizzando una curva di lattazione di una manza da circa 22 quintali di produzione possiamo dedurre alcune considerazioni pratiche. Si noti come nelle prime 6 settimane la montata lattea porti il soggetto a toccare il picco di produzione. Picco che in questo soggetto ben alimentato in asciutta, e che non ha sofferto da lattante, viene mantenuto con buona percentuale di persistenza a lungo (intervallo tra i 12 ed i 10 litri mantenuto per diverse settimane).
Una volta ingravidato, all’incirca intorno al 60esimo giorno, il soggetto tende a ridurre la produzione con discese settimanali nell’ordine di pochi centinaia di grammi di latte, fino a chiudere la lattazione intorno ai 240 giorni.
Le manze difficilmente chiudono lattazioni oltre i 250 giorni, per via di apparati emuntori non del tutto formati e ad assetti ormonali instabili.
Interessante è analizzare il capitolo fertilità –produttività nelle manze, tenendo un occhio sempre al grafico. Animali partorienti tra gennaio ed aprile andranno sempre ingravidati convenientemente quanto prima dopo il parto. Questo perché un soggetto che si ingravida fino agli ultimi giorni di luglio, ad esempio, avrà nell’annata successiva i primi 60/70 giorni di lattazione tra giugno, luglio ed agosto, quindi in piena estate e con un prezzo del latte maggiormente favorevole. Se, addirittura si riuscisse ad ingravidare i soggetti che partoriscono a metà gennaio già per metà fine marzo od anche aprile, si potrebbe sperare di avere l’anno successivo un parto nuovamente in gennaio o febbraio con lo svilupparsi della lattazione totalmente con prezzo corrisposto per litro di latte più favorevole. Questo è ciò a cui puntare, e le aziende migliori riescono a ingravidare nuovamente il 50-70 per cento di manze da marzo fino alla fine dell’estate.
Ma dove risiede principalmente la difficoltà nel fare questo e come l’analisi della curva di lattazione può aiutarci a trovare il problema e una eventuale risoluzione. Per puntare a tassi di fertilità elevati vanno assolutamente evitati errori di razionamento alimentare.
Per prima cosa durante i primi due mesi di lattazione si dovrebbe evitare che gli animali benché salgano con la produzione in modo abbastanza uniforme, vadano incontro ad un calo qualitativo della composizione del latte. Ad esempio tenori percentuali di grasso tra 6,80 e 7,50 e di proteine tra i 4,00 e i 4,40 devono far scattare una verifica in azienda. Può essere che una razione con tenore in NDF del 40-43% sia adatta a produrre latte ottimo nelle pluripare, ma nelle manze un rapporto così largo tra amidi, proteine e fibra risulti poco adatto a soggetti ancora in accrescimento. La migliore soluzione sarebbe isolare il gruppo delle manze innalzandone il tenore proteico oltre il 14% (anche fino a 16%) riducendo l’NDF sotto i 40%. Questo aiuta la manza a produrre latte, a farlo qualitativamente ottimo e a crescere. Una caduta repentina del picco oltre la percentuale mensile del 7-10% deve insospettirci; le verifiche da fare saranno anche e soprattutto di ordine gestionale.
I soggetti hanno accesso libero all’acqua? C’è spazio a sufficienza sul fronte di mangiatoia al fine di evitare competizione tra le manze o peggio tra le manze e le bufale più anziane? Troppo spesso strutture inadeguate penalizzano le prestazioni di questi soggetti mentre noi chiediamo al tecnico alimentarista o al veterinario di trovare una qualche spiegazione chimica al problema.
Una volta ottimizzati i piani alimentari (la razione per le manze va concentrata per via dell’accrescimento in corso e della concomitante scarsa assunzione di sostanza secca) possiamo cercare di approfondire il discorso fertilità. Iniziamo con il dire che nei giorni del periparto la bufala presenta una funzione immunitaria non al meglio delle sue possibilità. A cambiare è, ovviamente, anche la richiesta di nutrienti nel periparto.
Il dott. Overton e i suoi allievi hanno verificato un aumento della richiesta di glucosio del 267% nelle vacche tra il nono giorno pre parto e il ventunesimo giorno post parto. Richiesta dovuta all’aumento della gluconeogenesi epatica. Si è anche vista una richiesta raddoppiata in aminoacidi, quadruplicata in calcio e quintuplicata in acidi grassi (Bell, 1995, Horst et al., 1997).
I dati nella bufala sono ancora parziali e non hanno una bibliografia tanto storica. Soprattutto l’innalzamento delle richieste di nutrienti è molto alto in animali di livello genetico/produttivo molto spiccato come nelle vacche frisone. Questo nella bufala ancora non si verifica a questo livello ma di sicuro la partita, seppur in modo minore, si gioca su questi temi.
Ci viene in soccorso, per spiegare questa situazione, è il concetto di omeoresi inteso come distribuzione prioritaria dell’energia per soddisfare specifiche domande fisiologiche. In pratica possiamo fare l’esempio della coperta corta, insufficiente a coprire contemporaneamente in caso di freddo sia la testa (produttività) che i piedi (fertilità). Quindi l’elevata richiesta di principi nutritivi glucogenici come glucosio o acido propionico e forse amino genici come gli aminoacidi per la produzione di latte esita in un apporto insufficiente degli stessi principi per l’accrescimento del soggetto e cosa ancor più determinante, per il normale sviluppo dei follicoli.
Figura 2
Nel grafico di figura 2 si vede bene come nella zona cerchiata si verifica un fatto sintomatico della situazione. Alla crescita del livello della produzione (linea blu) non corrisponde un aumento conseguente dell’ingestione di nutrienti (linea rossa).
Infatti la manza bufalina benché anche nei soggetti a spiccatissima vocazione lattifera (25 quintali ed oltre in prima lattazione e picchi di 15 litri) limiti quanto più possibile la mobilizzazione delle riserve corporee di grasso, comunque tende a perdere peso (linea verde).
Nelle vacche il fegato preleva Acidi Grassi Non Esterificati in base all’apporto con la dieta ma (secondo Reynolds et al.,2003) non riesce a renderli completamente disponibili per l’export al flusso sanguigno ed al catabolismo energetico accumulandoli nel fegato. La bufala addirittura limita la mobilitazione dei grassi alla base del processo nel tentativo di mantenere quanto più possibile stabile la condizione corporea. Questo esita in situazioni di perdurante bilancio energetico negativo in quanto la lattazione cresce, l’ingestione non cresce di pari passo e il peso scende. Chimicamente si può verificare una riduzione delle concentrazioni ematiche di insulina, glucosio e IGF-1 con conseguente riduzione dei picchi di LH. Nel plasma aumentano anche GH, NEFA e BHBA con alterazione dell’attività ovarica.
Quindi, dando uno sguardo alla curva di lattazione (le sale di mungitura computerizzate possono darci riscontri giornalieri su questo) possiamo valutare l’entità del bilancio energetico negativo. Se perdura per troppo tempo (1 mese può fare la differenza) si possono verificare riduzione della frequenza pulsatile di GnRH e del rilascio di LH. Questo porta ad un ritardo netto dell’attività luteale nel postpartum che, magari, riprende quando il bilancio energetico si ristabilisce, verso metà lattazione, con l’aumento dell’ingestione di sostanza secca associato alla riduzione della produzione.
Ovviamente la curva di lattazione da noi presa in esempio era quanto mai ideale, infatti presentava un buon picco, una ottima persistenza ed un bilancio energetico negativo che ha inciso per poco tempo permettendo al soggetto di ingravidarsi a circa 60 giorni dal parto.
Quindi al fine di ottenere il massimo dalle nostre manze e permettergli di esprimere al meglio il loro potenziale genetico, vanno gestite attentamente già da piccole e quando sono a tre mesi di distanza dal primo parto isolate e sottoposte a regimi alimentari pensati per le loro mutate esigenze.
Una manza dovrà fare latte, farlo buono, accoppiarsi e, soprattutto, crescere. Se non riusciamo a gestire la sinergia tra fabbisogni alimentari e gestione manageriale della mandria rischiamo di far slittare enormemente i tempi in cui il nostro profitto maturerà. L’ analisi attenta della curva di lattazione può suggerirci dove e che tipo di problemi si stanno presentando e che contromisure mettere in atto per porvi rimedio.
Le foto del presente articolo sono state scattate dall’autore presso l’azienda agricola Vaina Piero.
Giovanni Canu, laureato in Scienze della Produzione Animale presso Università degli studi “Federico II” di Napoli, è iscritto all’albo dei Dottori Agronomi e Forestali della Provincia di Salerno. Dal 2004 è consulente in nutrizione animale per allevamenti intensivi sia in Italia che all’estero. Curriculum vitae >>>