La farina d’oro di Storo
di Marco Salvaterra
Il recupero delle antiche varietà e delle razze autoctone, la tutela della biodiversità in agricoltura, la salvaguardia delle produzioni tipiche sono oggi argomenti di uso comune, ma fino a non molto tempo fa erano di pochi, essendo i più travolti dal moderno, dalle varietà selezionate, dalla massima produttività.
La coltivazione del mais in Trentino
Il mais (Zea mays L.) è una specie di origine americana. Questo cereale ha accompagnato la nascita e lo sviluppo delle civiltà precolombiane del Centro e Sud America, analogamente a quanto è successo con il riso per l’Estremo Oriente e con il frumento per il Vicino Oriente. Dopo la scoperta dell’America arrivò subito in Europa ma la diffusione nel Vecchio Continente fu piuttosto lenta e per alcuni decenni il mais rimase una curiosità botanica.
Il nome mais deriva dalla parola mahiz con la quale gli indigeni incontrati da Cristoforo Colombo chiamavano questa pianta. Il nome granoturco ha origine nel Cinquecento; in quel periodo turco aveva il significato di straniero. Già nella prima metà del XVI secolo il mais si coltivava in Spagna, soprattutto in Andalusia. Si diffuse poi in Portogallo e nel sud-ovest della Francia e, verso la metà dello stesso secolo, la nuova coltura arrivò nell’Italia del nord. La fortuna del mais in Italia è legata alla Repubblica di Venezia e al suo declino come potenza marittima e commerciale. Venezia, dopo la scoperta dell’America, si interessò maggiormente alla terraferma e, attraverso bonifiche e messa a coltura di nuove terre, favorì la diffusione di nuove coltivazioni, tra le quali il mais che ben presto si espanse in tutte le province venete.
Il granoturco giunse in Trentino nel XVII secolo, sicuramente dal Veneto. La sua coltivazione si diffuse lentamente nelle zone di montagna, sostituendo altri cereali coltivati da tempi remoti (frumento, segale, avena, miglio). La maggiore espansione si ebbe negli ultimi decenni dell’Ottocento, un po’ in tutte le valli del Trentino, esclusa la val di Fassa, e la sua coltivazione era praticata a diverse altitudini, sino ai 1000 metri, anche in situazioni che ne rendevano difficile la maturazione. Nel corso dei secoli sono nate numerose varietà adatte ai molti ambienti di coltivazione: varietà, o meglio ecotipi, derivati dal lavoro selettivo congiunto dell’uomo e dell’ambiente. Il prodotto alimentare derivato dal mais, la polenta, diventò parte importante, se non esclusiva, della dieta alimentare (con una tendenza alla monofagia maidica, soprattutto nelle classi più povere della popolazione contadina, con conseguente comparsa della pellagra).
La diffusione di questa coltivazione in Trentino ha subito una forte contrazione già nel Primo dopoguerra. Alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, l’esodo dall’agricoltura, la specializzazione produttiva delle aziende, i mutamenti delle abitudini alimentari hanno portato ad una ulteriore riduzione, fin quasi alla scomparsa, delle varietà tradizionali di mais e del loro impiego nell’alimentazione umana. In parallelo si è sviluppata la coltivazione di mais ibridi ad uso zootecnico per la produzione di insilato. Nella bassa Valle del Chiese (Trentino occidentale) e precisamente nella zona di Storo, da secoli si coltivava una varietà locale di granoturco. Nel Secondo dopoguerra la diffusione dell’industria in questa zona ha impedito la specializzazione dell’agricoltura che invece si è registrata nelle altre valli trentine, favorendo il mantenimento, fino ad anni recenti, di un’agricoltura tradizionale che doveva soddisfare solo esigenze di autoconsumo.
La coltivazione veniva effettuata in piccoli appezzamenti da quasi tutte le famiglie e il raccolto macinato nel molino della “Famiglia Cooperativa”. La qualità della farina e il gusto particolare a cui i consumatori locali erano molto legati ha permesso a questa vecchia varietà di mais denominata “Nostrano di Storo” di essere salvaguardata dal sopravvento di colture molto più produttive che ne avrebbero determinato l’abbandono.
Storo – Spighe appese ai ballatoi
Il Nostrano di Storo
Come detto, nella bassa Valle del Chiese veniva coltivato un tipo di granoturco a cariosside vitrea di colore arancio brillante, così evoluto ed adattato all’ambiente nel corso dei secoli da diventare il più importante ecotipo locale sia a livello agro-ecologico che economico del Trentino. La posizione marginale della Valle del Chiese, lontana dalle più importanti vie di comunicazione e quindi di più difficile accesso alle nuove costituzioni (essenzialmente ibridi), ed il mantenimento fino ad anni recenti di un’agricoltura a ridotto impatto ambientale e legata alle tradizioni, ha permesso alla varietà di mais Nostrano di Storo di essere salvaguardata dal sopravvento di colture molto più produttive. Alcuni anni fa il Dipartimento di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali dell’Università degli Studi di Padova ha condotto uno studio sul mais Nostrano di Storo, studio che ha permesso un’accurata descrizione fenotipica e una mappatura genetica, volti non solo alla caratterizzazione del prodotto, ma anche a fornire basi scientifiche per la valorizzazione e la protezione rispetto ad ogni tentativo di frode.
La spiga è generalmente corta e sottile, con una lunghezza media di 17 cm, un diametro di 3 cm e con in media 14 ranghi. La produzione per unità di superficie è molto bassa; negli anni in studio (1997-1998) è stata di circa 39,5 q.li per ettaro contro 89,5 q.li per ettaro della produzione media italiana di mais. Il mais Nostrano di Storo è destinato al consumo umano, dove è importante il contenuto proteico, che generalmente è buono con 10,4 % di proteine. L’analisi della frequenza di alleli marcatori indica che il Nostrano di Storo ha origine dal Marano Vicentino, ma la contemporanea presenza di alleli rari assenti nella varietà veneta, dimostra che l’ecotipo trentino si è differenziato dal Marano Vicentino e che è una fonte di germoplasma di valore.
La coltivazione negli anni ’70 di ibridi commerciali per alimentazione zootecnica ha introdotto un importante fattore di contaminazione, ma grazie alla frattura farinosa di questi ibridi, carattere ben visibile rispetto alla normale vitrosità del mais Nostrano di Storo, gli agricoltori locali hanno potuto riconoscere il seme contaminato ed escluderlo sistematicamente dal materiale selezionato per la semina dell’anno successivo. Inoltre la selezione manuale del materiale ha permesso la conservazione dell’identità fenotipica della varietà locale.
Il Nostrano di Storo
La Cooperativa Agri90
Nel 1990 si è costituita a Storo la Cooperativa Agri90, con una trentina di soci guidati da Vigilio Giovanelli con lo scopo di rilanciare, valorizzare e commercializzare la farina ottenuta dalla varietà Nostrano di Storo. All’inizio erano 300 quintali, ma a poco a poco l’attività si è sviluppata, coinvolgendo nuovi soci e ampliando la superficie interessata alla coltivazione. Attualmente la Cooperativa Agri90 conta un centinaio di soci prevalentemente part-time che conferiscono la granella umida che la cooperativa provvede ad essiccare, stoccare, lavorare e commercializzare. Ogni anno vengono venduti più di 10.000 quintali di farina in tutto il Nord Italia.
Il metodo di coltivazione adottato dai produttori è di tipo integrato ed è regolato da un apposito disciplinare.
Raccolta manuale del Nostrano di Storo
Se fino a qualche anno fa nominando la farina gialla veniva subito alla mente la polenta, magari cucinata in modi diversi, adesso, dopo il boom di produzione venuto a seguito della promozione di Agri90, la musica è cambiata: la fantasia si è sbizzarrita. Oggi nei negozi di Storo e dintorni si trovano i biscotti di farina gialla, dolci e fragranti, mentre un fornaio ha lanciato addirittura il pane di farina gialla ed un caffè della zona vende perfino il gelato fatto con la farina gialla.
Sono tutti segnali che la dicono lunga sul gradimento del prodotto. Certo, vien da dire, peccato che il territorio abbia le dimensioni che ha. “No – sdrammatizza Vigilio Giovanelli – la piana di Storo ha ancora parecchia superficie libera, per cui la produzione può crescere. Non c’è dubbio, comunque, che un giorno ci fermeremo di fronte ad un limite territoriale: a noi sta bene così. Altrimenti che prodotto di nicchia sarebbe?”.
L’oro giallo di Storo
AGRI ’90 s.c.a.
Via del Sorino 60 – 38089 Storo (TN)
E-mail: info@agri90.it
Sito web: www.agri90.it
Riferimenti bibliografici
– M. Bertolini, R. Franchi, F. Frisanco – Il mais, una storia anche trentina – Istituto Agrario di San Michele all’Adige 2005;
– Alberto Andrioli – Mais di Storo, l’oro della Val del Chiese – L’Informatore Agrario 1/2012;
– Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Agronomia ambientale e Produzioni vegetali – Valorizzazione del mais “Nostrano di Storo”: mantenimento della popolazione e produzione della semente – Prof. Paolo Parrini, 2000.
Marco Salvaterra, laureato in Scienze agrarie presso la Facoltà di Agraria di Bologna, insegna Estimo ed Economia agraria all’Istituto Tecnico Agrario di Firenze. Curriculum vitae >>>
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