Consanguineità: la parola magica per un allevamento
di Federico Vinattieri
Cucciolo di Mastino Napoletano
In ambito cinofilo non esiste una parola più discussa, più criticata e più menzionata di questa: consanguineità. Da alcuni anni, grazie soprattutto all’avvento dei social network, nei quali possono essere prese in considerazione affermazioni anche di neofiti/pseudo-allevatori, che si fanno astutamente passare da esperti del settore, la “consanguineità” è nella maggior parte dei casi associata automaticamente al termine “patologia” o “malattia”. C’è stata in qualche modo una esasperazione del concetto di “consanguineo”, e nonostante vi siano decine e decine di articoli, di testi di allevatori e di autori che dimostrano che senza questa pratica non sarebbe stato possibile attuare determinate selezioni, ancora vi sono persone pronte ad additare chi la esegue. Vi è una sorta di “caccia alle streghe” nei confronti di chi accoppia soggetti consanguinei, fino ad arrivare a dire che bisogna evitare accoppiamenti in consanguineità ed addirittura eliminare dalla riproduzione esemplari che ne superano un certo livello… MA STIAMO SCHERZANDO? Ciò è preoccupante, perché evidenza lo scadente livello culturale di molti nuovi allevatori.
Ma vediamoci più chiaro. Da allevatore e conoscitore della genetica, vorrei far capire che la consanguineità è stata in qualche modo erroneamente classificata come “pratica deleteria”, poiché a mio parere, quando si parla di selezione, esistono svariati vantaggi a suo favore. Ovviamente dò per scontato che chi leggerà questo articolo non fraintenda ciò che voglio far comprendere, sapendo bene che ogni pratica portata all’eccesso e impiegata con metodo sbagliato porta a delle complicazioni irrimediabili e irreversibili. Questo articolo pertanto è rivolto ai veri allevatori, ma anche a coloro che hanno la volontà di apprendere, senza basarsi sulle dicerie del web e delle fantomatiche comunità Facebook, che contengono, nella stragrande maggioranza dei casi, nozioni che hanno, più o meno, la valenza scientifica del “piccolo chimico”.
Apro una parentesi: basatevi sui testi stampati o sulle riviste/portali/forum on line con un comitato scientifico ed una redazione formata da esperti, e non su ciò che leggete nei copia-incolla delle rete! Chiusa la parentesi.
Iniziamo da una domanda più che lecita: perché dovrei accoppiare soggetti consanguinei?
Per un allevatore l’obiettivo principale dovrebbe essere in qualche modo la “ricerca della perfezione”, ossia del soggetto che rispecchi i parametri dello standard ed il “concetto di tipo”, con la conseguente ricerca quindi della “omogeneità di tipo”.
In genetica da cosa è portata l’omogeneità di tipo? Risposta: dall’aumento della omozigosi. Questo è la consanguineità ridotta ai minimi termini e schematizzata: ricerca del tipo -> ricerca della omogeneità di tipo -> ricerca dell’aumento dell’omozigosi = consanguineità.
In ogni allevamento dove si voglia arrivare ad ottenere dei risultati, primo o poi si deve affrontare questo scoglio; è inevitabile! Se prima o poi non si inizia un lavoro di “fissazione” dei caratteri, non si arriverà mai a poter produrre soggetti del medesimo “tipo”. Allevare senza uno scopo non ha nessun senso, e accoppiare sempre nel corso degli anni, maschi e femmine provenienti da linee di sangue completamente diverse, è il modo più rapido per fallire.
Cucciolata di razza Cane Lupo di Saarloos
L’uomo con la sua selezione è in grado di “giocare” con la genetica, sia in termini più invasivi (biogenetica, micro-genetica di laboratorio, ecc..), sia in termini più semplici come nel caso di una normale selezione di un allevamento. Noi allevatori siamo in grado di agire sul livello di omozigosi dei nostri “prodotti” futuri. Possiamo “creare” cucciolate con aumento o diminuzione dell’omozigosi, ma possiamo anche decidere di lasciare il livello inalterato.
Bisogna tenere sempre in mente che il concetto di “razza” in natura non esiste, ed è quindi puramente artificiale. Ogni razza da noi conosciuta è quindi frutto della manipolazione umana, e siccome per arrivare alla creazione di una razza si sono dovuti fissare determinati caratteri fenotipici e/o genotipici, per arrivare al risultato ultimo voluto, si è inevitabilmente dovuti ricorrere alla consanguineità. Quindi teniamo sempre a mente che tutte le razze hanno alla loro origine accoppiamenti consanguinei. Questo per mettere a tacere le voci che talvolta ci giungono all’orecchio, di razze che non hanno subìto nessun genere di “inbreeding”.
Tutto ciò che è “razza” quindi è ben lontana da quello che in natura si chiama “selezione naturale”, che non è altro che una selezione allo scopo di pura e semplice “sopravvivenza della specie”, quindi in parole povere per due scopi principali e fondamentali: fertilità e resistenza.
Noi allevatori operiamo in qualche modo contro la natura, poiché forziamo quelli che sono i normali equilibri di una selezione naturale. Se un cucciolo risulterà debole o immuno-depresso, noi lo aiutiamo a sopravvivere con medicinali o integratori, al contrario la selezione naturale lo avrebbe eliminato. Stesso concetto avviene con le “mutazioni”, che noi abbiamo selezionato nel corso dei secoli e che tutt’ora continuiamo a selezionare, mutazioni che in natura non avrebbero mai attecchito, in quanto un qualunque soggetto “mutato”, sarebbe messo in disparte e considerato “inappropriato” per la riproduzione. Anche gran parte delle mutazioni sono state fissate con la pratica della consanguineità.
Ma torniamo a questa pratica.
Mettiamo fine ad un’altra “voce di paese”, che viene sempre più diffusa in rete e che è veramente dannosa e distruttiva: LA CONSANGUINEITA’ NON DA’ VITA A NESSUNA TARA GENETICA! La consanguineità semmai fa emergere più facilmente tare genetiche che esistono già nel genoma dei soggetti accoppiati, ma non crea nessuna nuova problematica genetica! Questo ha valenza sia per gli animali, sia per noi esseri umani.
In ornitologia e in avicoltura, la consanguineità è all’ordine del giorno e non viene in alcun modo denigrata; forse perché si tratta di animali con cui, noi uomini, abbiamo un rapporto ben diverso rispetto al nostro rapporto con il cane o con il gatto, e quindi le conseguenze di tale pratica non sono tenute più di tanto in considerazione. Tra gli allevatori di canarini ad esempio, (parte del grande “mondo ornitofilo” di cui anche io faccio parte) è assolutamente normale produrre soggetti estremamente consanguinei, e non vi è nessuno che si opponga a questo, tanto meno la Federazione Ornicoltori Italiani, che non ha mai espresso nessun tipo di parere al riguardo.
Ma allora perché nei cani è una “operazione” così polemizzata?
Sicuramente per ragioni puramente etiche, valutando il cane “l’animale più vicino all’uomo”, per il quale, anche giustamente, dobbiamo concentrare maggiormente le nostre attenzioni. Il cane, non dimentichiamolo mai, è parte integrante della vita dell’uomo, e parte integrante di una famiglia (o almeno dovrebbe esserlo).
A livello genetico vi sono mille variabili, che purtroppo non possiamo permetterci di illustrare per filo e per segno in un semplice articolo come il presente, poiché rischierei di annoiarvi e di aduggiare il tema dell’articolo con le “sfumature” della specifica genetica applicata alla selezione.
Chi alleva sa benissimo quale sia la regola che, ahimé, “regna sovrana” nella selezione di qualunque razza: “la tipicità è inversamente proporzionale alla funzionalità”, e quindi anche alla salute. Quando frequentavo l’Istituto Tecnico Agrario, il mio “vecchio” professore di Zootecnia, Prof. Mario Giannone, mi diceva che l’animale perfetto non esiste e che un esemplare apparentemente eccezionale a livello di fenotipo, nasconde (quasi sempre) dei difetti a livello di genotipo; allevando nel corso degli anni, varie razze canine, ed osservando l’operato anche di colleghi allevatori, mi sono reso conto che aveva pienamente ragione.
Io ho avuto dinanzi a gli occhi l’esempio diretto con i miei Mastini Napoletani, che hanno raggiunto un livello di tipicità eccelso, ma non risultano più essere soggetti perfettamente funzionali, ai quali è notevolmente diminuita la loro, precedentemente innata, attitudine primordiale alla guardia e risultano essere molto meno nevrili e attivi, rispetto a soggetti di 20 anni fa.
Inutile elencare tutte le varie complicazioni e i grandi svantaggi di una consanguineità stretta. Lo sappiamo… nozioni dette e ridette, scritte e riscritte. Un vero allevatore* le conosce alla perfezione e conosce benissimo quale sia il limite da non “varcare” con i suoi soggetti consanguinei (* parlo di “veri allevatori”, poiché non mi sarei mai cimentato in un articolo su questo argomento, se non vi fossero ancora colleghi in grado di avere i requisiti culturali e capacità pratiche per fare le giuste scelte, e per fortuna ce ne sono ancora tanti).
“Depressione da consanguineità” è uno dei termini che fa paura e che si legge sovente nei commenti. Questo termine, al contrario di altri, merita due righe. Molte persone pensano che TUTTI i cani consanguinei siano “affetti” da questo danno genetico irrimediabile e raccapricciante, provocato da un “inincrocio” deleterio. FALSO. Una delle tante dicerie che è pian piano divenuta “nazional popolare” ed è stata “assimilata” dai cinofili come verità. FALSO ribadisco. Tutti i cani consanguinei vivono di meno e hanno meno robustezza? Non esiste nessuno studio scientifico basato sui cani, nessun trattato, nessuna prova empirica che provi la pertinenza di questa affermazione! Si tratta esclusivamente di una ipotesi. Quando questa ipotesi verrà dimostrata scientificamente con prove attendibili, ne terremo di conto. Esiste invece qualche studio sporadico sulla “eterosi” e sul “vigore ibrido”, ossia sul potenziamento della vitalità, che si ottiene da accoppiamenti eterogenei, ma anche in questo caso non sono studi specifici sul cane.
Si parla tanto di “COI” (coefficiente di Consanguineità), che nel web è diventato una vera e propria “celebrità”, anche se dubito fortemente che tanti neo-allevatori comprendano veramente di cosa si tratti a livello genetico. Numeri schematizzati in “livelli”, dai quali dover star al di sotto, questo è ciò che viene appreso, ma il perché non se lo chiede nessuno, e tanto meno nessuno si chiede se sia veramente di primaria importanza rispettare certi termini (oltretutto imposti e decisi da chi?). La Federazione Cinologica Internazionale a tal proposito ha redatto delle “raccomandazioni”, ossia dei “consigli”, ma nessun obbligo. Nessun obbligo può essere imposto, poiché chi ha redatto il regolamento internazionale dell’allevamento canino, era perfettamente consapevole che è impossibile impedire o imporre una riduzione drastica della consanguineità, perché questo sarebbe la fine delle razze per come le conosciamo noi. La genetica non può essere classificata e schematizzata con la matematica… Magari fosse così semplice!
Ho visto allevatori che acquistano o introducono nel loro programma di allevamento, alcuni soggetti solo osservando i loro valori e valutando i risultati dei loro test genetici, senza dare nessun valore a quali siano le doti morfologiche e quindi di tipicità del soggetto in questione. NON SI PUO’ ALLEVARE SULLA CARTA O SUL COMPUTER!! L’occhio vuole la sua parte. Purtroppo, come sappiamo bene, non ci si può basare neanche su quanto scritto nei pedigree, poiché in cinofilia sono purtroppo frequenti i “falsi d’autore” (così li chiamo ironicamente), ossia succede che allevatori disonesti abbinino pedigree a soggetti di tutt’altra genealogia. Siccome sappiamo che questo purtroppo può essere fatto, bisogna basarsi sempre sulla valutazione del cane stesso e mai e poi mai basarsi soltanto sulla sua genealogia; il mio consiglio è di affidarsi sempre alla regola “SE NON LO VEDO NASCERE NON SO DI CHI SIA FIGLIO”.
E’ anche vero che con le nuove normative E.N.C.I., con l’inoculazione obbligatoria del microchip, con l’obbligo di denuncia all’anagrafe canina ASL, con il deposito del campione biologico ed il moderno eventuale esame del DNA, ci vuole un bel coraggio per continuare a “giocare” con i pedigree, poiché un allevatore rischia serie sanzioni e anche seri provvedimenti disciplinari da parte dell’Ente Nazionale. Ma si sa… siamo in Italia e purtroppo queste cose succedono ancora…
Bisogna osservare ogni peculiarità di un esemplare, bisogna far valere la propria esperienza nell’individuare determinati caratteri da “importare” e soprattutto bisogna da subito stabilire quali siano gli eventuali difetti da evitare di introdurre nella propria selezione. “E’ molto più facile portare dentro un pregio, che eliminare un difetto”, mi diceva il Professor Raffaello Mariotti. Ovvio che l’estrema consanguineità, ripetitiva e ristretta può portare a gravi complicazioni e al manifestarsi di patologie ereditarie. Le difese immunitarie e la resistenza a determinate malattie, vanno a indebolirsi se si presentano consanguineità portate all’eccesso, ma con questo non si possono neanche completamente evitare, altrimenti il tipo verrebbe irrimediabilmente perduto nel corso di poche generazioni. La consanguineità va saputa fare, non v’è dubbio. Ma se viene eseguita con parsimonia e con metodo, allora gli effetti possono essere soddisfacenti e si potranno raggiungere degli obiettivi fenotipici eccelsi, sempre rispettando il genotipo. Facciamo l’esempio degli “Indios” dell’Amazzonia; quelle tribù, da sempre isolate e senza alcun genere di contatto con il mondo esterno, sono tutte tribù consanguinee, dove pochi individui fecondano, figlie, sorelle, e così via. Risultato: stesso aspetto fisico, stessa statura, stessi colori, in poche parole stesso “tipo”. Allo stesso tempo questi individui non possono avere contatti con il mondo esterno anche perché risultano più fragili e quindi meno resistenti alle comuni malattie che ci colpiscono, pertanto un contatto prolungato con alcuni abitanti provenienti da altre parti del mondo potrebbe essere per loro letale. Questo a dimostrazione che la consanguineità portata all’esasperazione porta indubbiamente dei deficit immunitari, se svolta in modo ripetitivo e senza nessuna accortezza, ma allo stesso tempo porta dei vantaggi che un allevatore che seleziona l’estetica di una razza, non può permettersi di non utilizzare a suo favore.
La consanguineità non è una pratica ostile, bensì un valido procedimento di selezione, che deve servire per fissare i pregi ricercati. Bisogna imparare ad usarla, con metodo e senza trasgredire alle precauzioni ed ai limiti reali che la scienza ci ha indicato, e non osservando i livelli generati da un cervello elettronico o calcolati sulla convinzione che genetica e matematica possano coincidere sempre.
Cucciolata di razza Mastino Napoletano
Federico Vinattieri è un appassionato allevatore di Canarini e di Mastini Napoletani (Allevamento di Fossombrone – www.difossombrone.it – lupi.difossombrone.it). Curriculum vitae >>>