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“Storia Naturale della regina dei fiori”

di Giuliano Russini

Premessa

Sulla storia della Rosa, sono stati scritti decine di libri ed opere, mentre la rete è piena di tentativi più o meno riusciti, alcune volte concedetemi di dire “orribili”, in cui si prova a raccontare la vita e l’origine di questa pianta.
In realtà, almeno in rete, si leggono sovente pessimi tentativi ad opera di chi si definisce, o si autotitola grande conoscitore del mondo vegetale, o giardiniere (come se le due cose coincidessero), senza però presentare alcuna pubblicazione scientifica vera e seria su riviste di botanica; per cui negli interventi che fanno sui loro blog, inseriscono spesso notizie errate sulla specie in questione, senza rendersene conto, o volutamente ad esempio, quando parlano di chi ha creato un determinato ibrido di rosa, oppure su chi ne ha scoperto una determinata specie spontanea in natura, specialmente se a farlo sono stati botanici (biologi), anche quando (ed è avvenuto molto spesso ovviamente, essendo il loro mestiere), sono stati proprio questi a scoprire quella determinata specie di rosa spontanea, o a creare quel determinato ibrido ecc., mettendo al loro posto le figure più assurde come architetti, giardinieri in missioni stile Sandokan, cosa mai accaduta, o addirittura filosofi, matematici e farmacisti, per non parlare di quel fantomatico esercito degli autodidatti, che in Italia viene sempre fatto passare per chi ha capito tutto!
Ma non solo, i nomi scientifici che inseriscono, binomiali e trinomiali, per specie e razze, come le relative descrizioni, guarda caso vengono copiati da libri di botanici e, non di persone che nella vita svolgono altri mestieri.

Purtroppo in Italia, permettetemi questa breve divagazione, c’è lo strano tentativo da un decennio a questa parte, specchio di una società in confusione, di voler far credere che chi prende un diploma, una laurea cioè studia, soprattutto per quanto riguarda le scienze della “natura” come il biologo, il geologo, l’agronomo (non avendo il coraggio nessuno di mettere bocca nei fatti dei matematici e dei fisici, perché le equazioni le capiscono in pochi), ed oggi anche il medico, visto che si auto-curano in tanti, vada a scuola e nelle Università non ad imparare, bensì a disimparare, come se una persona laureandosi in biologia, agronomia, geologia, medicina diventi meno intelligente, anziché portare a limite massimo le conoscenze di un gruppo di discipline, ed imparando cose che solo nelle Università si studiano, mentre per ragioni “ignote, quasi esoteriche”, l’autodidatta o chi ha titoli in altro (ingegneria, architettura, matematica, farmacia, filosofia ecc.), per un influsso divino, capisce tutto, è preparatissimo ha una mente aperta…..!

Oppure, si sente dire che le Università non servono, che semplicemente basta l’esperienza e la passione che ci vuole… ?
La passione che una madre ha per la/il propria/o figlia/o e l’esperienza, è unica al mondo, ma se il/la proprio/a bambino/a purtroppo si ammala, è sempre bene che lo/la porti dal pediatra perché venga curato/a, non sono sufficienti l’amore e la passione, l’esperienza; come se poi un laureato lavorando non faccia esperienza.
A tal proposito, basta farsi un giro tra i vari blog italiani, che escono fuori come funghi ogni giorno, di “pseudo esperti” in piante, animali e natura, finanche archeologia, dove si leggono giudizi offensivi e discriminatori nei confronti del professionista di turno, perché “laureato” in discipline anche molto antiche (come biologia, archeologia, geologia…ecc,.), il quale non può capire cosa sono le piante, come si coltivano, la cui conoscenza botanica, pur essendo magari professore di botanica sistematica, è sicuramente inferiore a quelle del coltivatore di rose, del vivaista di turno che le vende, in quanto commerciante, dell’amante di piante e scrittore di gialli, ecc., ed oltre tutto queste persone consultano i blog e wikipedia anziché i libri accademici, per cui è ovvio che sono molto più preparati, mentre il biologo, l’archeologo, il geologo, il medico, l’agronomo, nelle loro discipline sono bloccati, non comprendono, non imparano, al contrario degli “illuminati”, mai laureati nelle coerenti branche ma in altro come in legge, in architettura, in storia dell’arte, in filosofia, oppure ancora meglio senza nessun titolo accademico, che hanno la verità in mano e finalmente, vorrebbero chiarirci mettendoci così in guardia, sulla “Teoria dell’Evoluzione Organica”, o ci illuminano su come funzionano le piante, gli animali e la natura in generale, su come è avvenuta l’origine delle rocce e delle catene montuose, dei laghi e degli oceani, oppure sull’origine della vita, che noi povere persone che abbiamo frequentato le Università, prendendo la laurea in quel campo, non potremmo mai comprendere; prova maiuscola fu l’intervista di circa due anni fa, fatta ad un vivaista, che vidi qua in Italia (ma questo è anche colpa dell’ignoranza a volte, dei giornalisti, almeno quelli odierni, nell’ambito scientifico e storico), durante un periodo di breve vacanza, al TG3, il quale pretendeva di aver dimostrato l’esistenza del cambiamento climatico, matassa intricata che da decenni premi Nobel e scienziati da ogni dove, non riescono a dipanare, affermando che piante tropicali (fece l’esempio di una comune musacea ormai cultivar da 64 anni, il Banano varietà nana o Cavendish, importato in Inghilterra a fine del XIX secolo, guarda caso dal botanico inglese Thomas Fyffe, pianta di origine Indocinese e che sostituì durante gli anni ’50 del secolo XX, la varietà Gros Michel o Big Mike, annientata dalla sindrome di Panama), crescevano bene in Italia perché si era tropicalizzato il clima, peccato che queste piante, le teneva in serra ad ambiente controllato!
Nessuno mette in dubbio, che qualche autodidatta può aver per esempio dato una mano nel trovare qualche specie, o razza di coleottero, o farfalla, o orchidea, ad esempio i collezionisti, ma appunto il tutto è avvenuto in termini di collezioni, come fossero francobolli, ma nessuno sottolinea che il 99,99% delle specie vegetali ed animali, sono state scoperte dai biologi di vario tipo, cioè botanici, zoologi, entomologi, ornitologi, lepidotterologi, coleotterologi, ecologi ecc., ma soprattutto che la comprensione di come avvenga la metamorfosi di una farfalla, le variazioni anatomiche, gli aspetti evolutivi, l’enorme cascata di fattori biochimici coinvolti, come anche le modalità di percezione della luce da parte delle piante, gli effetti cronobiologici, o la fotosintesi clorofilliana, sono stati delineati nei dettagli dai biologi nel corso della storia umana, non dagli autodidatti, né tanto meno da architetti od altri.
Personalmente adoro l’arte antica e classica, la cultura greca, minoico-cretese, etrusca, anatolico-balcanica, dell’antica Roma e del bacino mediterraneo in generale, come anche l’arte antica e classica, lo stile liberty, l’archeologia convenzionale classica e non convenzionale, di cui ho letto tantissimo, ma mai mi sentirei solo di poter pensare di essere al medesimo livello dello storico dell’arte e, dell’archeologo, professionisti nei loro campi.

Per amore dì verità e giustizia quindi, con questo articolo vorrei tracciare brevemente non solo la Storia Naturale della regina dei fiori la “Rosa”, ma anche, essendo andato di volta, in volta, alla fonte originale (Inglese, Olandese, Francese e Tedesca ecc.,), nei vari giardini botanici, nelle biblioteche dei Musei di Storia Naturale, ecc., sulla reale figura coinvolta nella scoperta di quella determinata specie spontanea o nella creazione di quel determinato ibrido, dare quindi luce a quei biologi (botanici), che hanno dato un grandissimo contributo alla “Rodologia”, spesso volutamente o meno dimenticati.
Accade di frequente sentire dire o leggere, da chi non è un cultore di botanica ad esempio (ho letto questo in diverse tesi di architetti paesaggisti, che ne fanno solo un brevissimo cenno), quasi al limite del dispetto che: “…..in passato nel 1700 e 1800 al contrario di oggi, quasi tutti gli studiosi di piante erano medici o farmacisti o non laureati…”, nulla di più “falso e sbagliato!”, sfatiamo questo luogo comune, questa leggenda!
In realtà nel 1700 e 1800, come anche oggi, per la maggior parte erano sempre botanici (biologi), gli scienziati dediti alla scoperta mediante missioni anche in aree selvagge, ed ignote (foreste tropicali, subtropicali, equatoriali, boreali, australi, montane, alpine ecc,.), di esemplari di piante che poi riportavano nei Musei di Storia Naturale e nei vari Giardini Botanici (i cosiddetti cacciatori o raccoglitori di piante), per determinarne la classificazione tassonomica, la biogeografia (lo stesso per gli animali), dove ne studiavano la fisiologia, ed i bisogni nutritivi, in relazione anche alle caratteristiche edafiche e pedologiche del suolo d’origine, le necessità colturali, oppure compiendo studi di serrologia e riproduzione, quindi verificando se ciò era possibile per via asessuale, sessuale o, mediante propagazione vegetativa, studiando così anche i cicli vitali di queste organismi, facendo studi evolutivi e paleobotanici, anatomici, morfologici e poi genetici, finanche estetici, rivolti all’uso in giardini storici per le specie ornamentali; medici e farmacisti invece, si limitavano solamente alla conoscenza di quella ventina/trentina di piante ben conosciute e caratterizzate, come la Belladonna (Atropa belladonna, L.), la Digitale (Digitalis purpurea, L.) ecc., dalle cui foglie, rizomi, radici, frutti, ricavavano estratti medicamentosi per gli esseri umani e gli animali, ma realmente i loro contributi alla tassonomia vegetale, alla biogeografia vegetale, alla fisiologia vegetale, o alla scoperta in natura di nuove specie, sono stati pressoché nulli!
Anche Linneo, spesso viene volutamente fatto passare per medico, ma Linneo studiò anche scienze e spesso questo si dimentica; che poi all’epoca gli scienziati potessero dedicarsi, al contrario di oggi, all’arte curativa, o medica, o come veniva chiamata all’epoca “materia medica”, è altro discorso, ad esempio molti chimici e farmacisti durante il diciottesimo secolo, curavano anche i malati, ed i medici oltre che gli esseri umani, curavano anche gli animali, non esistendo la figura del veterinario fino al XIX secolo; questo oggi, nei vari casi appena citati, sarebbe impensabile, oltre che illegale!
Lo stesso termine “Rodologia”, quella branca della botanica devota allo studio delle “rose”, venne coniato nel 1806 dal Dr Sc Jacque du Buffet, un biologo francese del Jardin Botanique du Val Rahmeh, Mentone, Francia.
Passiamo ora a vedere un po’ come sono nate i vari ibridi di Rosa e la storia della Rosa in generale.

Rosa Burmese

Origine delle Rose

Le rose, come quasi tutte le piante, sono nate prima dell’uomo, sono stati rinvenuti fossili di questa pianta in varie parti del mondo, recanti tracce di foglie di rose uguali alle attuali.
I paleobiologi, ritengono che la loro età risalga a 35, o persino 70 milioni di anni fa!
Dal punto di vista geografico, sembra che le rose siano nate nell’emisfero settentrionale (Boreale) e, che siano originarie dall’Oriente, probabilmente dalla Cina e/o dall’India.
Attraverso i secoli esse si sono estese anche in occidente, sia per la diffusione operata dall’uomo, che per la naturale propagazione attuata dal vento, dagli insetti e dagli uccelli.
Le rose gallica, phoenicea, moschata e canina, che fiorirono in Europa fino alla fine del diciottesimo secolo e le loro discendenti, vi furono portate dai Crociati di ritorno dal medio Oriente.
Le rose gialle vennero dalla Persia (attuale Iran), rappresentate in un primo tempo dalla delicata Sulphur, ed in un secondo tempo nel 1837, dalla Rosa foetida persiana, che ha giocato un ruolo davvero importante nella creazione delle più belle varietà.
Nel 1750, ha avuto inizio una nuova era della “Storia della Regina dei Fiori”, quando dei biologi esploratori riportarono dalla Cina, una rosa rosso cremisi, la chinensis e, una “forma” coltivata di Rosa gigantea ( o Rosa odorata), che i botanici classificarono nel 1889 come “rosa tea selvaggia di Burma”, detta “rosa Burmese”.
La proprietà essenziale di questa specie, era la fioritura assai prolungata, mentre tutte le rose europee, all’infuori della Damascena bifera (ovvero la rosa autunnale, che ha una seconda fioritura in autunno), fiorivano una sola volta per stagione.
Erano anche delicate, le rose che si coltivavano allora nel nostro continente, per cui i botanici si prefissero di rinforzarle e di conferirgli la proprietà della fioritura continua; ciò attrasse i floricoltori per fini commerciali.
Dapprima i biologi le incrociarono con la spontanea Rosa chinensis, la rosa rossa di Cina e con la Gigantea, con l’evidente scopo di creare un ibrido robusto.
Le principali rose che nacquero da questa unione furono: la Slater’s Crimson China (1792), la Parson’s Pink China (1793), la Hume’s Blush Teascendent China e la Park’s Yellow Teascendent China, a quel tempo unico esemplare puro, di rosa gialla.
Tuttavia anche queste erano rose fragili, di scarso valore commerciale, per tale ragione i botanici le incrociarono con le Autumn Damask Rose.

Da tale incrocio, nacquero le Portland, la Rosa Bourbon e, la tipica Rose du Roi, progenitrici delle rose ibride perpetue.
Fra le perpetue ibride che si trovano ancora oggi nei giardini comunali e casalinghi, sono da ricordare: la General Jacqueiminot (1883), la Mrs John Laing (1887), la Frau Karl Druschki (1900), la Gorge Dickinson (1912) e la Hugh Dickinson (1900).
Lo stadio seguente nella storia del rose, fu la produzione delle mitiche “rose tee”, tanto ricercate nella seconda metà del XIX secolo nei giardini storici, ottenute incrociando le ibride della Cina con le rose Bourbon.
Queste rose, sono state nominate “tea roses”, perché avevano il profumo del tè importato dal Bengala.
Esse erano generalmente di una delicata tonalità rosa-avorio.
Tra il 1820 e il 1830, la Parson’s Pink China Rose, venne incrociata da alcuni botanici, con la rosa muschiata e se ne ottenne la Champney’s Pink Cluster, dal profumo dolciastro, che è da considerarsi la prima delle nuove rose “noisette”.
Una “noisette” gialla, venne prodotta nel 1830, incrociando la Champney’s Pink Cluster, con la Park’s Yellow teascendent China, ma l’ibrido che ne risultò aveva più le caratteristiche di una “rosa tea”, che di una “noisette”.
Quando nel 1833, un botanico Inglese incrociò questa rosa ancora una volta con la Park’s Yellow Teascendent China, ne risultò la famosa “rosa tea Devoniensis”, molto amata dai nobili Inglesi, dal colore bianco panna.
Così fu possibile coltivare sia le rose tee ibride rosa, che quelle gialle.
Incroci successivi portarono alla creazione delle rose tee, tanto ricercate nei “giardini d’inverno”, del tardo periodo Vittoriano, ma anche queste purtroppo, non erano robuste, “rustiche”.
Le varietà tipiche erano la Niphetos (bianca), la Marie van Houtte (giallo crema), la Catherine Mermet (rosa lilla).
La Maréchal Niel and Gloire de Dijon, che ancora oggi adorna i nostri giardini, era invece più robusta.
Fu quindi inevitabile, l’incrocio delle delicate “tea” con le ibride perpetue, incrocio che produsse le “rose tee ibride”.
Il botanico inglese Hanry Bennet, creò due, tra le prime rose tee ibride e tra le più importanti: la Lady Mary Fitzwilliam (1883) e, la William Francis Bannet (1884).
Tre quarti delle rose moderne, devono la loro esistenza a questi due risultati.
A questo punto, bisogna ricordare, cosa spesso non segnalata, che nel XIX secolo tutte le rose erano praticamente solo di colore rosso, rosa e bianco.
Dobbiamo le caleidoscopiche tonalità di oggi (gialle, arancioni, fiammate e bicolori), al botanico francese Pernet-Ducher dei Jardins de Louxemburg di Parigi, che per molti anni lottò per ottenere nuovi colori.
Produsse corolle gialle “Soleil d’Or”, incrociando la ibrida perpetua Antoine Ducher, con la Rosa foetida persiana.
All’inizio, benché la tinta fosse perfetta, la rosa si sfogliava ed era molto soggetta alla “fumaggine” (malattia fungina).
In seguito, grazie ad un lavoro attento e paziente, la rosa, battezzata Pernetiana in onore del suo creatore, è stata perfezionata.
Da vari incroci della Pernetiana, si sono ottenute piante magnifiche come Gioia, Super Star e Fragrant Cloud.

Rose antiche

Rose rampicanti ibride di polyantha, floribunde e pompons polyantha

La serie di incroci, che ha portato alla produzione delle rose tee ibride, avvenne insieme ad un’altra serie di incroci, destinata alla creazione delle “floribunde”.
Nel 1860 il biologo esploratore tedesco Siebold, riportò dal Giappone i semi di una rosa che un botanico svedese, Thunberg, aveva battezzato, sessant’anni prima Rosa multiflora Thunberg.
Da alcuni di questi semi, nacquero dei rampicanti a doppio fiore; qualche anno più tardi in Francia, il botanico francese Guillot, ottenne degli esemplari “nani rifiorenti”.
Con incroci successivi, si poté ottenere, nel 1881, la “rosa Mignonette”, rosa pallido.
Questa nuova rosa, ha un grande importanza nella storia dei fiori, in quanto può essere considerata la progenitrice delle rose “polyantha” e delle “floribunde”.
La caratteristica più interessante di questa varietà, era la proprietà di resistere alle basse temperature, caratteristica che è stata geneticamente trasmessa anche alla sua progenie.
Un ibrido della “Mignonette”, ha poi dato origine alla “rosa Orléans”, creata nel 1909, ed una specie anomala dell’Orléans, ha dato luogo a una nuova classe di rose, denominate “pompons polyantha”.
Nel 1924 il biologo svedese Svend Poulsen docente di botanica sistematica all’Università di Stoccolma, avendo come obiettivo la creazione di una varietà di rose, che potesse resistere al rigore invernale del Nord Europa, avvantaggiandosi della resistenza dei “pompons polyantha”, riuscì a produrre le “Else Poulsen e Kirsten Poulsen”, nel medesimo anno.
Pur essendo molto resistenti al freddo, queste rose producevano un fiore singolo, non profumato e, dal punto di vista moderno e commerciale, piuttosto mediocre come linea e bellezza.
Nel 1947 un altro botanico ibridista americano, Boerner, creò una floribunda, con fiori tipo rosa tea ibrida profumati e la chiamò “Fashion”.
Questa fu la primigenia, di una vasta categoria di rose denominate “floribunde tipo tea ibrida”.
Le floribunde, sono andate via, via migliorando negli ultimi 35 anni; tra gli esemplari si possono elencare le “Queen Elizabeth, Paddy McGredy, Violet Carson, Golden Gleam”.
Le caratteristiche delle floribunde miglioreranno ancora, per cui avranno sempre più successo commerciale.
Con fiori più grandi, petali più numerosi e profumi più intensi, esse potranno eguagliare se non lo hanno già fatto, la popolarità delle rose tee ibride.

La Royal National Rose Society (RNRS) ed altre associazioni

La Royal National Rose Society (RNRS), venne fondata nel 1876 in Inghilterra, ed ha iniziato con un ristretto numero di botanici, coltivatori e floricoltori entusiasti: oggi da un iniziale numero di 50 soci, siamo arrivati a circa 250.000.
Medesime associazioni sono presenti in tutte le nazioni, come per altre specie di fiori, quali le Orchidee; per cui abbiamo equivalenti associazioni in Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Belgio, Danimarca, Bulgaria, Turchia ecc., di prestigio equivalente.
Nel caso della RNRS, come per la “Société Française des Roses” (SFR), fondata a Lione nel 1886, lo stesso discorso vale per le relative associazioni e società negli altri paesi europei, permette l’iscrizione a chiunque interessato alle rose, mediante pagamento di un abbonamento, acquisendo così il diritto di esporvi i propri fiori, durante le manifestazioni floristiche, o per ricevere consigli da botanici.
I soci della RNRS, ricevono anche la rivista “The Rose Annual”.
Ognuna di queste associazioni europee, confluisce in quella continentale, poi l’associazione Europea, la corrispondente Americana, Asiatica, dell’Oceania e Africana, confluiscono nell’Associazione Mondiale delle Rose.
Ogni nazione poi, ha creato stazioni sperimentali ove ogni ibridista, porta la sua nuova varietà e dove i relativi botanici dell’associazione, potranno osservarla per tre anni, in modo da potergli assegnare i caratteri e requisiti specifici e premiarla, eventualmente.

In Inghilterra, la RNRS, ha creato una stazione sperimentale in un lotto situato a St.Albans, Hertfordshire, in Francia la stazione sperimentale si trova nella periferia di Parigi, nel castello di Bagatelle, a Roma c’è il famoso e stupendo roseto ove sorgeva fino al 1934 il cimitero ebraico, per questo è chiamato ancora oggi “Ortaccio degli Ebrei”, sempre in Italia ce ne è una anche a Monza, nella villa Reale, poi abbiamo strutture equivalenti a Madrid (Spagna), Ginevra (Svizzera) e all’Aja (Paesi Bassi).

Conclusioni

Questo articolo vuole solo puntualizzare, oltre cercare di fare una breve storia della rosa, che in Italia è ora di tornare al “MERITO”; nessuno mette in dubbio che le persone possono aver diritto anche di non laurearsi, o non studiare oltre un certo punto (ovviamente, sono intelligentissime anche le persone senza laurea), detto questo, facendo sempre un lavoro dignitoso e molto professionale, ma non si può continuare (facendo pessime figure oltretutto all’estero), a svilire le Università, lo studio, far passare l’idea che la cultura è inutile, od odiare discriminando in senso negativo, chi vuole studiare all’Università, facendo battute del tipo” …studiare e la laurea non servono a nulla…studiare troppo rende poco furbi e rimbecilliti”, o far passare per bravo, ed intelligente solo chi fa il furbo, chi ha fatto i soldi, chi ruba od è prevaricatore…! Anche questo è razzismo!

A questo poi va aggiunta un’altra cosa, i laureati fanno lavoro manuale e come, credetemi; io come molti miei colleghi laureati, pulisco e falcio l’erba del parco dove lavoro, pulisco intere aree di ostensione, poto alberi e piante, trapianto e concimo piante, costruisco steccati per le aree degli animali, pulisco le loro aree.
Ma se un laureato botanico, in Italia, chiede di fare (sapendolo fare ovviamente), un lavoro per esempio da giardiniere, avendone le capacità e l’esperienza, si sente rispondere da chi lo offre….eh ma che fa si spreca per questo posto? Lei ha titoli troppo elevati per farlo e, per guadagnare 1000 euro al mese (sono solo scuse credetemi) …e non gli viene concesso, non dandogli la possibilità di lavorare, per cui chi ancora dice che le persone che hanno studiato non si abbassano a fare lavori manuali, o più umili, in Italia (i politichesi) mentono, sapendo di mentire, o allora controllino come si comportano le persone che offrono lavoro, discriminando i laureati.
Per non parlare di laureati in lettere a cui in Italia vengono assegnate direzioni di giardini storici di accademie di cultura straniere, come a Roma o in giardini storici come ad Ischia, che di piante ovviamente non conoscono nulla (li vorrei vedere danti un grande botanico sistematico, quanto è profonda la loro conoscenza botanica, allora io esigo di diventare direttore dell’Anfiteatro Flavio seppur non sono storico antichista, o archeologo), dovendo così assumere consulenti e consumando così denaro, lo stesso per alcuni presidenti di parchi naturali-archeologici a Roma, vedi Appia Antica, che non hanno mia visto una pianta o un rudere archeologico, perché geologi!

Per quanto poi un autodidatta si senti preparatissimo, facendo un esempio come “entomologo autodidatta”, ovviamente nei confronti di un altrettanto appassionato “entomologo accademicamente qualificato”, ci sarà sempre un divario a favore di questo ultimo (ma in questo non c’è nulla di male), dettato dall’enorme numero di discipline che si devono studiare all’Università, per arrivare a fare l’entomologo e che vengono saltate dagli autodidatti, per arrivare subito agli insetti; per essere più chiaro, un autodidatta impara a memoria nomi, forme degli insetti (dei coleotteri ad esempio), colori, ambienti ecc., un biologo che diventa entomologo, deve studiare prima di arrivare a fare dell’entomologia e quelle cose, le genetiche, le fisiologie, le biochimiche, le zoologie, le botaniche, le anatomie, le ecologie, le materie di biocenosi ecc., ma perché possa svolgere questi esami, deve obbligatoriamente svolgere le chimiche, le fisiche le matematiche ecc,. tanti esami di migliaia di pagine, è logico che poi conseguito un dottorato (altri 3-4 anni dopo i 5 di laurea), pubblicando lavori nel settore e lavorando su campo, il suo bagaglio sia quello corretto.
Ovviamente non si limiterà a scoprire nuove specie, cosa che fa da sempre, ma a chiarire perché un insetto è xilofago e un altro detrivoro, se si riproduce per “anfigonia” o “partenogenesi”, chiarendo i meccanismi genetici coinvolti, studiandone il metabolismo dell’organismo, la vita di relazione con una determinata specie di pianta spontanea e non un’altra, l’origine evolutiva, perché si trova sempre in un vaccinieto a mirtilli e non a 500 m più in alto, ecc.
Perché questa precisazione? Per il semplice motivo che in Italia (paese che ho lasciato anche per queste ragioni, anni fa), è ora che vengano messe le persone giuste al posto giusto, che si rispetti la “cultura”, a cominciare da quella accademica, che si rispettino i professori nelle aule, perché farlo significa aver riguadagnato “libertà” di pensiero e il coraggio di far confrontare le idee, la parola, di fare in modo che l’educazione sconfigga l’ignoranza e la maleducazione, alla quale sembra (ed aggiungo la violenza), l’Italiano si sta assuefacendo per pigrizia, depressione e resa incondizionata! L’Italia è un grande paese, l’Italia è bella, l’Italia è di chi ama la bellezza, il pulito e la giustizia sociale!

Bibliografia
-The Great book of plants and flowers, REDER’S DIGEST, 1981;
-Encyclopédie des plantes, 18 volumes, Flammarion 1979;
-Report of the Third International Conference 1906, on Genetics: hybridisation of Roses, 1907, Royal Horticultural Society (RHS);
-Le livre des roses, des orchidées et des jardins à la Française, Presses universitaires de France (PUF), 1971.

Giuliano Russini è laureato in Scienze Biologiche all’Università La Sapienza di Roma, con specializzazione in botanica e zoologia; successivamente ha conseguito in UK e Francia la specializzazione in etnobiogeografia. Lavora come curatore al Giardino Esotico di Hendaye, Francia. (e-mail: russinigiuliano@yahoo.it).

 

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