Conoscere il miele
di Romeo Caruceru
Tra i paesi europei, l’Italia è quello con il consumo pro capite di miele tra i più bassi: circa 600 gr l’anno (solo i greci ne mangiano di meno). Bisogna dire che nell’ultimo decennio il consumo è notevolmente aumentato, anche se rimane ben lontano da quello tedesco: 1500 gr l’anno. La causa di tutto ciò sta nel fatto che il miele in Italia viene associato più facilmente ai rimedi della nonna piuttosto che essere visto come un alimento, come ben sanno gli apicoltori che vedono aumentare le vendite del proprio prodotto durante la stagione invernale mentre d’estate, quando raffreddori, tosse e mal di gola sono solo dei ricordi sbiaditi, anche il miele sembra essere dimenticato dai più. Senza nulla togliere alle sue proprietà curative, che negli ultimi anni sono state oggetto di ricerca e iniziano a essere riconosciute anche dalla medicina ufficiale, il miele è in primis un alimento e viene usato non soltanto come dolcificante sano e naturale in sostituzione dello zucchero, ma anche come ingrediente di molte ricette in cucina. Tutto ciò senza dimenticare la fetta di pane, preferibilmente fatto in casa, spalmata con burro e miele che può degnamente sostituire il cornetto mattutino o le merendine preconfezionate che solitamente accompagnano il caffellatte.
Degustazione di mieli di varie origini e tipologie
Cos’è il miele?
Secondo la legge (Direttiva 2001/ 110/CE) il miele è: “La sostanza dolce naturale che le api (Apis mellifera) producono dal nettare di piante o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o dalle sostanze secrete da insetti succhiatori che si trovano su parti vive di piante che esse bottinano, trasformano combinandole con sostanze specifiche proprie, depositano, disidratano, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare”. Questa definizione è importante perché ci dà la certezza che all’interno di un qualsiasi barattolo con scritto sopra “miele”, preso dallo scaffale di un qualsiasi negozio, troveremo soltanto il risultato del lavoro delle api, senza aggiunta alcuna. Ovviamente, dietro a questa sintetica descrizione di poche righe c’è l’immane lavoro delle api, difficile immaginabile guardando le pile di barattoli nei negozi.
La produzione di nettare è un adattamento evolutivo che le piante ad impollinazione entomofila hanno sviluppato per attirare gli insetti pronubi. Spesso si tratta di un liquido poco zuccherino, delle volte al limite dell’appetibilità per le api, visto che la sua produzione richiede alle piante stesse un notevole sforzo e che la natura cerca sempre di evitare gli sprechi. Pertanto, il lavoro delle api risulta lungo e faticoso: per produrre 1kg di miele sono necessari 60.000 mila voli di andata e ritorno dall’alveare al pascolo e la distanza complessiva di questi voli è di circa 150.000 km, quasi la metà della distanza tra la Terra e la Luna. Ma il lavoro non finisce una volta portato il nettare nell’alveare: per garantirne la conservabilità bisogna disidratarlo, far scendere il tenore di acqua da un valore iniziale di 50-80% ad un valore < 20%, (soglia sopra la quale si possono verificare fenomeni di fermentazione). Quindi, le api di ritorno dal campo, scaricano il loro bottino nelle cellette vuote dei favi oppure lo passano alle api di casa; queste provvedono alla sua disidratazione, esponendo le gocce di nettare alle correnti di aria provocate dalle api ventilatrici ed alla sua movimentazione spostandolo nelle cellette dove continua passivamente la sua maturazione. Nello stesso tempo le api aggiungono al miele enzimi che contribuiscono all’inversione del saccarosio, cioè, alla scissione del disaccaride in due monosaccaridi: il fruttosio ed il glucosio (i due componenti principali del miele). Conclusasi la trasformazione, il miele viene immagazzinato definitivamente in cellette chiuse con opercoli di cera per preservarne meglio la freschezza, costituendo cosi le riserve dell’alveare. Esse verranno intaccate soltanto nei periodi di carestia oppure durante i mesi invernali, quando le api si stringono in glomere fermando tutte le attività in attesa della ripresa primaverile.
La composizione del miele
Tanti sono i tipi di miele, tanta è la variabilità della sua composizione. Mediamente, il miele contiene il 18% di acqua, (con punte fino al 23% per alcune varietà), il 75% di zuccheri semplici (fruttosio e glucosio) e non più del 5% di saccarosio, salvo poche eccezioni. In più contiene acidi, sia organici sia inorganici, presentando dei valori di pH compresi tra 3,2 e 4,5 ma anche sali minerali, enzimi, sostanze aromatiche ed alcune vitamine.
Pur essendo un alimento calorico, grazie alla sua composizione, lo è un po’ meno rispetto allo zucchero (340 kcal/100 gr invece di 400 kcal) ed a differenza di quest’ultimo offre un apporto energetico immediato dovuto alla presenza di glucosio e fruttosio, zuccheri semplici che non hanno bisogno di essere digeriti.
Ma quanti sono?
Il miele può essere monofloreale, quando ha prevalentemente un’unica origine botanica, oppure millefiori, quando nella zona di bottinamento delle api non esiste una specie botanica dominante, bensì una moltitudine di piante diverse che fioriscono più o meno contemporaneamente. In Italia esistono circa trenta tipi di mieli monoflora ed un’infinità di mieli millefiori. Ebbene, sì, il miele millefiori, la cenerentola della produzione apistica, tipico miele “da supermercato” sempre uguale a sè stesso, non è uno solo ma ne esistono proprio tanti ed ognuno di loro esprime, attraverso una ricchissima paletta di colori e sapori, l’unicità del territorio di provenienza; a volte bastano anche pochi chilometri quadri di terreno incolto intorno all’apiario, passare dal prato al sottobosco o alla macchia mediterranea, per avere mieli molto diversi tra di loro. I mieli monoflora, invece, hanno caratteristiche ben precise e sono molto simili tra di loro anche nel caso in cui le zone di provenienza sono diverse. Tra questi, alcuni sono molto conosciuti, come quello di acacia con il suo sapore delicato; di castagno, con un sapore forte, non sempre apprezzato; di agrumi, dall’aroma caratteristico; di eucalipto, sempre più raro; di tiglio, tarassaco, girasole. Esistono poi mieli rari perché di difficile produzione, come quello di rododendro e di corbezzolo e ci sono anche le new entry, come il miele di coriandolo che si produce in Italia soltanto da pochi anni.
Varie tipologie di miele a confronto
La cristallizzazione…
…questo strano fenomeno. In genere, i consumatori guardano con diffidenza il miele cristallizzato, specialmente se si tratta di una cristallizzazione grossolana, perché l’aspetto granuloso molto simile a quello dei cristalli di zucchero fa sospettare l’adulterazione del prodotto. Fortunatamente, la falsificazione del miele è un evento molto raro anche grazie ai controlli degli organi preposti, ed è fatta con metodi molto più sofisticati che non l’aggiunta di semplice zucchero, proprio per tentare di raggirare i moderni metodi di controllo. Essendo il miele una soluzione sovrassatura di zuccheri nell’acqua, la cristallizzazione è un processo naturale la cui velocità dipende da una moltitudine di fattori, tra i quali il più importante è il rapporto fruttosio-glucosio. I mieli con un elevato contenuto di fruttosio, come quelli di acacia, castagno e melata, cristallizzano molto lentamente o non cristallizzano affatto, mentre quelli con più glucosio cristallizzano più o meno velocemente, (alcuni come quelli di edera o colza, si induriscono cosi velocemente da rendere difficile la smielatura, cioè, l’estrazione dai favi). Anche la temperatura può influire questo processo: la massima velocità di cristallizzazione si manifesta ad una temperatura media di 14°C, mentre al di sotto dei 5°C e al di sopra dei 20°C sarà molto rallentata. Un altro fattore determinante è la presenza di microparticelle, all’interno del miele. Si tratta di granuli di polline o frammenti microscopici di cera che costituiranno i nuclei intorno ai quali si formeranno i cristalli.
Il processo di cristallizzazione può essere fermato o rallentato facendo ricorso alla microfiltrazione, ma questo deve essere specificato in etichetta, poiché si tratta di un procedimento che può essere usato per nascondere l’origine botanica (e anche geografica) del miele, oppure, mediante la pastorizzazione, anche se il risultato sarà un semplice dolcificante e non più un alimento vivo e ricco di sostanze attive.
Quale scegliere?
In primis, quello italiano. L’apicoltura ha bisogno di un sostegno che difficilmente trova a livello istituzionale e, se da una parte i controlli ed il rigore sono ben accetti in quanto tutelano i consumatori e offrono la garanzia di un prodotto di qualità, dall’altra parte la burocrazia e la mancanza di interesse per un settore della zootecnia considerato marginale, mettono in difficoltà gli apicoltori che devono competere con chi, all’estero, produce con regole ben diverse.
Poi, se possibile, un prodotto biologico, non solo perché ottenuto nel rispetto della natura ma anche perché presenta un più alto contenuto di nutraceutici, fenoli e flavonoidi, come dimostrano gli studi del Centro Ricerche Miele dell’Università di Tor Vergata.
Dopo di che, la scelta tra i mieli liquidi, pastosi o duri, dall’aroma tenue o dal sapore forte, dolci, amari o agrodolci, è solo una questione di gusti personali. Gusti che possono essere affinati partecipando alle varie manifestazioni organizzate dalle associazioni apistiche, dove con degustazioni e conferenze si introducono i partecipanti in un mondo sconosciuto che va al di là del solito miele “da supermercato”.
Romeo Caruceru, esperto apistico da sempre appassionato di api ed apicoltura possiede un piccolo apiario ed è moderatore della vivace sezione “Apicoltura” del Forumdiagraria.org
Le api Questa nuova edizione si caratterizza per il profondo aggiornamento degli aspetti biologici… |