Con­di­vi­di l'ar­ti­co­lo
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di Giu­lia­no Rus­si­ni

A Papà: non hai fatto in tempo a leg­ge­re que­sto la­vo­ro, ma so che lo farai lassù, ciao Pà, Giu­lia­no

Si può di­scu­te­re in vari modi di pian­te, come di ani­ma­li e mi­ne­ra­li, o in ge­ne­ra­le di Sto­ria Na­tu­ra­le, uti­liz­zan­do ad esem­pio le ri­go­ro­se re­go­le della tas­so­no­mia, for­man­ti il cor­pus cen­tra­le di di­sci­pli­ne bio­lo­g­i­che fon­da­men­ta­li, quali la bo­ta­ni­ca, la zoo­lo­gia e, geo­lo­gi­che quali la mi­ne­ra­lo­gia e la pe­tro­gra­fia; per i ve­ge­ta­li, un ul­te­rio­re modo si­cu­ra­men­te più ro­man­ti­co, è quel­lo di rac­con­ta­re le pian­te per mezzo delle sco­per­te che i bio­lo­gi cac­cia­to­ri di pian­te, o gli esplo­ra­to­ri, hanno com­piu­to du­ran­te le varie esplo­ra­zio­ni geo­gra­fi­che.
In que­sto ar­ti­co­lo, nar­re­rò bre­ve­men­te la- bio­sto­ria- di al­cu­ni al­be­ri e pian­te (sof­fer­man­do­mi quin­di sulla bo­ta­ni­ca), in al­cu­ni casi ri­te­nu­te oggi, dai non esper­ti, per­ché pre­sen­ti nel ba­ci­no Me­di­ter­ra­neo da cen­ti­na­ia, se non ad­di­rit­tu­ra mi­glia­ia di anni, come au­toc­to­ne, ma che in real­tà pro­ven­go­no spes­so da re­gio­ni lon­ta­ne da quel­la ove si tro­va­no.
Trat­te­re­mo nello spe­ci­fi­co, pian­te del­l’O­cea­nia e del­l’A­sia me­ri­dio­na­le.

Al­be­ri del­l’O­cea­nia

L’O­cea­nia, com­pren­de il con­ti­nen­te Au­stra­lia­no, la Ta­sma­nia a sud, la Nuova Ze­lan­da a su­de­st e, mol­tis­si­me isole del­l’O­cea­no Pa­ci­fi­co.
In real­tà, non sono molti gli al­be­ri di que­ste lon­ta­ne ed eso­ti­che terre, in­tro­dot­ti da noi (ba­ci­no Me­di­ter­ra­neo) oltre gli Eu­ca­lip­ti, di cui si è scrit­to molto.
Le più note e co­mu­ni, oltre i gi­gan­ti au­stra­lia­ni, sono le mi­mo­se (aca­cie), dagli splen­di­di fiori gial­li.
Due sono quel­le mag­gior­men­te col­ti­va­te nei giar­di­ni eu­ro­pei, dai bo­ta­ni­ci:
-La più ri­cer­ca­ta è la Mi­mo­sa co­mu­ne (Aca­cia bai­leya­na), pian­ta molto vi­go­ro­sa e dal ra­pi­do svi­lup­po, con ra­mi­fi­ca­zio­ni che par­to­no dalla base, al­lun­ga­te, fles­suo­se, molto lisce e spes­so co­per­te da una sot­ti­le pa­ti­na ce­ro­sa.
I fiori sono riu­ni­ti in pic­co­li globi, molto fitti sul ramo, che ri­sul­ta così co­per­to di una gran­de quan­ti­tà di pal­li­ne do­ra­te.
-La più bella, con fiori pro­fu­ma­ti e aper­ti in in­ver­no, è la Mi­mo­sa deal­ba­ta (Aca­cia de­cur­rens).
Tra le due, è que­st’ul­ti­ma che viene col­ti­va­ta su larga scala nelle no­stre zone, per il com­mer­cio dei suoi fiori; chi du­ran­te la festa della donna non ne ha re­ga­la­ti?
Fac­cio no­ta­re però, che que­sta in real­tà, seb­be­ne venga chia­ma­ta “mi­mo­sa co­mu­ne” da fio­rai e vi­vai­sti, non è la vera mi­mo­sa, ma un’a­ca­cia, come il genus “Aca­cia” ci se­gna­la, la vera mi­mo­sa è l’al­tret­tan­to ben nota Mi­mo­sa pu­di­ca, che pro­du­ce sin­go­li fori a co­ro­na ver­ti­cil­la­ta, di un bel color rosa.
I bo­ta­ni­ci la uti­liz­za­no spes­so anche come pian­ta or­na­men­ta­le, per la de­co­ra­zio­ne di par­chi e giar­di­ni, poi­ché ha un bel fo­glia­me co­lo­ra­to.
L’u­ni­co gran­de di­fet­to, è che ha una ciclo vi­ta­le breve.
Un altro al­be­ro ti­pi­co del­l’O­cea­nia è il Pa­lis­san­dro au­stra­lia­no (Ca­sua­ri­na to­ru­lo­sa), da non con­fon­de­re con il Pa­lis­san­dro bra­si­lia­no (Ja­ca­ran­da ova­li­fo­lia), il vero Pa­lis­san­dro.
Il Pa­lis­san­dro au­stra­lia­no, in Ocea­nia, so­sti­tui­sce in tutti i suoi usi, il Pa­lis­san­dro del Bra­si­le.
Anche il cu­gi­no au­stra­lia­no in­fat­ti, ha un legno du­ris­si­mo, con belle ve­na­tu­re al­ter­na­te brune e ros­sa­stre, che lo ren­de­va­no fino a qual­che anno fa, molto uti­liz­za­to nel­l’in­du­stria dei mo­bi­li.
L’al­be­ro della Ca­sua­ri­na, ha un aspet­to che ri­chia­ma quel­lo dei Ci­pres­si co­mu­ni (Cu­pres­sus sem­per­vi­rens), pur non es­sen­do una co­ni­fe­ra; come i Ci­pres­si in Eu­ro­pa, viene uti­liz­za­to in Au­stra­lia come al­be­ro or­na­men­ta­le nei ci­mi­te­ri.
Inol­tre, come i Ci­pres­si ed altre co­ni­fe­re è una sem­pre­ver­de, con un por­ta­men­to slan­cia­to ed ele­gan­te; le fo­glie, sono pic­co­lis­si­me, ru­di­men­ta­li, quasi in­vi­si­bi­li.
Un altro uti­liz­zo che se ne fa in quel­le splen­di­de terre, è quel­lo di pian­ta or­na­men­ta­le nei fi­la­ri che ador­na­no i viali nelle zone più calde, alla stre­gua dei Piop­pi nel nord Ita­lia, ai Pini co­mu­ni nel cen­tro Ita­lia, in par­ti­co­la­re a Roma e ai Tigli a Pa­ri­gi.
Si­mi­le al Piop­po in­ve­ce è la Ster­cu­la au­stra­lia­na (Bra­chy­chi­ton po­pul­neus), per­ché ha fo­glie quasi “tra­pe­zioi­da­li”, lu­cen­ti, un po’ co­ria­cee a mar­gi­ne on­du­la­to e tre­mu­le al mi­ni­mo alito di vento; a dif­fe­ren­za del Piop­po, che ha fo­glie ca­du­che, que­sta è sem­pre­ver­de.
Ap­par­tie­ne alla me­de­si­ma fa­mi­glia del Cacao (Theo­bro­ma cacao), fa­mi­glia Ster­cu­lia­ceae, ma ad esso non as­so­mi­glia af­fat­to; ha un fusto eret­to, alto, ro­bu­sto, con una cor­tec­cia li­scia e ver­da­stra.
Il suo legno te­ne­ro, si spap­po­la fa­cil­men­te, per cui non trova uso nel­l’in­du­stria dei mo­bi­li, ma fino a qual­che de­cen­nio fa, in­sie­me agli eu­ca­lip­ti, ve­ni­va uti­liz­za­to per pro­dur­re la cel­lu­lo­sa e quin­di la carta.
Alla fa­mi­glia delle Mir­ta­cee (Myr­ta­ceae), ap­par­ten­go­no le Me­la­leu­che, il cui legno du­ris­si­mo, è uno di quel­li uti­liz­za­to dagli abo­ri­ge­ni del­l’O­cea­nia per fab­bri­car­si i fa­mo­si “boo­me­rang”.
Le Me­la­leu­che, Rossa (Me­la­leu­ca hy­pe­ri­ci­fo­lia) e Bian­ca (Me­la­leu­ca dio­smi­fo­lia), sono alte fino a sette metri, in Au­stra­lia, men­tre da noi si svi­lup­pa­no poco, ri­ma­nen­do piut­to­sto ce­spu­glio­se; re­si­sto­no bene alla sic­ci­tà e al pieno sole, hanno fo­glie sem­pre­ver­di, molto chia­re e, fiori rossi o bian­chi, a se­con­da della spe­cie, si­mi­li a piu­met­ti riu­ni­ti in spi­ghe ci­lin­dri­che e com­pat­te.
Una forma bassa (nana), tanto che viene uti­liz­za­ta come pian­ta or­na­men­ta­le per gli ap­par­ta­men­ti,
che at­tec­chi­sce bene anche da noi è lo Ste­no­car­po (Ste­no­car­pus cun­nin­gha­mi,sin. Ste­no­car­pus si­nua­tus), che nella sua terra d’o­ri­gi­ne rag­giun­ge i quin­di­ci metri di al­tez­za, allo stato brado.
Ha fo­glie sem­pre­ver­di, lu­ci­de, di­vi­se in lar­ghi seg­men­ti ir­re­go­la­ri, co­ria­cee, lisce.
I suoi fiori, sono molto to­men­to­si (pe­lo­si), con peli fitti, vel­lu­ta­ti, color rosso scar­lat­to, riu­ni­ti in molti pic­co­li om­brel­li.
Una terza pian­ta ori­gi­na­ria del­l’O­cea­nia, col­ti­va­ta da di­ver­si se­co­li nel ba­ci­no Me­di­ter­ra­neo in vasi, al­l’a­per­to – men­tre in Au­stra­lia rag­giun­ge i 30 m di al­tez­za! – è la Gre­vil­lea (Gre­vil­lea ro­bu­sta).
Sono in­te­res­san­ti le fo­glie di que­sta pian­ta, poi­ché ri­cor­da­no la forma e le di­men­sio­ni delle Felci.
La sua fio­ri­tu­ra è ap­pa­ri­scen­te e cu­rio­sa, poi­ché i fiori sono pic­co­li, di color aran­cio­ne, con una pic­co­la mac­chia ca­sta­na e sono riu­ni­ti in cop­pie o a quat­tro a quat­tro, su ra­met­ti che ne pos­so­no por­ta­re fino a un cen­ti­na­io, tutti ri­vol­ti al­l’in­sù.
In Au­stra­lia, esi­sto­no, come ac­cen­na­to prima, anche le Arau­ca­rie, che sono pre­sen­ti prin­ci­pal­men­te in Su­da­me­ri­ca.
La più bella tra di esse è l’A­rau­ca­ria gi­gan­te (Arau­ca­ria ex­cel­sa, oggi Arau­ca­ria he­te­ro­phyl­la), che pro­vie­ne dalle isole Nor­folk.
E’ la più dif­fu­sa tra le Arau­ca­rie im­por­ta­te nel ba­ci­no Me­di­ter­ra­neo, poi­ché oltre che al­l’a­per­to, vive bene in ap­par­ta­men­to, con pic­co­li esem­pla­ri sem­pre­ver­di, molto gra­zio­si.
In Ocea­nia la sua al­tez­za oscil­la tra 40 e i 60 m; le ra­mi­fi­ca­zio­ni sono di­spo­ste (come tutte quel­le delle Arau­ca­rie), a stel­la in­tor­no al tron­co, in rap­por­to di tre od otto.
Le fo­glie, pic­co­le, aghi­for­mi e un po’ em­bri­ca­te, hanno co­lo­ri di­ver­si, spes­so molto vivi, ap­pa­ri­scen­ti, a se­con­da delle forme ap­po­si­ta­men­te col­ti­va­te a scopo or­na­men­ta­le nei par­chi.
Il Noce Au­stra­lia­no (Ma­ca­da­mia ter­ni­fo­lia), viene col­ti­va­to a scopo ali­men­ta­re, non da noi, ma in molti paesi del­l’O­cea­no Pa­ci­fi­co, spe­cial­men­te nelle isole Ha­waii.
Re­si­ste di­scre­ta­men­te anche ai climi fre­schi ed umidi, pur­ché venga gra­dual­men­te ac­cli­ma­ta­to, poi­ché ge­ne­ral­men­te vive, allo stato spon­ta­neo, al mar­gi­ne delle gran­di fo­re­ste tro­pi­ca­li nel­l’Au­stra­lia me­ri­dio­na­le, ove rag­giun­ge i venti, o ad­di­rit­tu­ra i tren­ta metri di al­tez­za.
Le sue fo­glie, as­so­mi­glia­no a quel­le del­l’O­li­vo, ma spes­so non hanno il mar­gi­ne so­la­men­te on­du­la­to, come quel­le, ma anche se­ghet­ta­to e ta­glien­te.
I frut­ti, che sono pic­co­li e tondi, sono usati sia per es­se­re man­gia­ti, per­ché molto sa­po­ri­ti, sia per estrar­ne l’o­lio di cui sono ric­chi; un olio lim­pi­do e nu­trien­te, uti­liz­za­to in quel­le terre per ar­ro­sti­re le carni, so­prat­tut­to di pesce, o per con­di­men­to.
Da noi il Noce Au­stra­lia­no è poco co­mu­ne; ra­ra­men­te è col­ti­va­to per i fiori color crema o ro­sa­ti, che spic­ca­no riu­ni­ti in grup­pi lun­ghi anche 20 cm, sul fo­glia­me scuro e lu­cen­te.
Poco col­ti­va­to in Ita­lia, ove si trova spe­ci­fi­ca­men­te nei giar­di­ni, o orti bo­ta­ni­ci, è l’al­be­ro del Pane (Ar­to­car­pus in­ci­sa), una pian­ta alta una de­ci­na di metri, con frut­ti ro­ton­di, gros­si come una ca­sta­gna, fa­ri­no­si, con­cre­sciu­ti in corpi car­no­si, gros­si come la testa di un es­se­re umano, pe­san­ti fino a 5 kg!
Que­sti ven­go­no cotti e man­gia­ti; in­fat­ti gli in­di­ge­ni del­l’O­cea­nia, ne fanno an­co­ra oggi (nelle po­po­la­zio­ni tri­ba­li an­co­ra pre­sen­ti in situ), la base del loro nu­tri­men­to (come la ma­nio­ca e la ta­pio­ca per le po­po­la­zio­ni tri­ba­li afri­ca­ne, o i pla­ta­ni per quel­le po­li­ne­sia­ne), ri­du­cen­do­li anche a fa­ri­na e im­pa­stan­do­vi del pane.
Per con­ser­var­li, li pon­go­no in spe­cie di silos, fatti di terra bat­tu­ta, ri­pa­ran­do­li così dal­l’a­ria che po­treb­be tra­spor­ta­re spore e fun­ghi dan­no­si.
Al­cu­ni bo­ta­ni­ci ta­sma­nia­ni, hanno cal­co­la­to che i frut­ti di due o tre al­be­ri, pos­so­no nu­tri­re com­ple­ta­men­te un uomo per un anno in­te­ro!

Spedizione botanica in Oceania

Al­cu­ne es­sen­ze ar­bo­ree del­l’A­sia me­ri­dio­na­le

Al­be­ri pro­ve­nien­ti dalle ca­te­ne del­l’Hi­mà­la­ya

Dal­l’Hi­mà­la­ya – ben­ché la spe­cie si esten­da fino alla Per­sia (Iran) – ci viene lo stu­pen­do Lillà delle Indie o L’al­be­ro dei ro­sa­ri (Melia aze­da­ra­ch), che non deve es­se­re con­fu­so con l’al­tro Lillà, detto anche “Se­re­nel­la” (Sy­rin­ga vul­ga­ris), gros­so ce­spu­glio ori­gi­na­rio del­l’I­ran.
Il Lillà delle Indie è un al­be­rel­lo a cor­tec­cia scura, col­ti­va­to nel ba­ci­no Me­di­ter­ra­neo (anche in Ita­lia e in Fran­cia), per i fiori odo­ro­si, riu­ni­ti in pan­noc­chie di co­lo­re bian­co, con leg­ge­re sfu­ma­tu­re di color lilla; è una pian­ta par­ti­co­lar­men­te ru­sti­ca, che at­tec­chi­sce fa­cil­men­te in qual­sia­si giar­di­no, pur­ché prov­vi­sto di un suolo pro­fon­do e are­no­so.
Tra le spe­cie ar­bo­ree pro­ve­nien­ti dal­l’Hi­mà­la­ya, ne ri­cor­dia­mo an­co­ra una sola, il Cedro hi­mà­lya­no (Ce­drus deo­da­ra), da di­stin­gue­re da quel­lo del Li­ba­no (Ce­drus li­ba­nien­sis); en­tram­bi splen­di­di al­be­ri, ric­chi di sto­ria, poe­sia, mi­to­lo­gia da un punto di vista et­no­lo­gi­co.
Que­sta es­sen­za è una co­ni­fe­ra col­ti­va­ta molto spes­so anche in Ita­lia set­ten­trio­na­le (in quel­la me­ri­dio­na­le, sof­fre il caldo ec­ces­si­vo e la sic­ci­tà).
E’ molto più dif­fu­so del cu­gi­no li­ba­ne­se e spes­so viene con­fu­so con esso; l’a­spet­to di­fat­ti è molto so­mi­glian­te: fusto di­rit­to e molto ro­bu­sto (rag­giun­ge i 40 m di al­tez­za), con nu­me­ro­se ra­mi­fi­ca­zio­ni ca­den­ti verso il basso, co­per­te da un fo­glia­me mi­nu­to, per­si­sten­te e molto ele­gan­te; la sua ca­rat­te­ri­sti­ca pe­cu­lia­re è che la punta del tron­co, non è di­rit­ta come nelle altre spe­cie di Cedri, ma è ri­cur­va e un po’ ri­ca­den­te.

Al­be­ri del­l’In­dia

Dal­l’In­dia, ci viene uno degli al­be­ri più co­mu­ni in tutti i no­stri par­chi e viali al­be­ra­ti l’”Ip­po­ca­sta­no” (Ae­scu­lus hip­po­ca­sta­num).
Que­sta spe­cie si trova però, bio­geo­gra­fi­ca­men­te nel­l’A­sia stes­sa, anche in altre re­gio­ni, poi­ché si esten­de fino al­l’A­sia cen­tra­le; il suo suc­ces­so, come al­be­ro or­na­men­ta­le, è do­vu­to al fatto che oltre ad avere un por­ta­men­to mae­sto­so, è di ra­pi­do svi­lup­po e si adat­ta fa­cil­men­te ovun­que.
E’ trop­po noto l’Ip­po­ca­sta­no, o Ca­sta­gno d’In­dia, per­ché lo de­scri­va come per le altre es­sen­ze prima ci­ta­te, quin­di pas­sia­mo a par­la­re di un altro al­be­ro, an­ch’es­so noto, ma molto im­por­tan­te anche in ter­mi­ni di bo­ta­ni­ca eco­no­mi­ca, poi­ché forma una delle de­co­ra­zio­ni or­na­men­ta­li più ri­cer­ca­te per le no­stre case ed uf­fi­ci, oltre che per altre ra­gio­ni, esso è il Fico del cauc­ciù (Ficus ela­sti­ca).
E’ uno degli al­be­ri della gomma oriun­di del­l’A­sia; gomma che si estrae nello stes­so modo de­scrit­to per la Havè bra­si­lia­no (Hevea bra­si­lien­sis).
E’ una sem­pre­ver­de, con fo­glie molto gran­di, oblun­ghe, lisce e molto lu­cen­ti.
Da noi è col­ti­va­to in modo da po­ter­lo te­ne­re in vaso, ma nelle Indie il Fico del cauc­ciù rag­giun­ge i 15 m allo stato brado, svi­lup­pan­do un tron­co di no­te­vo­li di­men­sio­ni, cir­con­da­to da ra­di­ci gros­sis­si­me e alte anche fino a mezzo metro, si­mi­li a mu­ric­cio­li ser­peg­gian­ti.
As­sie­me ad esso, venne in­tro­dot­ta nel no­stro con­ti­nen­te, gra­zie a so­cie­tà (con­sor­zi) di mer­can­ti ed esplo­ra­to­ri, che ave­va­no grup­pi di bio­lo­gi nelle loro go­let­te, navi, va­scel­li, come la Com­pa­gnia delle Indie Olan­de­se, In­gle­se ecc. e anche ad opera dei fran­ce­si, un’al­tra spe­cie pro­pria del­l’In­dia orien­ta­le, il Fico del Ben­ga­la (Ficus ben­ga­len­sis), che può es­se­re col­ti­va­to nelle re­gio­ni me­ri­dio­na­li, anche al­l’a­per­to.
E’ più pic­co­lo del Fico del cauc­ciò, ma è in­te­res­san­te per­ché dai suoi rami, che for­ma­no una co­ro­na al tron­co, emet­te molte ra­di­ci av­ven­ti­zie, che scen­do­no fino a terra, crean­do con altri fusti se­con­da­ri una con­for­ma­zio­ne si­mi­le a una ca­pan­na, con un tetto so­ste­nu­to tut­t’at­tor­no, da un certo nu­me­ro di pali sot­ti­li e, al cen­tro, da una co­lon­na più gros­sa, pure cir­con­da­ta da ra­di­ci, non gran­di co­mun­que come l’al­tra spe­cie, ma in­tri­ca­tis­si­me.
Col­ti­va­ta tal­vol­ta anche nei no­stri Orti Bo­ta­ni­ci è anche la Can­nel­la (Cin­na­mo­mum zey­la­ni­cum), pro­ve­nien­te sia dal­l’In­dia (Isola di Cey­lon), che dalla Ma­le­sia.
La Can­nel­la ci dà una delle spe­zie più note fin dai tempi an­ti­chi, tanto che se ne parla anche nel Vec­chio Te­sta­men­to; i ci­ne­si l’han­no da sem­pre usata.
Gli an­ti­chi la ri­ce­ve­va­no dal­l’In­dia, at­tra­ver­so l’E­tio­pia e l’A­ra­bia, donde era tra­spor­ta­ta ad Alep­po, Siria – più tardi ad Ales­san­dria – e di lì, at­tra­ver­so il Me­di­ter­ra­neo in Ita­lia (Si­ci­lia) e in Gre­cia.
Gli Arabi ne fe­ce­ro un lungo com­mer­cio, che poi passò in mano ai ve­ne­zia­ni.
Quan­do i por­to­ghe­si oc­cu­pa­ro­no nel 1505 l’I­so­la di Cey­lon ( a sud del­l’In­dia), che pro­du­ce­va molta Can­nel­la, ne ini­zia­ro­no il suo com­mer­cio e tra­spor­to in Eu­ro­pa, cir­cum­na­vi­gan­do l’A­fri­ca e così strap­pa­ro­no il mer­ca­to ai ve­ne­zia­ni.
I por­to­ghe­si si ac­cor­da­ro­no poi con gli olan­de­si, per bloc­ca­re anche il pic­co­lo com­mer­cio delle po­po­la­zio­ni lo­ca­li, fin­ché nel 1796, in­ter­ven­ne­ro gli in­gle­si, che di­ven­ne­ro così i pa­dro­ni del­l’i­so­la in­dia­na.
Essi abo­li­ro­no al­lo­ra, anche le re­stri­zio­ni di ven­di­ta im­po­ste dagli olan­de­si agli in­di­ge­ni, i quali ve­ni­va­no sot­to­po­sto a pene pe­san­tis­si­me, com­pre­sa la morte, se com­mer­cia­va­no anche un solo ba­ston­ci­no di Can­nel­la.
Gli stes­si in­di­ge­ni però, usa­va­no la Can­nel­la nelle loro tra­di­zio­na­li feste re­li­gio­se, per pre­pa­ra­re olii, un­guen­ti e, per aro­ma­tiz­za­re il vino.
Mal­gra­do ciò, i so­pru­si com­piu­ti dai primi co­lo­niz­za­to­ri, di quel­le terre, fu­ro­no molto gravi, cru­de­li, ogni­qual­vol­ta qual­che in­dia­no o, qual­che ma­le­se, ve­ni­va sor­pre­so con della Can­nel­la; gli Eu­ro­pei, che avreb­be­ro do­vu­to es­se­re por­ta­to­ri di ci­vil­tà, della giu­sti­zia e della legge equa, si com­por­ta­ro­no in­ve­ce, come degli sfrut­ta­to­ri, degli avidi com­mer­cian­ti, in­ten­ti solo ad ac­cu­mu­la­re ric­chez­ze, con il la­vo­ro e spes­so il san­gue dei po­po­li sot­to­mes­si”.
La Can­nel­la del com­mer­cio, non è solo quel­la di Cey­lon.
Se ne co­no­sco­no anche altre, si­mi­li, tra cui quel­la di Ca­ien­na, non in­tro­dot­ta lun­ga­men­te da noi e, quel­la ci­ne­se (Cin­na­mo­mum cas­sia), che è di co­lo­re più scuro.

Cedro dell'Himalaya

Al­be­ri delle isole della Sonda

Due sono le spe­cie pro­ve­nien­ti dalle isole della Sonda, isole a sud del­l’A­sia, tal­vol­ta col­ti­va­te in serra da noi e, che sono tutte note per­ché pro­du­co­no due altre spe­zie molto co­mu­ni: la Noce mo­sca­ta e l’Eu­ge­nia (Eu­ge­nia ca­ryo­phyl­la­ta), che ci da i co­sid­det­ti “chio­di di ga­ro­fa­no”.
Tutte e due pro­ven­go­no dalle isole Mo­luc­che e hanno pres­s’a poco, la stes­sa sto­ria e molto si­mi­le anche a quel­la della Can­nel­la.
La Noce Mo­sca­ta (My­ri­sti­ca fra­grans), è un al­be­ro alto fino a do­di­ci metri, chia­ma­ta in Asia “Kam­bang pala”.
Il suo frut­to, è car­no­so si­mi­le a un’al­bi­coc­ca, anche per il suo color gial­lo pal­li­do.
Quan­do ma­tu­ro, si apre da solo in due parti (frut­to dei­scen­te), la­scian­do usci­re il seme, che cade a terra; esso, è pro­tet­to da una pa­re­te le­gno­sa (mallo), con un aril­lo color rosso aran­cia­to, ricco di so­stan­ze aro­ma­ti­che.
E’ chia­ma­to “macis” e da esso si estrag­go­no molte so­stan­ze uti­liz­za­te in me­di­ci­na.
Il seme vero e pro­prio, da un punto di vista bo­ta­ni­co, sec­can­do­si di­ven­ta gri­gia­stro, con un al­bu­me ve­na­to, mar­mo­riz­za­to, con ve­na­tu­re di un color va­ria­bi­le dal gri­gio al bruno ros­sa­stro, in­trec­cia­te in ogni di­re­zio­ne.

Que­sta spe­zia, venne in­tro­dot­ta in Eu­ro­pa dai por­to­ghe­si, fino ad al­lo­ra non era nota – sot­to­li­neo però che in ter­mi­ni pa­leo­bo­ta­ni­ci, se ne sono tro­va­ti fram­men­ti su mum­mie egi­zie – quan­do que­sti so­praf­fe­ce­ro il com­mer­cio ve­ne­zia­no di tutte le spe­zie, fa­cen­do come ab­bia­mo de­scrit­to, il giro del­l’A­fri­ca.
I ve­ne­zia­ni in­fat­ti, com­pe­ra­va­no nei porti del­l’A­sia Mi­no­re, dove essa giun­ge­va via terra, per mezzo di ca­ro­va­ne.
E’ in­te­res­san­te ri­cor­da­re che nel 1700 gli olan­de­si, suc­ces­so­ri dei por­to­ghe­si e pos­ses­so­ri di gran parte delle isole della Sonda, vol­le­ro avere il mo­no­po­lio della Noce Mo­sca­ta, molto ri­chie­sta nei mer­ca­ti eu­ro­pei.
Di­strus­se­ro per­ciò tutti gli al­be­ri che tro­va­ro­no, esclu­si quel­li in al­cu­ne isole da loro ben con­trol­la­te, pre­ci­sa­men­te le isole di Banda.
La Com­pa­gnia delle Indie, for­ma­ta da com­mer­cian­ti olan­de­si molto po­ten­ti, pos­se­de­va una pic­co­la flot­ta che in­cro­cia­va in tutti i mari della Sonda, per te­ne­re lon­ta­ni gli altri eu­ro­pei dalle isole Mo­luc­che e, per sor­ve­glia­re le coste della Cina e della Ma­le­sia, in modo da im­pe­di­re il con­trab­ban­do della pre­zio­sa spe­zia.
Tut­ta­via, come sem­pre, i con­trab­ban­die­ri fa­ce­va­no mi­ra­co­li; so­prat­tut­to quel­li ci­ne­si, che con le loro sot­ti­li giun­che dalle vele di pa­glia in­trec­cia­ta, sa­pe­va­no abil­men­te in­gan­na­re i sor­ve­glian­ti olan­de­si.
Anzi, qual­che volta spin­ge­va­no il loro ar­di­re, fino ad ab­bor­da­re le navi olan­de­si in­cen­dian­do­le e in­gag­gian­do fe­ro­ci bat­ta­glie, aiu­ta­ti in que­sto anche dai ma­le­si.
Fu­ro­no però i fran­ce­si che riu­sci­ro­no a rom­pe­re il mo­no­po­lio olan­de­se, pian­tan­do la Noce Mo­sca­ta dap­pri­ma nella isola di Mau­ri­zio e poi in tutte le loro co­lo­nie, poste in zona equa­to­ria­le e tro­pi­ca­le.
Pur di man­te­ne­re alto il prez­zo della Noce Mo­sca­ta, gli olan­de­si quin­di ar­ri­va­ro­no fino a que­sto punto: nel 1760 ne ave­va­no ac­cu­mu­la­ta trop­pa, al­lo­ra per ven­der­la sa­reb­be­ro stati co­stret­ti ad ab­bas­sar­ne il prez­zo di pa­rec­chio, per im­pe­dir­lo, ne fe­ce­ro un gran­de falò, bru­cian­do­ne per un va­lo­re cor­ri­spon­den­te a 300 mi­lio­ni di euro at­tua­li.
Le noci bru­cian­do, spri­gio­na­ro­no i loro aromi, inon­dan­do le stra­de con l’o­lio pro­fu­ma­to che ne usci­va di sotto i muc­chi, scor­ren­do fino al mare: poi­ché que­sta ope­ra­zio­ne venne com­piu­ta nel porto di Am­ster­dam

La pian­ta che ci for­ni­sce i “chio­di di ga­ro­fa­no”, come detto prima è l’Eu­ge­nia (Eu­ge­nia ca­ryo­phyl­la­ta), un al­be­ro ab­ba­stan­za alto – tal­vol­ta su­pe­ra i 12 m di al­tez­za – di cui si usano i fiori.
I “chio­di”, altro non sono che il fiore an­co­ra in boc­cio, con un ca­li­ce breve co­sti­tui­to di quat­tro pe­ta­li molto rav­vi­ci­na­ti, per ri­co­pri­re gli stami, for­man­ti come una pal­li­na.
Que­sto boc­cio­lo, viene rac­col­to due volte l’an­no e fatto sec­ca­re, ope­ra­zio­ne con cui as­su­me l’a­ro­ma ca­rat­te­ri­sti­co.
Quan­do è fre­sco, ha ini­zial­men­te un co­lo­re bian­co-ver­de, per poi di­ve­ni­re rosso.

La sto­ria di que­sta spe­zia, come ab­bia­mo scrit­to prima, è molto si­mi­le a quel­la della Noce Mo­sca­ta; erano noti in Cina da tempo im­me­mo­ra­bi­le e tal­vol­ta ve­ni­va usato in India, dove ve­ni­va chia­ma­to “La­van­ga”.
I por­to­ghe­si, quan­do sco­pri­ro­no la pian­ta, fe­ce­ro ciò che gli olan­de­si fe­ce­ro in se­gui­to con la Noce Mo­sca­ta, cer­ca­ro­no cioè di li­mi­tar­ne la col­tu­ra nella sola isola di Am­bòi­na (ar­ci­pe­la­go delle Mo­luc­che, In­do­ne­sia), estir­pan­do l’Eu­ge­nia al­tro­ve.
Il primo a de­scri­ver­la fu il bo­ta­ni­co Ita­lia­no An­to­nio Pi­ga­fet­ta, che era al ser­vi­zio di Ma­gel­la­no, gran­de am­mi­ra­glio por­to­ge­he­se, quan­do que­sti fece la sua spe­di­zio­ne esplo­ra­ti­va nei mari del­l’A­sia; Pi­ga­fet­ta vide per la prima volta l’Eu­ge­nia, di cui già co­no­sce­va i “chio­di” che giun­ge­va­no in Eu­ro­pa dai mer­can­ti ci­ne­si e in­dia­ni , nel lon­ta­no 1551.
I por­to­ghe­si ven­ne­ro poi, come detto, sop­pian­ta­ti dagli olan­de­si, che fon­da­ro­no il loro im­pe­ro co­lo­nia­le sulle isole sco­per­te dai por­to­ghe­si.
Gli olan­de­si, eb­be­ro dei te­mi­bi­li con­cor­ren­ti, fin­ché anche per l’Eu­ge­nia, ac­cad­de quel­lo che av­ven­ne per la Noce Mo­sca­ta.
I bo­ta­ni­ci fran­ce­si cioè, co­min­cia­ro­no a col­ti­va­re le pian­te prima nel­l’i­so­la di Mau­ri­zio e, poi in altri loro pos­se­di­men­ti co­lo­nia­li, con il clima adat­to.

Con­clu­sio­ni:

Que­sto ar­ti­co­lo, è stato prin­ci­pal­men­te un rac­con­to, più che un ar­ti­co­lo scien­ti­fi­co-tec­ni­co, una sto­ria che in parte ci ha por­ta­to in terre lon­ta­ne, che an­co­ra oggi in que­sta epoca trop­po tec­no­lo­gi­ca ove in poche ore si ar­ri­va ovun­que, rie­cheg­gia­no an­co­ra mi­ste­rio­se, un po’ come nei ma­gni­fi­ci rac­con­ti di Emi­lio Sal­ga­ri, par­lan­do di al­be­ri, di frut­ta e spe­zie, gio­iel­li della Na­tu­ra, che in real­tà con­tra­ria­men­te a quan­to cre­dia­mo, co­no­scia­mo poco e, poco le stu­dia­mo, trop­po presi come siamo, come spe­cie o razza, nel crea­re nuovi stru­men­ti tec­no­lo­gi­ci, nel pen­sa­re solo al no­stro be­nes­se­re.
Ma tanto dob­bia­mo a quei ma­gni­fi­ci bio­lo­gi (bo­ta­ni­ci, et­no­bio­lo­gi) ed esplo­ra­to­ri del pas­sa­to, nel­l’a­ver­ci rac­con­ta­to sto­rie così belle.

Bi­blio­gra­fia:

Exo­tic Tree Fruit for the Au­stra­lian Home Gar­den, Glenn Tan­kard, 2010
PRO­SEA-Plant Re­sour­ces of Sou­th-Ea­st Asia 2, Edi­ble Frui­ts and Nuts, ed. E. W. M. Ve­rheig and R. E. Co­ro­nel, 1998
Five De­ca­des with Tro­pi­cal Frui­ts, Bill Whit­man, 1978
En­cy­clo­pé­die mon­dia­le des frui­ts et des frui­ts secs, Au­teur : Su­san­na Lyle Edi­teur : De Vec­chi, édi­tion oc­to­bre 2007
Les Frui­ts Exo­ti­ques Jean-Yves Prat, 2000
Livre Chas­seurs de Plan­tes – Ex­plo­ra­teurs et bo­ta­ni­stes au tour du monde, Louis Marie elise Blan­chard-Ter­ri­toi­res No­ma­des Edi­tions, 1971
I frut­ti tro­pi­ca­li in Ita­lia, Gu­gliel­mo Bet­to-Or­ni­to­rin­co Riz­zo­li, 1982

Giu­lia­no Rus­si­ni è lau­rea­to in Scien­ze Bio­lo­g­i­che al­l’U­ni­ver­si­tà La Sa­pien­za di Roma, con spe­cia­liz­za­zio­ne in bo­ta­ni­ca e zoo­lo­gia; suc­ces­si­va­men­te ha con­se­gui­to in UK e Fran­cia la spe­cia­liz­za­zio­ne in et­no­bio­geo­gra­fia. La­vo­ra come cu­ra­to­re al Giar­di­no Eso­ti­co di Hen­daye, Fran­cia. (e-mail: rus­si­ni­giu­lia­no@​yahoo.​it).

 

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