Il Cavallo da sella Siciliano Indigeno
A.R.A.C.S.I. – Associazione Regionale degli Allevatori del Cavallo da Sella Siciliano Indigeno
Stallone Corleone – Cavallo da sella Siciliano Indigeno (foto www.sicilia-aracsi.it)
Premessa
La “diversità biologica” del nostro pianeta, base dell’agricoltura e della produzione zootecnica ed anche alimentare, un tempo sembrava inesauribile. Oggi la “biodiversità” è una risorsa minacciata in tutto il mondo che va difesa e usata in modo consapevole, come fonte di costante sviluppo economico e socio-culturale.
Una volta perduto, questo patrimonio, non può essere più recuperato o ripristinato. Il prezzo da pagare per conservare la “biodiversità” è molto inferiore a quello che pagheremmo se ne consentissimo la perdita.
La perdita della biodiversità purtroppo riguarda anche le razze animali autoctone siciliane di interesse zootecnico ed ambientale, oltre che di interesse socio/storico/culturale.
In Europa si è già estinta la metà delle razze di animali domestici (bovini, ovini, caprini, equini, suini etc) che esistevano all’inizio del secolo scorso.
Un terzo delle rimanenti rischia di estinguersi nei prossimi venti anni.
Numerosi studi scientifici hanno accertato che per garantire la sopravvivenza di una razza animale bisogna raggiungere e mantenere un numero di almeno 1022 capi.
Tutte le razze la cui popolazione è al di sotto di questo livello sono a rischio di estinzione.
La Sicilia è una delle regioni europee più ricche di biodiversità e salvare un patrimonio genetico di così grande rilevanza è per le Istituzioni un preciso dovere.
Il Cavallo da Sella Siciliano Indigeno è uno di questi.
Analisi storica delle origini della razza
La Sicilia custodisce ancora oggi alcune delle più antiche razze equine europee create dall’uomo e formatesi nel corso della millenaria storia euro-mediterranea dell’Isola.
Tra queste spiccano e rappresentano un esempio unico il cavallo Sanfratellano ed il cavallo Indigeno Siciliano (che attualmente non gode di alcuna tutela, non dispone di un registro Anagrafico come nel caso del Sanfratellano).
Queste due popolazione equine cavalline presentano ovviamente origini comuni, che solo nel corso dei secoli e sulla base di precise vicende storiche si differenzieranno in parte e/o in toto, pur rappresentando ambedue un rarissimo esempio di “Razza Popolare”, formatasi sul suolo europeo.
Riveste notevole importanza nell’ambito della presente ricerca evidenziare ed approfondire le sostanziali differenze esistenti nell’ambito dell’ippicultura storica siciliana tra le “Razze Popolari”, le “Razze Padronali” e le “Razze Istituzionali”, pur precisando che tutte fanno parte dell’ingente e pingue patrimonio di biodiversità zootecnica, storica, socio-culturale ed agroeconomico della Sicilia.
La storia delle “Razze Popolari” siciliane non è mai stata scritta, così come non è mai stata scritta compiutamente la storia completa, organica ed analitica della Ippicultura Siciliana.
Le “Razze Popolari” sono indissolubilmente legate all’origine ed alla storia stessa delle “Città Demaniali” del primo periodo, e cioè all’inizio della conquista normanna della Sicilia ed a quegli avvenimenti storici, politici e sociali che la determinarono.
Allo stato attuale si ha una sufficiente, seppur frammentata conoscenza della storia e dell’origine delle così dette “Razze e Razzette Padronali” e delle “Razze Istituzionali”, ma decisamente una scarsissima conoscenza della storia e dell’origine delle “Razze Popolari” siciliane.
Per intenderci e per evidenti ragioni storiche, nell’ambito delle Razza Asinine definiremo “Razza Popolare” la “Razza Asinina Pantesca Siciliana” e “Razza Istituzionale” la “Razza asinina Ragusana” così come in ambito “cavallino” definiremo quale appartenente alle “Razze Popolari” il Cavallo Sanfratellano ed il Cavallo Indigeno Siciliano, quale appartenete alle “Razze Istituzionali” il Purosangue Orientale e quali appartenenti alle “Razze Padronali” tutte le Razze o Razzette create dalla nobiltà e dai potenti di turno nel corso dei secoli e della storia ed oggi pressoché scomparse a seguito della scomparsa, o delle alterne vicende, delle fortune delle casate stesse e del latifondo.
La storia delle “Razze Popolari” storiche e autoctone della Sicilia non è comprensibile se non si cerca di dipanare, articolare, suddividere ed interpretare l’intricata matassa storica che le avvolge e dalla quale trae origine e linfa vitale.
Quella che segue è un’analisi storica che affonda le proprie basi su tesi, eventi e fatti storici.
Le radici del Cavallo siciliano indigeno risalgono all’antichità e si diramano nella storia stessa della Sicilia e in quello strato di fertile “humus insulare” che ha generato gran parte del patrimonio zootecnico-equino storico siciliano che solo in epoca moderna è andato irrimediabilmente perso.
Negli ultimi tremila anni della sua storia la Sicilia ha dovuto sopportare più di ogni altro paese europeo il peso di dominazioni straniere. Tutti coloro che la governavano (cartaginesi, romani, vandali, goti, bizantini, saraceni, normanni, svevi, spagnoli, francesi etc) hanno scavato un solco nella sua fisionomia.
Proprio perché la Sicilia era un isola separata dai continenti, gran parte dell’evoluzione e della storia delle razze equine dell’Isola è fortunatamente ancor oggi scrivibile sulla base di notizie certe/o di deduzioni storiche attendibili e verosimili.
Ogni “introduzione ed ogni “prelievo” di un numero elevato di equini o di qualsivoglia capo di bestiame dall’Isola doveva avvenire via mare e con l’ausilio di navi ed era difficoltoso ed oneroso ed avveniva quasi sempre in conseguenza di precisi avvenimenti registrati dalla storia e perciò documentabili.
La Sicilia era un paese da tutti e per varie ragioni bramato e rappresentava di fatto uno di quei rari “crocevia della storia nel quale si sono mescolate ed amalgamate “razze” e “civiltà” diverse, che hanno fatto dell’Isola quel contenitore di cultura, civiltà, usi e costumi che tutti conosciamo e dove tutto si è fuso, creando di fatto una nuova civiltà e una nuova cultura nata su basi multietniche. Per le medesime ragioni storiche, possiamo e dobbiamo considerare multietnico anche l’apporto che ha determinato la costituzione del nucleo primigeno del Cavallo Siciliano.
Infatti, per quanto concerne le “radici” comuni a tutto il patrimonio zootecnico equino della Sicilia, del periodo pre-romanico, possiamo brevemente citare quel “cavallo siciliano” che godette di gran fama, tanto da suscitare la gelosia e l’ammirazione dei greci durante le storiche corse di “Pizzie” e da spingere “Flavio Vegezio”, già 400 anni prima dell’era volgare a citare le lodi “dell’Equus Sicanus”.
Possiamo poi documentare su tutte le razze equine siciliane l’intervento dei saraceni, profondi conoscitori di ippicoltura, venuti dal nord Africa nel 703 e dal 900 padroni incontrastati dell’Isola e “contrastati” unicamente dai Normanni che intorno al 1053 ne divennero i nuovi signori dopo una guerra durata 28 anni tra 1962 e il 1090, pur mantenendo una certa tolleranza verso i vari gruppi etnici locali, compresi i saraceni stessi rifugiatisi nelle zone più impervie dell’Isola e sui monti.
I Normanni in quel periodo favorirono un’autentica politica di immigrazione della loro gente allo scopo di rafforzare il “ceppo latino” che in Sicilia e Calabria era fortemente minoritario rispetto a saraceni, greci ed ebrei.
Tale politica costituirà l’asse portante della “reggenza” e del governo di Adelaide del Vasto, che amministrerà saggiamente la Sicilia in attesa della maggiore età del figlio Ruggero II Nasce così e si consolida in questo periodo in Sicilia l’idea di “Città demaniali”. Le Città del Re che tanta parte avranno nella storia siciliana ed anche nella storia dell’ippicoltura relativa alle “Razze Popolari” occorre infatti rammentare che nel periodo “Romano”, in Sicilia vi erano 2 centri amministrativi chiamati sedi di “Questura” Siracusa e Lilibello l’odierna Marsala.
Nel periodo “Arabo” la Sicilia venne divisa in 3 centri amministrativi denominati “Vallo di Mazara” (con capoluogo prima Mazara e poi Palermo), “Vallo di Noto” (con capoluogo Noto e poi Catania), “Vallo di Demone” (con capoluogo Messina). Tale suddivisione amministrativa durò circa 900 anni.
I Normanni continuarono a mantenere la suddivisione amministrativa della Sicilia data dagli Arabi e crearono il “Parlamento del Regno di Sicilia”, forse il secondo più antico del mondo (se per primo si considera l’Alting Islandese).
Il Parlamento del regno Normanno di Sicilia si componeva di tre bracci: “il Feudale” con 56 nobili, “l’Ecclesiastico” con 63 Arcivescovi, Vescovi, Abati e Archimandriti; il “demaniale” con 42 Città Demaniali: Le Città del Re (le Città del Re all’epoca di Federico II nel 1233 le Città Demaniali erano solo 23 e su queste si concentra principalmente e inizialmente la nostra ricerca).
In condizioni storiche diverse e per diversi altri motivi, “Le Città demaniali” rivestiranno grandissima importanza anche per la politica di governo del regno all’epoca di Federico II di Svevia.
Federico, memore delle esperienze negative dell’infanzia e delle rivolte ed appropriazioni indebite subite nei primi anni del suo insediamento sul trono di Sicilia, non permetterà ami ai baroni del suo regno di detenere una propria cavalleria e/o propri eserciti, limitando per legge, il numero delle guardie armate nelle rocche dei suoi vassalli a non più di quattro uomini.
Unicamente alle “sue” Città Demaniali di Sicilia e Puglia (i cui esempi più significativi sono la sua Città Araba di Lucera in puglia e le poche Città Demaniali di Sicilia aventi in gran parte una lingua a matrice gallo-italica ancora oggi riscontrabile, poiché discendenti di origine Longobarda delle popolazioni di cui i Normanni e la bisnonna Adelaide avevano favorito l’immigrazione) concesse privilegi speciali anche in merito all’allevamento equino, che per il restante monopolizzò riservando a se stesso (al demanio e alle scuderie).
Il ruolo di Federico II nell’ippicoltura e nell’allevamento equino siciliano e meridionale è tutto da scoprire, così come gran parte dell’apparato zootecnico equino attuato da Federico verso la Puglia e proveniente dalla Sicilia non è stato ancora convenientemente documentato ed approfondito, così come no è stato ricostruito l’iter innescatosi al momento del dissolvimento del regno ferediciano, né tantomeno sono stati studiati gli effetti prodotti dalla conseguente massiccia distribuzione della nobiltà e sul territorio pugliese dell’ingente patrimonio equino “siculo-orientale” di Lucera e del seppur diverso e forse più “classico” patrimonio-genetico fuoriuscito dalle scuderie reali di Foggia.
Coloro che sconfissero Federico e tutti coloro che si insediarono in seguito quali nuovi padroni in quello che fu il suo “regno-meridionale”, si dedicarono, con una sorta di accanimento, alla cancellazione di ogni memoria riguardante colui che nel suo tempo era stato definito lo “stupor mundi”.
Tutti coloro che attinsero a piene mani all’ingente patrimonio zootecnico equino lasciato da Federico e pur senza ammetterlo e mai facendone menzione crearono ex-novo o rimpinguarono abbondantemente i loro allevamenti sia nelle regioni meridionali che altrove.
Nacquero anche così gran parte degli allevamenti di quei nobili e signorotti fedeli vassalli dei nuovi padroni di Calabria, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Molise e Campania che in seguito, tanto lustro daranno alle razze equine del regno di Napoli.
Sarà utile ricordare che in seguito, dal 1400 al 1800 i così detti “corsieri napoletani” assurgeranno a grande fama, grazie anche alle “Accademie Equestri” di Napoli e Ferrara All’epoca il cavallo napolitano era ritenuto u n miglioratore delle altre razze alla stregua dei purosangue orientali e del purosangue inglese, tanto è vero che molte delle razze europee lo vedono elencato tra i propri capostipiti, sia tramite l’apporto di fattrici sia tramite l’utilizzo di stalloni (tra questi le razze lipizzana, hannover, holstein, oldenburg, trahehner, wurthemberg, gelderland, frederiksborg, kladruber etc….. le cronache napoletane dell’epoca documentano anche delle esportazioni di cavalli verso la stessa Spagna).
Ad onor del vero e per “giustizia storica”, è doveroso ricordare che al di fuori dei confini del regno, nel resto d’Italia e di Europa, all’epoca erano denominati corsieri napoletani tutti i cavalli del regno di Napoli, sia quelli prodotti nelle regioni continentali di Campania. Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata e Calabria, sia quelli prodotti in Sicilia arcipelaghi inclusi.
Ben poche erano al di fuori del regno le distinzioni riguardanti l’esatta provenienza, anche se gli allevamenti più noti del fantomatico corsiero erano quelli di Conversano, dei duchi di Martina, dei principi Torrella, dei Sanseverino, dei Barracco e dei Borbone di Napoli con i loro allevamenti regi di Carditello, di Persano di Tressanti e di Ficuzza (Sicilia).
Altri allevamenti siciliani di note “razze padronali” furono all’epoca ed in seguito quelli di Bivona- Terranova – Raffadali – Geraci – Farina – Grimaldi – Fesanti – Delia – Poggiades – Lauri cella – Carcaci – Notabartolo – Mingessi – Caggio – Comiso – Nicosia – Bonanno – Marescalle – Raccuja etc.”razze2 o “Razzette” giunte anche ad un certo livello di “notorietà storica” in virtù e in conseguenza della potenza e notorietà stessa della “casata” del nobile proprietario terriero e/o delle vicende storiche.
Tali “Razze Padronali” furono create ad uso e consumo delle diverse casate nobiliari e sulla base del loro proprio piacere, delle loro necessità, del proprio gusto personale e delle proprie conoscenze equestri e zootecniche e non da ultimo al proprio “portafoglio”.
Se da un lato è vero che il nobiluomo di turno poteva accedere a Stalloni di pregio in base alla propria disponibilità economica è altrettanto vero che non si può parlare di razze vere e proprie, ma unicamente di piccole popolazioni equine i allevamento padronale, poiché la concorrenza e la competitività esistente tra le casate stesse, il desiderio di prevale degli uni sugli altri, le gelosie e l’orgoglio impedivano l’impostazione di obiettivi comuni di allevamento e persino l’uso degli stessi stalloni.
Tesi questa avvalorata dal fatto inconfutabile che, con il progressivo decadimento del latifondo e le alterne vicende economiche della Nobiltà Siciliana o con il semplice mutamento dell’economia e degli interessi economici, sono decadute e scomparse le “razze Padronali” e con esse le basi genetiche necessarie per perpetrarle. Tale fenomeno è riscontrabile su basi ampie e consistenti in ogni parte d’Italia ed in epoca storica (si rammentino le così dette Razze dei Gonzaga nel mantovano, degli Estensi nel ferrarese e modenese etc, allevamenti prestigiosi che hanno contribuito alla formazione di tantissime altre razze europee). Dalle fonti storiche rintracciate (Bizzi, Chiari, Fogliata, Horst, Mascheroni, Polizzi, Priola, Ricci, Romolotti, Tucci etc) non è possibile ricavare uno “Standard di Razza” uniforme e/o comune all’intera popolazione cavallina siciliana (ne tanto meno individuare uno standard che accomuni le Razze Istituzionali – Razze e Razzette Padronali – razze Popolari etc) e ciò non deve suscitare meraviglia, poiché storicamente non è mai esistita una forma di gestione dell’allevamento equino così uniforme ed univoca da imporre regole valide per tutti e per tutta l’isola ed in epoca moderna, anche dopo il 1864 (anno di istituzione del “Regio Deposito cavalli Stalloni” di Catania) ed il 1925 (anno in cui furono create le speciali “Stazioni Selezionate Cavalline”), gli interventi ed i programmi di fecondazione attuati, hanno sempre dovuto tener conto sia del tipo di “razza-popolazione” a cui erano rivolti, che del “periodo storico” (da cui erano ovviamente influenzati), che del “territorio” o porzione di Isola a cui erano destinati.
Tuttavia, per quanto concerne quel tipo di cavallo appartenente alle così dette “Razze Popolari Siciliane”, in virtù dell’intervento “popolare” attuato dal “Enclavi Etno-culturali” è riscontrabile esclusivamente nelle Città e “Territori” Demaniali originati dal periodo Normanno e periodo Federiciano, consente di individuare una “comune origine” in grado di determinare le basi per uno standard residuo e reale.
Ed i numeri rivestono sempre una notevole importanza quando si parla di Razze e di allevamento.
In epoca relativamente recente e moderna, ovvero negli anni 1935 – 1937 la Sicilia produceva quantità rilevanti di equini (Cavalli, Muli e Bardotti) e proprio questi numeri confermano che il solo patrimonio equino residuo della nobiltà e dei latifondisti non sarebbe bastato a generare tali numeri (si pensi agli oltre 11.000 muli prodotti annualmente nel 1936-37 e alle varie miglia di cavalli).
L’ Istituto Centrale di Statistica del Regno al marzo del 1937 registrava sull’Isola 415.450 capi così ripartiti:
– Cavalli 71.980
– Asini 155.890
– Muli e bardotti 187.580
All’epoca, gli equini toccarono la più alta densità con 18,8 capi per kmq di superficie agrariaforestale e con una composizione qualitativa dei capi equini rappresentata per il
– 56% da Muli e Bardotti;
– 39% da Asini;
– 18% da Cavalli.
Esiste in buona sostanza una Popolazione Autoctona Equina diffusa in ben precise aree storiche
dell’Isola.
Tale popolazione equina, poco documentata, non appartiene ovviamente ne alle “Razze Padronali” ne alle “Razze Istituzionali” note, ne tanto meno alle “Razze Popolari” oggi censite ed in possesso di un Registro Anagrafico.
La tesi qui proposta è che ci so trovi in presenza di ciò che resta “Razza Popolare Autoctona” frutto sia degli scambi storici avvenuti nei secoli sull’Isola, che frutto delle vicende storiche più recenti.
Un “tipo” di Cavallo Indigeno Siciliano ed una “Razza-popolazione” che attende di essere studiata e tutelata.
L’autoctono Cavallo Indigeno Siciliano deve essere ricercato proprio là dove la storia lo ha lasciato:
nei territorio e nei pascoli collettivi delle antiche comunità delle “Città Demaniali” , unici siti (e vasti territori) dove, in Sicilia, anche il popolo poteva allevare e detenere cavalli ed equini in gran numero.
Le 42 città demaniali della Sicilia
Le città demaniali e la suddivisione per valli
Appellativo delle città demaniali
(all’epoca di Federico II le città demaniali erano 23)
Federico II Parlamento di Messina dell’anno 1233
I Normanni continueranno a mantenere la divisione amministrativa della Sicilia data dagli Arabi, ma creeranno il Parlamento del Regno di Sicilia, il più antico del mondo, (dopo l’Alting Islandese), che terrà la prima riunione a Mazara nel 1097.
Il Parlamento si componeva di tre bracci:
Il Feudale che comprendeva 56 Nobili (i primi 10 sono pari del regno, e con la dominazione spagnola, il primo posto spettava al Principe Butera).
L’Ecclesiastico comprendeva i 63 Arcivescovi, Vescovi, Abati e Archimandriti. In caso di regno vacante assumeva la reggenza il Cardinale di Palermo
Il Demaniale che comprendeva le 42 Città demaniali, le Città del Re
Vallo di Mazara
Palermo – Termini – Polizzi – Coniglione (Corleone) – Sutera – Alicata (Licata) – Naro – Girgenti (Agrigento) – Sciacca – Mazara – Marsala – Trapani – Salemi – Monte San Giuliano (Erice)
Val di Noto
Catania – Lentini – Agosta (Augusta) – Siracusa – Vizzini – Caltagirone – Piazza (Piazza Armerina) – Mineo – Castrogiovanni (Enna) – San Filippo D’Argirò (San Filippo D’Agira) – Noto – Calascibetta
Vallo di Demone
Messina – Taormina – Jaci D’Aquila (Acireale) – Traina (Troina) – Nicusia (Nicosia) – Randazzo – Rometta – Patti – Milazzo – Castroreale – Mistretta – Cefalù – Santa Lucia del Mela – Tortorici – Linguaglossa – San Fratello
STANDARD DI RAZZA
Aree di origine
Val di Noto, Val di Mazara, Val Demone prevalentemente zone impervie e montane dell’entro terra siciliano.
Caratteristiche tipiche dell’ambiente d’origine
I nostri territori rappresentano per taluni aspetti una sorta di memoria storica costituendo “un Isola sull’isola” poiché conservano tuttora, se non il “latifondo storico siciliano” vero e proprio, quantomeno una sorta di organizzazione del territorio che adesso si richiama e non solo quale retaggio storico. Val di Noto, Val di Mazara e Val demone si presentano oggi ed in gran parte come anticamente poteva apparire un grande “Latifondo siciliano”, essendo per taluni aspetti in parte sfuggito a quel processo evolutivo agricolo o pseudo evolutivo che ha visto mettere a cultura sia la fascia collinare che la fascia montana di una buona parte del territorio. Per queste preziose condizioni ambientali residue, in questo territorio è presente oggi quasi intatto l’originale il patrimonio floristico e faunistico di parecchie zone che fa di questi luoghi un vero e proprio “museo” ambientale e socio-ambientale. Alla valorizzazione dell’intero territorio concorrono in egual misura e in stretta correlazione sia l’organizzazione territoriale con richiamo allo storico latifondo siciliano sia le tecniche di allevamento bovino, equino, suinicolo sia l’ambiente naturale residuo e conseguente. In questo ambiente naturale incomparabile per bellezza e caratteristiche nasce storicamente l’antico cavallo da Sella Siciliano Indigeno allevato ancora oggi con grande passione dai piccoli allevatori.
Caratteri tipici
– Occhio: espressivo e di giusta larghezza
– Orecchie: piccole
– Collo: in genere è proporzionato, piramidale, muscoloso, di regolare lunghezza
– Spalla: muscolosa, asciutta, inclinata (55°) con movimenti liberi (Goubaux e Barrier)
– Garrese: poco pronunciato
– Linea dorso lombare: dritta, larga, muscolosa, poco lunga nella regione lombare (ottima per l’estensione e l’intensità) – ben attaccata con la groppa – Cavallo nel quadrato (cavallo iberico)
– Groppa: lunga con buon sviluppo muscolare, giustamente obliqua, larga, questo ultimo carattere denota intensità di contrazione, energia e potenza di impulso degli arti posteriori e si associa ad una buona larghezza di petto e profondità di torace
– Coscia: muscolosa, larga, lunga, ben discesa e ben diretta e quindi non troppo obliqua e forma con la tibia una apertura femore-tibiale abbastanza grande
– Petto: largo con notevole potenza di contrazione nella giusta misura contenuta, con buon sviluppo della muscolatura pettorale
– Torace: profondo, largo, con buon sviluppo della gabbia toracica e degli organi in essa contenuti
– Piede: duro e solido che esprime una costituzione forte e ciò è sempre un carattere di razza distinta
– Muscoli: robusti, forti, che esprimono potenza
– Tendini: sviluppati, asciutti, solidi, ben distaccati all’osso
– Articolazioni: larghe e forti
Nell’insieme ha un’apparenza attraente si adatta alla sella e al tiro, di buon carattere dolce e sottomesso. Esprime un immagine di forza, compattezza, equilibrio e lo si può considerare per i suoi caratteri zootecnici e per i suoi attributi zoologici un Cavallo Polivalente.
Zingaro della Rocca – Cavallo da sella Siciliano Indigeno (foto www.sicilia-aracsi.it)
A.R.A.C.S.I. – Associazione Regionale degli Allevatori del Cavallo da Sella Siciliano Indigeno
Sito web: http://www.sicilia-aracsi.it/
Il Cavallo in buona salute Questa guida illustra i vari aspetti da considerare se si vuole che il proprio cavallo goda di una sistemazione adeguata e sicura… |