di Lucio Alciati
Lenticchie della Valle Grana (foto Lucio Alciati)
Lenticchia (o lentia) è il nome comune con in quale viene chiamato il seme contenuto in un piccolo baccello di Lens esculenta Moench (sinonimi: Ervum lens L., Lens culinaris Medic.), una leguminosa tra le più antiche piante alimentari che l’uomo abbia conosciuto. La zona di origine è il Medio Oriente (probabilmente Siria e Iraq) e da lì si è diffusa in tutto il mondo. Sulla Terra si coltivano a lenticchia circa 3,2 milioni di ettari, con una produzione di 3 milioni di tonnellate, corrispondente a una resa media di 9 quintali ad ettaro. In Italia sono poco meno di 1.000 gli ettari coltivati a lenticchia, ma la produzione è di qualità eccellente.
La lenticchia è una pianta che esalta le sue qualità se coltivata su terreni argillosi e sopporta bene sia le elevate temperature estive che la carenza idrica. Per tali motivi è particolarmente adatta per la valorizzazione dei terreni marginali e poco sfruttati che caratterizzano le colline e le montagne di molte zone d’Italia. La tecnica di coltivazione si sta perfezionando ed è possibile l’uso di una meccanizzazione utile a dimezzare i costi di produzione senza influire negativamente sull’ecosistema naturale e senza l’impiego di prodotti inquinanti e deleteri come pesticidi e diserbanti.
Inoltre i residui della trebbiatura sono di alto valore alimentare per gli animali domestici, specialmente i conigli a cui conferisce ottimo sapore alle carni.
La lenticchia in Valle Grana
La coltivazione della lenticchia in Valle Grana risale al Medioevo. Tuttavia la prima notizia certa risale alla metà del secolo XVIII (1753) dove viene citata, nel rapporto dell’intendente Brandizzo, come coltura inserita nella rotazione agraria per la produzione della canapa, in quel di Pradleves.
Successivamente è menzionata nella testimonianza di un evento straordinario che segnò marcatamente la storia di Caraglio, in provincia di Cuneo.
Ecco uno stralcio del fatto:
“era il 1816 quando il professore e accademico Marchisio Cosma, testimone oculare delle cose raccontate, in un breve ragguaglio sulla Madonna del Castello, dopo appena sei anni dalla scoperta della cappella così scrive: “La mattina del 24 giugno 1810, festa di S. Giovanni Battista, cinquanta giorni dalla scoperta della cappella, verso le otto del mattino, un contadino di nome Giorgio Menardi, dopo una notte di pioggia dirotta, salì in cima alla collina del Castello, per vedere se le sue lenticchie avessero sofferto del temporale notturno. Giunto lassù, gli venne la buona idea di scendere nella cappella, da poco scoperta per recitare un’ Ave Maria. Lì si trovò al suo fianco un vecchio di bell’aspetto, coi capelli bianchi, vestito di colore azzurro, con accanto un fanciullo di circa 12 anni, vivacissimo”. ….
Ma la riscoperta di questa antica produzione è stata possibile grazie alla testimonianza di Giovanni Reinero, abitante della borgata Reinero di Montemale, il quale, in una breve intervista casuale, raccontò come ancora negli anni cinquanta del secolo scorso queste venissero coltivate diffusamente nei territori assolati della Valle Grana.
Narrò di piccoli fazzoletti di terra, duramente strappati dalla montagna con il solo uso di mani e picconi, coltivati a segale o barbarià e, la stagione dopo a lenticchie.
Ricordò che quando suo padre, in primavera, lo incaricava di seminarle gli proferiva un antico detto in dialetto locale. La filastrocca canzonava così: “stà lontan da mia sorela se vous na bela giavela.” (sta lontano da mia sorella se vuoi un buon raccolto) e intendeva rammentargli che, per aver un raccolto ricco e proficuo, la semina doveva esser rada e, cioè, i semi (le sorelle) dovevano germinare distanti tra di loro. Infatti, in tal modo, le piante si sviluppavano maggiormente ed erano più produttive.
Le piante delle lenticchie venivano sfalciate in estate, quando erano per tre quarti ingiallite. Dopo averle fatte essiccare al sole, alla stregua del fieno, venivano trasportate nell’aia di casa e trebbiate o battute con la mitica cavaglia, due bastoni di diversa lunghezza legati per mezzo di un pezzo di resistente cuoio. Ciò che rimaneva, per mezzo del ventilabro chiamato localmente “van” e con l’aiuto del vento, veniva separato dalla pula. Alla fine si ottenevano le sole preziose lenticchie che, venivano ancora pazientemente cernite da eventuali sassolini e altre impurezze, dalle donne di casa, a dito sul tavolo della cucina.
Infine questo nobile legume era oggetto di vendita o di scambio con del riso, al commerciante che passava abitualmente in zona.
Dalla primavera del 2009 le lenticchie sono ritornate a vegetare in Valle Grana e a produrre il loro prezioso frutto. Dapprima, sperimentalmente sulla collina di Caraglio e Bottonasco poi, visti gli ottimi risultati qualitativi e anche quantitativi, la coltivazione si è estesa coinvolgendo altre aziende della valle.
Si sta quindi sviluppando un mercato tipico, di nicchia e di valida integrazione nell’economia della piccola azienda montana e pedemontana. Inoltre è una coltivazione che si adatta, anzi si esalta, nei terreni marginali e nella consapevole rotazione agraria delle colture, com’era un tempo.
La lenticchia coltivata in Valle Grana è di sapore squisito specialmente se cucinata previo un ammollo di almeno sei ore in acqua come, peraltro, vuole la tradizione. Esprime, nel gusto, un lieve ma avvolgente e particolare sentore di nocciola selvatica; probabilmente originato dalle peculiarità delle nostre terre e dal clima locale. Questi elementi naturali le rendono uniche.
Piccolo appezzamento coltivato a lenticchie (foto Lucio Alciati)
Tecnica colturale
La lenticchia entra in avvicendamento con il cereale autunnale (nelle nostre Alpi da segale e Barbarià).
La preparazione del terreno va eseguita con un’aratura poco profonda (data la scarsa penetrazione della radice), subito dopo la raccolta del cereale se la semina è autunnale o in autunno se la semina è primaverile.
Infatti la semina della lenticchia si opera a fine ottobre o a fine febbraio nelle zone pedemontane,in marzo-aprile in montagna. La semina deve essere eseguita in luna vecchia.
Le quantità di seme necessarie e sufficienti sono di 60-80 Kg/ha per le lenticchie a seme piccolo e di 120-160 Kg/ha per quelle a seme grosso. Per la semina a file si impiegano le comuni seminatrici da frumento.
La concimazione deve essere limitata per evitare un eccessivo sviluppo della pianta e di conseguenza favorire l’allettamento, condizione che limita e, in alcuni casi, annulla l’allegagione. La concimazione della lenticchia va fatta con 30 Kg/ha di fosforo; in terreno povero di potassio con 50-80 Kg/ha di potassio. L’azoto non è necessario, grazie alla presenza di azotofissatori sulle radici.
Le malerbe sono un problema per questo legume perché, nel primo stadio di vita, ha una vegetazione lenta e poco competitiva: sarchiature a macchina non si possono fare date le file strette. La scerbatura a mano è, per adesso e come un tempo, il sistema più usato di controllo delle infestanti.
Raccolta e utilizzazione
La raccolta viene eseguita mediante lo sfalcio della pianta che è per tre quarti ingiallita. Dopo di che vengono lasciate ad essiccare al suolo procedendo alla rivoltatura nell’ora presta del mattino, quando sono umide di rugiada e i baccelli chiusi, onde evitare la dispersione del seme. Quando l’essiccazione è completa si procede alla battitura o trebbiatura: sul posto o al centro aziendale.
La conservazione va fatta in recipienti chiusi ermeticamente per prevenire attacchi di punteruolo (Tonchio del fagiolo).
Trebbiatura (foto Lucio Alciati)
Alcuni consigli per esaltarne la qualità sono:
– aggiungere qualche goccia di limone nell’acqua di ammollo, renderà la lenticchia più vivace e le sue proprietà vitaminiche più assimilabili;
– salare a fine cottura; se salate prima si ottengono lenticchie dure;
– se non procede all’ammollo, devono essere comunque lavate per eliminare la fine polvere che le riveste, residuo della trebbiatura e delle altre lavorazioni.
Lenticchie secche
Composizione chimica (Valori nutrizionali medi per 100 g di prodotto)
(Fonte Wikipedia)
Curiosità
Nella Provenza francese esiste una consuetudine singolare les Blés et lentilles de la Sainte-Barbe.
Il 4 dicembre, giorno di Santa Barbara, vengono lasciati germogliare alcuni semi di grano (blé) ma, soventemente anche lenticchie su batuffoli di cotone imbevuti d’acqua Alla vigilia di Natale, i germogli verdi vengono usati per adornare la tavolata del cenone.
Il giorno dopo (Natale) questi germogli vengono decorati dalla mamma con nastrini gialli e rossi, per poi essere sistemati nel presepe.
Il giorno dell’Epifania arriva il momento di piantarli in un vaso ed aspettare che crescano.
Questa pratica origina in antichi riti greci e romani che auspicavano fertilità e buona fortuna per il raccolto del nuovo anno.
A riguardo esiste anche un detto che recita:
“Blé et lentilles de la Sainte Barbe bien germées, sont symboles de prospérité pour la prochaine année!”
“Il grano e le lenticchie di Santa Barbara ben germogliate sono simbolo di prosperità per il prossimo anno!”
Fonti
Lucio Alciati, Perito agrario, è Presidente dell’Associazione per la
promozione e la Tutela dell’antica Patata Piatlina e della Patata Ciarda della Valle Grana. Già Presidente del Consorzio dell’aglio di Caraglio (2008-2012).
Promuove la rivalorizzazione dell’agricoltura tradizionale e le antiche coltivazioni della sua terra (la Valle Grana di Cuneo) attraverso la ricerca storica e la coltura diretta. E-mail: lucio.alciati@libero.it
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