Sinergie innovative tra antropologia e turismo lento e sostenibile sulle terre alte dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea
di Guido Barbero
Con la speranza che i “nuovi montanari”, con senso di consapevolezza e responsabilità verso i loro territori, sappiano esserne i custodi e adoperarsi per la loro continua valorizzazione
Premessa
Il presente studio è riferito alle “Terre Alte” dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea, una vasta area di origine glaciale (la seconda per estensione in Italia dopo quella che circonda il lago di Garda) racchiusa quasi per intero da colline moreniche, la principale delle quali la Serra d’Ivrea, situata allo sbocco della Val d’Aosta, la cui formazione è terminata ca. 11500 anni fa dopo l’ultima glaciazione con il definitivo ritiro del ghiacciaio Balteo proveniente dalla Val d’Aosta. Ed è proprio a Nord che sono presenti due territori montani abitati, precisamente:
1) a NO la Valchiusella;
2) a NE il territorio di Andrate, sulle cosiddette Prealpi di Ivrea.
Scopo dello studio – Individuare un percorso per favorire l’affermarsi di un turismo di tipo lento e sostenibile ed al contempo anche lo sviluppo di questi territori, nel senso più completo possibile, dalla ripresa di attività economiche a carattere locale al ripopolamento. Prendendo atto che già esiste un fenomeno in corso di ritorno alla montagna e dopo aver tentato una loro ampia conoscenza, soprattutto sotto il profilo culturale, sono state definite alcune azioni atte a produrre un effetto efficace perché capaci di generare sinergie e perché viste il più possibile in un’ottica innovativa.
Occorrerebbe fin da subito e contemporaneamente:
- Valorizzare quell’elemento che più identifica la loro identità e quindi in grado di esercitare un buon richiamo: le attività zootecniche (allevamento e pastorizia ai fini soprattutto caseari). Ed è preziosa l’opportunità che danno di farlo con coraggio ed un pizzico di spregiudicatezza, visto il loro processo in corso, come vedremo, di un naturale rinnovamento, di presentarsi agli occhi di “chi viene da fuori” sotto una nuova
- Allargamento, di conseguenza, delle offerte attrattive che potrebbero divenire particolarmente ricche di peculiarità, nella logica di un turismo lento e
- Rafforzamento del senso di appartenenza al territorio di tutti gli abitanti, prerogativa da perseguire subito così da fornire il massimo impulso a questo piano di sviluppo istituendo un preciso percorso di formazione a vari
I – Le attività zootecniche e casearie
1.1 La Valchiusella
1.1.1– Tra storia e antropologia –
La Valchiusella appartiene Alpi Graie, a loro volta facenti parte del settore occidentale dell’arco alpino. Transumanze, regole e consuetudini negli usi del territorio, migrazioni, attività minerarie (con le relative controversie) sono fenomeni che si ritrovano qui come in ogni altra valle di tutta la catena montuosa alpina e non solo.
“Vivono di carne e di latte” così Giulio Cesare nel “De Bello Gallico” definisce alcuni aspetti di vita di popolazioni celtiche abitanti le vallate alpine nord occidentali nell’ Età del Ferro.
L’attività agraria in Valchiusella, valle chiusa e non interessata da valichi o vie di comunicazione, non poteva essere che modesta ed improntata alla sussistenza. Da sempre è stata affiancata dall’allevamento. Non si dispone di reperti storici antecedenti al XIII-XIV secolo, ma da archeofaune ritrovate nell’Anfiteatro Morenico (Viverone) e da confronti con vicine vallate è possibile accertare la presenza già nella preistoria di moltissimi ovi-caprini ed in seconda linea di bovini di piccola taglia (altezza al garrese di poco superiore al m) nonché la pratica di transumanze pianura-montagna.
Furono quindi questi due animali, ancora più le pecore delle capre, ad essere allevati in modo predominante in epoca remota. Venivano condotte, all’inizio dell’estate, ai pascoli alpestri ricchi di erba seguendo nelle transumanze i percorsi che, per istinto, queste bestie avevano intrapreso allo stato selvatico nei millenni addietro.
La tosatura delle pecore era effettuata due volte all’anno: a marzo, prima di partire per la transumanza e in autunno, prima dei rigori invernali. Con rustici telai venivano preparate coperte e panni che, se “fallati” negli appositi ballatoi, si trasformavano in lane infeltrite particolarmente adatte a creare abiti e mantelle idrorepellenti per i pastori. Si veniva così a determinare una vera e propria simbiosi uomo-animale: “pastori e bestie vestjie dl’istessa lana”.
Fino al progressivo sviluppo dell’allevamento bovino, con relativo “inalpamento” (a partire probabilmente dal XIII secolo), le greggi potevano pascolare ovunque.
Dal secolo XIII in poi, vista la convivenza con i bovini, aumentati notevolmente di numero, iniziarono a cambiare quelle consuetudini solo orali derivate da lunga tradizione. Ritenuti gli ovi-caprini animali rustici, non necessitevoli di molte cure, agili, perciò capaci di rintracciare il cibo anche in luoghi molto scoscesi, vennero destinati ai pascoli più marginali, così da evitare il depauperamento dell’herbaggio destinato ai bovini.
I primi documenti della Valchiusella, risalenti al ‘400, ci parlano di mandrie composte nella quasi totalità di “vacche di color misto rosso e bianco, rosseggiante o con alcuni segni di bianco”, sicuramente identificabili nella “pezzata rossa valdostana”. Il pascolo all’aperto dei bovini iniziava in primavera in zone poco al di sopra delle stalle invernali dette appunto “pascoli di Primavera”, passando poi nella salita verso gli alpeggi attraverso pascoli intermedi, i “tramuti”.
Mediamente sugli alpeggi (spesso oltre i 2000 m slm) le mandrie vi restavano per ca. 110 giorni (dai primi di giugno alla fine di settembre) con date rigorosamente stabilite da appositi Bandi Alpestri (oggi più semplicemente ci si attiene all’andamento della stagione).
Brucando le pregiate erbe dell’alpeggio le preziose bovine pezzate rosse valdostane davano latte e prodotti caseari con le migliori qualità organolettiche. Acquisivano inoltre un buon sviluppo muscolare e scheletrico, aumentava la durata della carriera produttiva ed il loro livello sanitario.
Fig. 1: Transumanza di agnelli con asini
1.1.2 – Il lavoro dei margari e le produzioni tipiche casearie
La capacità di trasformare il latte in prodotti caseari risale a tempi remoti. Nel corso dei secoli l’uomo imparò ad affinare le tecniche caseificazione carpite anche in Valchiusella, secondo la leggenda, dall’Urciat. Era costui il mitico “Uomo Selvatico”, un comune mortale che viveva isolato sulle montagne e tra i boschi; rifuggeva il prossimo al punto di attenuare le sue capacità psichiche fino alla stupidità; era irsuto e con barba e capelli lunghi, vestito di un mantello di caprone, ma a volte, di rado, sentiva il bisogno di fraternizzare con gli uomini ed allora si fermava insegnando loro i mestieri della malgazione, della lavorazione dei latticini di cui era maestro.
Nella realtà era la donna la persona maggiormente abile, dotata di saperi ed esperienza nell’esercitare questa pratica.
Fino al X-XI secolo erano soprattutto ovini e caprini i formaggi citati nei documenti dell’epoca. Successivamente, in seguito all’impulso dato dall’allevamento bovino, allo sviluppo di commerci, mercati, fiere e all’attività dei grandi centri ecclesiastici (vedi i monaci e le grange alpine) si passò a produrre prevalentemente formaggi vaccini. Fino a tempi relativamente recenti per la filtrazione del latte venivano usate varie erbe, quali foglie d’ortica o di lampone.
Fig 2: Filtrazione del latte con foglie d’ortica
Oltre a burro, tome e tomini la Valchiusella, una valle lunga solo 25 km con una superficie di 143 kmq (l’1,3% della montagna piemontese) vanta 2 formaggi tipici inseriti nel “Paniere della provincia di Torino”: la toma ‘d Trausela e il Civrin (per il quale è in corso la procedura per l’ottenimento del marchio D.O.P.).
1.1.3 – La toma ‘d Trausela
Formaggio anticamente chiamato “Gioncata” prende oggi il nome dal paese in cui è nato. E’ un formaggio definibile, a pieno titolo, tipico, sia per il metodo di caseificazione (da latte appena munto) che per la “filiera” delle erbe pascolate dalle bovine, dal 2011 anche oggetto di studio e tutela da parte di un comitato scientifico, che gli conferiscono qualità organolettiche uniche. Si racconta che i vecchi del luogo portassero a pascolare le vacche al guinzaglio per farle alimentare solo con tali erbe; si tratta principalmente di acetosella, aglio orsino, ajucca, alchemilla sventagliata, silene, bubbolina, barba di capra e bistorta (la più apprezzata).
Per non spezzare l’attuale equilibrio uomo-animale-ambiente (merito del forte senso di responsabilità e sostenibilità ambientale dei margari locali) non è possibile incrementarne la produzione, a fronte di una buona domanda. Pertanto questo formaggio lo si ritrova soltanto in fiere, mercati locali o ristoranti del territorio oltre alla vendita diretta dietro prenotazione.
Consumo: Per apprezzare il suo gusto delicatissimo e fresco questo formaggio andrebbe consumato in giornata, al massimo entro 1-2 giorni.
1.1.4 – Il Civrin
I primi documenti che riportano il suo nome risalgono a fine ’700: questi formaggi, detti “Cevrini”, formavano un ramo importantissimo di esportazione. Erano prodotti con latte di pura capra, successivamente con la diminuzione di questi animali (spesso anche avversati) sono diventati “misti” con latte vaccino ed infine totalmente vaccini (ma il nome mantenuto, segno che la tradizione stenta ad essere dimenticata).
E’ definito oggi un “formaggio antico dal gusto moderno” per la sua freschezza; ha una notevole richiesta per cui è spesso venduto a inizio maturazione, quando la crosta non è ancora seccata e la pasta non è al massimo delle caratteristiche organolettiche).
1.2 – Andrate
E’ possibile ipotizzare, in linea di massima, una pratica dell’allevamento simile a quella della Valchiusella ed in sostanza di tutte le altre vallate limitrofe, prima gli ovi-caprini e poi maggiormente i bovini.
Oggi sulla superficie di questo comune di appena 512 abitanti (ISTAT 2012), posto quasi sulla sommità della Serra d’Ivrea sotto la Colma del Mombarone, sono presenti sei aziende agricole a carattere famigliare; due di esse allevano bovine di razza pezzata rossa valdostana, le altre pecore e capre di varie razze.
Burro, formaggi vaccini, di pecora e di capra continuano oggi ad essere caseificati come nel passato ed apprezzati dai consumatori.
Tipico è Salignun, preparato con lo stesso metodo della Valchiusella. E’ una ricotta affumicata con aggiunta di aromi vari (semi di cumino, lino, peperoncino spagnulin); è adatto a essere consumato come antipasto, come formaggio o ancora accompagnato alla “miasse”, tipiche sfoglie croccanti di farina di mais.
II- L’importanza della zootecnia di montagna/Neo-pastori e famiglie rurali
Da quanto visto appare evidente come queste “terre alte” siano da sempre state vocate alle attività zootecniche ai fini soprattutto caseari. Sono attività di primaria importanza per la montagna, con caratteristica di multifunzionalità, a cominciare dalla conservazione del territorio e il mantenimento delle biodiversità. Oggi, per di più, si rende necessario tenere nella massima considerazione una tendenza tutto sommato inattesa: il fenomeno del “ritorno alla montagna”, rappresentato per buona parte dal neo-pastoralismo, ottima opportunità di sviluppo da saper cogliere e valorizzare.
2.1 – I “neo-pastori”
Secondo un rapporto della Coldiretti, sull’interpretazione dei dati dell’ultimo censimento generale ISTAT del 2011 sono oltre 3000 in Italia i giovani, al di sotto dei 35 anni, che hanno scelto di svolgere attività rurali in montagna, spesso legate, in vario modo, all’allevamento e alla pastorizia.
Il loro modo di interpretare questi ruoli che li vedono protagonisti è quasi sempre innovativo: il 78% si distingue perché:
- è impegnato nel rinnovamento delle strutture, utilizza tecniche di allevamento avanzate, con meccanizzazione, computerizzazione (schedature nella gestione degli animali, distribuzione razionata di mangime)
- è capace di instaurare nuove forme di commercializzazione, dalla vendita diretta al km 0 a quella on
- ha inventiva e oculatezza nel dedicarsi a produzioni che possono costituire un’offerta valida: da quelle di nicchia, erbe officinali alla riscoperta di prodotti caseari del passato, alla valorizzazione della lana italiana per nuovi utilizzi e magari nuove
Da dove provengono i neo-pastori e i motivi della loro scelta – Il tipo di approccio al mondo della pastorizia è molto diversificato. Alcuni provengono da altre realtà: hanno imparato il mestiere per passione affiancandosi ad un maestro esperto, seguendone le orme, carpendone i segreti, magari in alpeggio durante la stagione estiva; oppure sono entrati a far parte di una famiglia in attività sposandone una figlia o un figlio. Altri già vi appartenevano, hanno dato continuità, con rinnovato slancio, al lavoro dei genitori o si sono ispirati a quello dei nonni: si tratta in questo caso di “aver ristabilito una tradizione spezzata dando vita ad un ponte generazionale” (Viazzo, 2014).
E’ lecito affermare che, nella totalità dei casi, la loro è stata una scelta consapevole. Ed è sorprendente, al tempo stesso confortante, constatare una netta inversione di tendenza: molti dei loro genitori avevano abbandonato queste attività, sospinti dai nonni a fuggire da una esistenza dura, di sacrifici, attratti dai richiami della vita comoda della città. Oggi la prima speranza di questi giovani è quella che i loro figli possano invece restarci, non abbandonando più la montagna. Una riflessione al riguardo che nasce spontanea porta a constatare che esiste la tendenza, determinata, ad un distacco dalla pianura, a dissociarsi dai suoi stili di vita correlati ed imposti, bensì andare alla ricerca del “vero”. Sarebbe per lo meno interessante condurre un’indagine sociale di approfondimento su questi temi che metterebbe in evidenza importanti, ed un po’ celate, problematiche.
Appare evidente da tutto ciò come la zootecnia di montagna, con i suoi nuovi addetti, possa acquisire sempre più una nuova immagine, ricoprire nuovi ruoli, presentarsi agli occhi di chi viene dall’esterno, il turista consapevole per primo, con nuove caratteristiche definibili più sociali.
Fig. 5: Giovani pastori
Questi nuovi interpreti, i neo-pastori di oggi (che siano ragazzi, o giovani coppie già con figli) possiedono questa predisposizione: “partecipano volentieri ai momenti di festa (un compleanno con gli amici, le transumanze con i numerosi amici accorsi per l’occasione, le fiere quando si ritorna a valle in autunno. In sostanza la figura del pastore è cambiata anche se una recente indagine piemontese ha evidenziato che appare ancora fortemente legata a stereotipi che oscillano dall’immaginario romantico al pregiudizio negativo” (Battaglini et al., 2013). Sono tuttavia remoti i tempi dell’Urciat quando il pastore era visto come il custode di un mondo inaccessibile, dallo spirito rozzo e semiselvatico, poco incline alla socialità.
Indubbiamente il pastore di oggi rimane una persona che lavora 12-14 ore al giorno, inizia la sua giornata alle 5 del mattino, si dedica durante tutto l’arco dell’anno alla cura dei suoi 50-100-200 e più animali, li segue anche col tempo avverso nel pascolamento e nelle transumanze… Il suo è un lavoro eroico, lui è semplicemente uno come noi, certo dotato di particolari virtù e di una sensibilità speciale. Non è nemmeno, né si sente (nella sua naturale semplicità e spontaneità) una “star”: vuole anche restar solo in certi momenti o periodi, lontano dai clamori e non saprebbe rinunciare al fascino dell’ambiente in cui è immerso coi suoi silenzi, diurni e notturni. Per questi motivi non andrebbe additato al suo incontro, solo salutato con “fare” volto a trasmettergli espressioni di stima e di calore, manifestandogli di comprendere e apprezzare appieno la sua scelta di vita.
La rinnovata immagine che può venire a definirsi della pastorizia e delle attività correlate, decisamente più sociali, appare perciò capace di dare un valore aggiunto al turismo montano.
Presuppone però il coinvolgimento diretto con i suoi protagonisti di un turista consapevole a tutti gli effetti, che sappia avvicinarsi a questo mondo in modo discreto. Lo può dimostrare nelle varie occasioni d’incontro: semplicemente mentre percorre i sentieri escursionistici, ma anche quando raggiunge un alpeggio, prende conoscenza degli animali, visita una fattoria didattica, accede ad un semplice ed agreste punto vendita. Rappresentano queste tutte occasioni e luoghi dove il neo-pastore, compiaciuto della presenza del turista, presenta spesso con orgoglio i suoi prodotti, ne constata l’apprezzamento gratificato non solo economicamente.
III – Nuove opportunità per un turismo lento e sostenibile
3.1 – Verso un turismo lento e sostenibile
E’ una tendenza ormai consolidata quella del turismo di massa che, grazie anche ad una generale presa di coscienza sulla necessità di salvaguardare l’ambiente, sta cedendo man mano il passo ad un tipo di turismo dai connotati che vanno dal verde, all’ecologico, al al sostenibile. E’ bene innanzitutto puntualizzare i significati di “lento” e “sostenibile”.
Per turismo lento si intende un turismo basato sulla conoscenza del territorio, attento alle risorse locali e alla loro valorizzazione, all’ambiente naturale, “osservando, gustando e sostando”. Fondamentali sono i mezzi di spostamento e i ritmi, allineandoli il più possibile al “naturale fluire del tempo”; ed è un turismo fatto “in punta di piedi”, pronti all’ascolto di quanto ci circonda e delle emozioni provate, camminando, pedalando, cavalcando…Per turismo sostenibile il WTO (Organizzazione Mondiale per il Turismo) intende un “turismo che soddisfi i bisogni del turista e delle regioni ospitanti e allo stesso tempo protegge e migliora le opportunità per il futuro”.
In Valchiusella svolge un’azione molto proficua l’associazione “Club amici della Valchiusella” con sede a Traversella. Prima fra tutte, con notevoli riscontri, è l’iniziativa de “El Sabat d’le Erbe” ovvero passeggiate primaverili alla scoperta delle erbe selvatiche concluse da una cena a tema, inclusi gli atri prodotti della valle, con la collaborazione di “Slow Food”. Di notevole rilevanza è il Centro di documentazione della Valle, prezioso archivio storico sulla cultura e i saperi della valle allestito nel 2005 nel seicentesco edificio della “Cà del Teimp” sempre a Traversella.
Ad Andrate le iniziative e gli eventi di richiamo per questo paese vivono grazie all’impegno di associazioni locali (Pro loco, Banda musicale) di volontari e dell’ASD Nordic Walking Andrate.
E’ da sottolineare infine la capillare azione dell’A.M.I. fondata il 16/01/08 con sede a Chiaverano. E’ un’associazione senza fini di lucro formata da comuni, enti locali, associazioni e istituzioni culturali che, “attraverso una più intensa collaborazione reciproca”, ricercano per tutto il territorio dell’anfiteatro morenico lo sviluppo di nuove sinergie.
3.2– Nuove iniziative da intraprendere in Valchiusella e a Andrate
In entrambi i territori sarebbero di notevole valenza queste iniziative:
- Individuazione di percorsi tematici da definire “Vie della pastorizia” con l’organizzazione di giornate di accompagnamento con guide escursionistiche alla conoscenza delle vie della transumanza, dell’ambiente naturale e delle opere di sistemazione realizzate dall’uomo, le costruzioni rurali e i ricoveri per gli animali, fino a raggiungere gli alpeggi. Lungo tutto il tragitto andrebbero posizionati chiari pannelli
- Organizzazione di alpeggi didattici per la diffusione della conoscenza delle attività zootecniche, delle razze presenti, della caseificazione con educazione ambientale e alimentare. Opportunità che non dovrebbe mai mancare, perché particolarmente significativa e socializzante, è quella di consumare un frugale pasto insieme ai pastori-margari: “Dividere la degustazione dei formaggi in alpeggio, specie il Salignun, oggi prodotto marginale e di nicchia, è un’esperienza assolutamente da provare!” (Berattino, 2005).
- Allestimento di un museo dell’alpeggio, strutture oltretutto ancora poco diffuse sull’arco
- Dare il via alle campagne “Adotta una mucca (o pecora)”. Queste singolari iniziative, in fase di diffusione e molto adatte a scolaresche e famiglie, costituirebbero un’ottima occasione per dare buona visibilità anche “fuori dai confini” a questi territori tutto sommato ancora poco
3.3 –Una proposta singolare per un turismo lento e sostenibile
Per un tipo di turismo che soddisfi queste caratteristiche riveste un ruolo primario la mobilità. La figura del cavallo nella tradizione Eporediese – Potrebbe essere questo l’elemento per avanzare un’ulteriore proposta.
La figura del cavallo ha tradizioni antichissime per la città di Ivrea. Molti storici, tra cui Plinio, concordano nell’attribuire a questo animale l’etimologia del nome Eporedia. Il ruolo del cavallo è sempre rimasto vivo in tutta la storia di Ivrea ed ancora oggi questo lungo legame si può dire che faccia ancora parte della sua cultura. Diversi eventi lo evidenziano, a partire dallo storico Carnevale dove ricoprono un ruolo centrale accanto ai personaggi storici, fino alla festa patronale di S. Savino che ruota attorno ad esso.
Ma la dimostrazione di questa tradizione mantenuta sta anche negli usi attuali di vita degli eporediesi: molte famiglie di Ivrea e dintorni possiedono uno o più cavalli con carrozza rimesse in strada soprattutto nei giorni festivi.
Sarebbe dunque perfettamente in sintonia con la cultura degli abitanti dell’eporediese il pensare di ricorrere al cavallo per alcuni “lenti” accompagnamenti di turisti alla scoperta dei territori dell’Anfiteatro Morenico, a partire dalle “Terre alte”. Potrebbe essere l’occasione per costruire (o ripristinare) qualche pista agro- silvo-pastorale da intendere anche nella sua multifunzionalità di via per le transumanze, l’accesso agli alpeggi, ai rifugi, come protezione antincendio (tagliafuoco). Un esempio recente lo offre quella inaugurata nel 2013 a Borgiallo nella vicina valle Sacra da Alas all’alpeggio Piazza.
Non dovrebbe costituire utopia, volendo tirare le prime conclusioni, l’affermare che queste “terre alte” possano aspirare a fregiarsi dell’appellativo di “terre dei pastori” in considerazione che in Valchiusella: 1) allevatori, pastori e margari ne hanno costruito la cultura millenaria 2) le erbe dei suoi prati e pascoli hanno caratteristiche di gran pregio (vedi § toma ‘d Trausela) 3) vengono caseificati due formaggi tipici d’eccellenza. Ad Andrate, meta di transumanze, esistono dei percorsi ad anello denominati “sentieri dei formaggi” che raccordano le 6 aziende agricole presenti, percorribili sia a piedi che con la tecnica del “nordic walking”.
Sarebbe un ottimo elemento di identificazione e richiamo, volendo fare un parallelismo con una realtà delle Alpi orientali, quella della “valle dei piccoli frutti” (Bersntol/valle dei Mocheni, comunità linguistica di minoranza).
IV – Il rafforzamento del senso di appartenenza
4.1 – Riflessioni per uno sviluppo completo
Da quanto visto finora emerge quanto le attività zootecniche, soprattutto quelle pastorali e casearie, si coniughino molto bene con il turismo montano e le sinergie che si che possono generare. Ma risulta necessario considerare ancora un elemento che può produrre i massimi effetti e che potrebbe rappresentare la chiave per dare l’avvio a un sicuro processo di ripresa, ridare un futuro alla
Occorre, in definitiva, concentrarsi prima di tutto sul fattore umano, sugli uomini che la abitano, che vivono a tu per tu con il suo ambiente, la rispettano, conoscono perfettamente le sue potenzialità. Non solo, ma occorre favorire, sostenere tutti coloro che vorrebbero, giungendo anche da altre terre, popolarla e viverla, secondo fenomeni migratori comunque da sempre esistiti. E queste persone hanno dato ottima prova di voler stabilire, nella loro scelta di vita, un legame autentico con i nuovi luoghi.
La montagna ha bisogno dell’uomo: uomini preparati, formati, resi consapevoli (e quindi non più perdenti) e dotati di un profondo, radicato senso di appartenenza. Bisognerebbe uscire da un certo atteggiamento di immobilismo che ancora sussiste nei confronti della montagna, provare a crederci seriamente e cominciare a investire, ideando ed attivando un vero e proprio progetto di ripresa.
4.2 – Formazione e senso d’appartenenza
La formazione delle persone è il primo e delicato passo da compiere: a cominciare dal basso, dai primi anni di scuola, ai bambini nativi dei luoghi, ma pure a quelli dell’immediata pianura (in questo caso tutto l’Anfiteatro Morenici di Ivrea). Andrebbe presentato loro tutto l’ambiente montano, da quello fisico a quello culturale con le tradizioni e gli antichi mestieri (quelli dei loro antenati), tutte le sue risorse e vulnerabilità, affrontando i temi dell’ecologia e della sostenibilità. Si parlerebbe così loro di un mondo in gran parte nuovo, semi-sconosciuto, ma non senza suscitare un lusinghiero interesse… Occorrerebbe poi, con grande sforzo delle istituzioni ed enti pubblici, mettere in atto un innovativo percorso di studi ad hoc che possa accompagnarli lungo tutto l’arco della carriera scolastica: un discorso, questo, che andrebbe affrontato almeno a livello regionale (in Piemonte la superficie della montagna rappresenta il 43% del territorio).
Ne uscirebbero così nuove figure professionali atte a dare incremento non solo al turismo ma anche a tutte le altre attività locali, dall’agricoltura, all’artigianato, all’edilizia ecc. Ne scaturirebbe un fervore di attività, una laboriosità capace di far approntare su queste terre una serie sempre più cospicua di laboratori creativi. Prenderebbe così consistenza a tutti gli effetti quella “terza via percorribile per il possibile sviluppo della montagna: non quella di relegarla ad un museo di sé stesse o una semplice periferia (dormitorio) della città, ma quella dello sviluppo sostenibile” (Camanni, 2013).
Relativamente alle attività zootecniche e casearie, notevole importanza anche per il prestigio e visibilità che apporterebbero, risulterebbero:
- “L’allestimento di un ‘alpeggio scuola’ per consentire a esperti pastori e casari di fare i maestri ad apprendisti e formare ‘ragazzi scremati’ in grado di poter a poro volta intraprendere queste attività. “Nel 2013 abbiamo ricevuto 110 richieste di lavoro ed esperienze alla pari in alpeggio. Oggi, al 20/01/14, siamo già a 53” (Corti, 2014, ruralpini.it).
- La disponibilità ad ospitare Campus formativi (come quello attivato in provincia di CN) rivolti ai giovani per lo sviluppo di idee progettuali e iniziative di valorizzazione incentrate sul patrimonio locale
Per il settore turismo le figure professionali sarebbero molteplici, tutte dotate di una completa conoscenza dei territori, in grado di valorizzare al turista la loro immagine, soddisfacendolo nella sua sete di conoscenza, creando quel sottile rapporto affettivo che lo porta a legarsi ai luoghi. Alla base dovrebbe esserci la figura del “comunicatore”, abile a muoversi nel web, per azioni di promozione dei territori, qualificazione dell’offerta e creazioni di reti collaborative tra i vari operatori.
Si riscoprirebbe infine un “mondo” costruito, abitato, gestito, vissuto da persone pienamente consapevoli di farne parte, sensibilizzate e responsabili, di conseguenza con l’innata tendenza ad esserne i più devoti custodi, garanti nel gestire i rapporti con le economie della pianura e portare avanti con oculatezza i processi di modernizzazione.
Ringrazio il prof. Battaglini per i suoi preziosi consigli e per aver compreso lo spirito di questo mio lavoro
Sintesi della tesi di laurea 2014 in “Scienze e cultura delle Alpi” dell’Università di Torino di Guido Barbero – Relatore prof. Luca Battaglini
Bibliografia:
Battaglini L, Porcellana V, Verona M., 2013. Restare, tornare, resistere: storie di giovani pastori nelle montagne piemontesi. In: Varotto M (a cura di), La montagna che torna a vivere. Nuova Dimensione, Portogruaro
BerattinoG., 2005 – Traversella in val di Brosso/vol.3: L’attività agropastorale attraverso i secoli, Cub Amici della Valchiusella ed.
Camanni E., 2013 Presentazione In: Varotto M (a cura di), La montagna che torna a vivere. Nuova Dimensione, Portogruaro
Casagrande A., 2011 – Toma ‘d Trausela, relazione del corso di studio “Filiera dei prodotti erbacei ed approv. dei prodotti di origine animale” della facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Torino
Comitato scientifico A.M.I., 2012 – L’impronta del ghiacciaio, Bolognino Ed. Dematteis G. (a cura di), 2011 – Montanari per scelta, Franco Angeli
Girod G., 2012 – L’azienda agrituristica Defilippi Ros “S. Giacomo” di Andrate: un esempio di valorizzazione della capra nera di Verzasca, tesi del corso di laurea in Scienze Forestali e Ambientali, Univ. degli Studi di Torino)
Viazzo P.P., 2014 -Families in mountain pastoralism today: persistent centrality or “broken traditions”? Ethnographic evidence from the Western Italian Alps (bozza) in: www.mrd-journal.org, pag.5
Guido Barbero di Torino è dottore in Scienze e cultura delle Alpi ed accompagnatore-divulgatore di fitwalking (con brevetto della scuola MAP dei f.lli Damilano). Sta sperimentando l’accompagnamento delle persone con questa tecnica di camminata alla scoperta del territorio e dell’ambiente naturale con l’aspirazione di arrivare con il fitwalking cross ad agevoli percorsi montani. E-mail: libri.bici@yahoo.it