Il Vino Kosher
Un prodotto di “eccellenza” che non tutti conoscono
Di Marco Sollazzo
Per la produzione del vino Kosher occorre seguire le regole dettate dalla Bibbia ebraica, la Torah. La parola “Kosher” significa conforme alla legge, consentito.
Il vino Kosher è ampiamente conosciuto nel mondo, ma la produzione rimane limitata per i rigorosi standard di qualità che sono imposti dalla Bibbia ebraica, con un occhio particolare all’igiene e alla sanitizzazione.
Oggi giorno i vini kosher provengono principalmente da varietà internazionali quali Cabernet Sauvignon, Merlot, Shiraz, Chardonnay, ecc.
La prima regola della Torah per la vinificazione del vino kosher prevede che tutto il personale addetto alla lavorazione, dalla gestione dei grappoli in vigna fino al momento in cui il vino viene imbottigliato, deve essere ebreo osservante e lavorato seguendo le indicazioni del tecnico. Ogni eventuale operazione eseguita da altre persone, anche raccogliere un campione di quel vino, comprometterebbe l’intera partita. La raccolta può essere manuale o meccanica, ma tutta la strumentazione deve essere lavata, come è previsto nella kasherizzazione. La kasherizzazione è il lavaggio, anche con acqua bollente, di tutta la strumentazione prima che la materia prima entri a contatto; dalla raccolta alla spremitura fino alla lavorazione in cantina. Il rabbino deve presenziare tutte le fasi di lavorazione e in sua assenza, onde evitare intromissioni, il vino stoccato, deve avere un doppio sigillo con piombi e la sua firma. Solo il rabbino designato ha l’autorizzazione di rompere i sigilli e applicarne dei nuovi.
Vasche sigillate (foto www.italykosherunion.it)
Le persone non ebree osservanti possono eventualmente lavorare il vino kosher solamente dopo la pastorizzazione del vino (se questa è prevista dal Rabbino). E’ per questo che molte aziende, per evitare che la partita di vino kosher possa essere compromessa, fanno pastorizzare il vino alla fase di mosto, ancora prima della fermentazione.
Tuttavia i vini kosher più pregiati rimangono quelli in cui tutto il processo è seguito solo da persone ebree osservanti e il vino non richiede pertanto di essere pastorizzato. La pastorizzazione infatti indice negativamente sulle qualità organolettiche del vino. In questo caso le persone non praticanti possono toccare il vino solo quando le bottiglie sono sigillate.
Perciò il vino rimane kosher anche se toccato da persone non praticanti se pastorizzato o ad imbottigliamento concluso, la prima situazione che si verifica prima. In questo caso il vino viene chiamato yayin mevushal.
Le parti in gomma come le guarnizioni devono essere procurate nuove, per poi passare ad essere lavate. Qualsiasi sostanza necessaria alla produzione di vino, come il lievito, gli enzimi, ecc. deve essere approvata e di tipo kosher. E’ permessa l’aggiunta di anidride solforosa, gli zuccheri in forma di mosto concentrato (certificato kosher) e bentonite. Non sono invece ammessi prodotti di origine animale quali la gelatina e i bianchi d’uova usati per la chiarifica.
Il vino kosher può essere stoccato in botti di legno purché queste siano nuove o siano dedicate solamente al passaggio di vino kosher. Non possono invece essere usate botti nelle quali c’è stato del vino non kosher.
Il vino solo kosher, può essere bevuto quotidianamente tranne che durante lo Shabbat (rappresenta il giorno di riposo, tra il venerdì sera fino al sabato sera), ma deve comunque rispettare tutte le regole riportate sopra.
Infine esiste il vino kosher certificato per Pèsach, dedicato alla festività della commemorazione della ritrovata libertà del popolo ebraico dalla schiavitù egiziana. In tale vino, oltre a dover seguire le regole per la produzione del vino kosher bisogna evitare anche contaminazioni di farinacei; il vino non può avere tracce di orzo, avena, segalo e farro. Particolare attenzione bisogna dedicarla all’uso di additivi ma anche agli stessi filtri in cellulosa, i quali non devono contenere amidi o derivati da altri cereali.
Affinché una bottiglia sia certificata kosher sono necessari 2 segni di riconoscimento nell’imbottigliamento: il tappo con il marchio del rabbino e l’etichetta dove viene riportato il nome del rabbino che ha presieduto ai controlli. La produzione annuale sarà accompagnata da un certificato Kosher rilasciato da un Agenzia o da un Rabbino competente.
In accordo con gli esperti, i vini kosher possono facilmente superare gli standard qualitativi dei vini non kosher dato il loro disciplinare restrittivo, la manodopera specializzata e l’impegno dedicato per la loro realizzazione.
Marco Sollazzo, laureato in Tecnologie Alimentari ed Enologiche, Curriculum Viticoltura ed enologia presso la Facoltà di Agraria di Viterbo, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze viticole ed enologiche interateneo presso la Facoltà di Agraria di Torino, discutendo la tesi “Valutazione delle condizioni analitiche del test di minicontatto e impiego di biopolimeri per la stabilizzazione tartarica dei vini”. Curriculum vitae >>>