Con­di­vi­di l'ar­ti­co­lo
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di Al­fon­so Pa­sca­le


Gli Or­ga­ni­smi Ge­ne­ti­ca­men­te Mo­di­fi­ca­ti (OGM) sono stati di­chia­ra­ti senza ri­schi da nu­me­ro­si or­ga­ni­smi di con­trol­lo na­zio­na­li e in­ter­na­zio­na­li. E tut­ta­via per molti cit­ta­di­ni, la sigla OGM è si­no­ni­mo di cibo da evi­ta­re, o per­ché ri­schio­so per la sa­lu­te o per­ché im­po­sto al mer­ca­to dagli in­te­res­si delle mul­ti­na­zio­na­li. Que­sto pa­ra­dos­so crea un cir­co­lo vi­zio­so: quan­to più gli OGM sono per­ce­pi­ti non si­cu­ri, tanto più si pro­ce­de a nuove ana­li­si, sem­pre più co­sto­se, anche se i cibi de­ri­va­ti da col­ti­va­zio­ni tran­sge­ni­che at­tual­men­te sono gli ali­men­ti in as­so­lu­to più re­go­la­men­ta­ti.
Siamo, dun­que, in pre­sen­za di una di­co­to­mia tra ri­schio reale e ri­schio per­ce­pi­to. E la per­ce­zio­ne della si­cu­rez­za ali­men­ta­re di­pen­de da come viene co­mu­ni­ca­to il ri­schio e da quan­to il cibo è sen­ti­to come “fa­mi­lia­re” o “estra­neo”, “na­tu­ra­le” o “tec­no­lo­gi­co”.
Il pro­ble­ma sa­ni­ta­rio prin­ci­pa­le che ri­guar­da il cibo è di ca­rat­te­re bat­te­ri­co o vi­ra­le. Ma l’i­dea di in­tos­si­ca­zio­ne è fa­mi­lia­re, cioè non ri­chie­de di es­se­re com­pre­sa dal punto di vista tec­ni­co; e non è av­ver­ti­ta come im­po­sta in modo vo­lon­ta­rio da qual­cu­no. E’ per que­sto che le per­so­ne non si sen­to­no mi­nac­cia­te. Al con­tra­rio, esse non ac­cet­ta­no gli OGM per­ché que­ste pian­te sono per­ce­pi­te come “estra­nee”, “tec­no­lo­gi­che” e per giun­ta im­po­ste da forze po­ten­ti, anche se non ci sono prove che pos­sa­no es­se­re pe­ri­co­lo­se.
La que­stio­ne degli OGM at­tie­ne in mas­si­ma parte alla sua di­men­sio­ne cul­tu­ra­le e chia­ma in causa di­ver­si ele­men­ti. In­nan­zi­tut­to, il com­por­ta­men­to di­ver­si­fi­ca­to degli in­tel­let­tua­li e dei co­mu­ni­ca­to­ri che con­tri­bui­sco­no a crea­re il senso co­mu­ne. Sono po­chis­si­mi quel­li che espri­mo­no opi­nio­ni su pro­ble­mi com­ples­si va­lo­riz­zan­do co­no­scen­ze ac­qui­si­te con me­to­do scien­ti­fi­co e mol­te­pli­ci stru­men­ti di mi­su­ra. L’al­tro ele­men­to è la fun­zio­ne dei mass-me­dia, che non ga­ran­ti­sco­no una con­di­zio­ne di im­par­zia­li­tà nel­l’in­for­ma­zio­ne e un con­fron­to ci­vi­le tra le di­ver­se po­si­zio­ni. In­fi­ne, la di­co­to­mia tra ri­schi reali e ri­schi per­ce­pi­ti pone un pro­ble­ma di con­vi­ven­za tra dif­fe­ren­ti vi­sio­ni cul­tu­ra­li ed eti­che anche nel­l’am­bi­to delle que­stio­ni scien­ti­fi­che e di un nuovo rap­por­to tra scien­za e de­mo­cra­zia. Si trat­ta di aspet­ti im­por­tan­ti che vanno af­fron­ta­ti se­ria­men­te se si vuole guar­da­re con fi­du­cia al fu­tu­ro, pun­tan­do sul­l’in­no­va­zio­ne.
In Ita­lia, il pro­ble­ma si pre­sen­ta con una sua pro­pria spe­ci­fi­ci­tà per­ché il no­stro Paese è ca­rat­te­riz­za­to da una dif­fu­sa av­ver­sio­ne alla scien­za, det­ta­ta spes­so da ti­mo­ri egoi­sti­ci e paure mil­le­na­ri­sti­che. Del resto, da noi il li­vel­lo delle com­pe­ten­ze e delle ca­pa­ci­tà co­gni­ti­ve scien­ti­fi­che e tec­ni­che non è stato mai con­si­de­ra­to un cri­te­rio im­por­tan­te al­me­no pari a quel­li nor­mal­men­te ri­te­nu­ti ne­ces­sa­ri per la na­sci­ta e la so­prav­vi­ven­za di una de­mo­cra­zia li­be­ra­le e non di­spo­ti­ca.
Molti af­fer­ma­no che l’au­to­no­mia e l’au­to­de­ter­mi­na­zio­ne sono i va­lo­ri dav­ve­ro in grado di ga­ran­ti­re un ef­fi­cien­te fun­zio­na­men­to delle re­go­le de­mo­cra­ti­che, ma poi di­men­ti­ca­no che solo la dif­fu­sio­ne della scien­za è in grado di svi­lup­pa­re negli in­di­vi­dui e nelle co­mu­ni­tà il senso di au­to­no­mia. E nel­l’at­tua­le so­cie­tà del ri­schio, solo la scien­za per­met­te di ac­qui­si­re dati e va­lu­ta­zio­ni per poter pla­sma­re i com­por­ta­men­ti e i va­lo­ri ci­vi­li che con­sen­to­no di con­trol­la­re de­mo­cra­ti­ca­men­te la so­ste­ni­bi­li­tà delle pre­mes­se su cui si reg­go­no i pro­ces­si mol­ti­pli­ca­ti­vi della mo­der­ni­tà.


Neo­na­zio­na­li­smo e au­tar­chia ita­li­ca


Per com­pren­de­re la que­stio­ne degli OGM nella sua di­men­sio­ne cul­tu­ra­le è ne­ces­sa­rio co­no­sce­re cosa è av­ve­nu­to negli ul­ti­mi tren­ta anni al­l’in­ter­no del mondo della ri­cer­ca ge­ne­ti­ca agra­ria.
A metà degli anni Ot­tan­ta, un grup­po di ge­ne­ti­sti agra­ri lan­cia l’i­dea di ab­bas­sa­re la dose di chi­mi­ca in agri­col­tu­ra in­ter­ve­nen­do sul DNA delle pian­te, co­raz­zan­do­le con­tro gli in­set­ti e con­tro le av­ver­si­tà at­mo­sfe­ri­che. I di­ser­ban­ti di prima ge­ne­ra­zio­ne ave­va­no, in­fat­ti, in­qui­na­to le falde ac­qui­fe­re. E gli agro­far­ma­ci di­stri­bui­ti con mano pe­san­te, ave­va­no crea­to squi­li­bri nella mi­cro­fau­na. Per fron­teg­gia­re i di­sa­stri eco­lo­gi­ci che si erano pro­dot­ti nel tempo, i ge­ne­ti­sti agra­ri, che ave­va­no fino a quel mo­men­to spo­sta­to geni fa­cen­do un’in­fi­ni­tà di prove a caso prima di in­di­vi­dua­re quel­lo re­spon­sa­bi­le del ca­rat­te­re ri­te­nu­to utile e tra­sfe­rir­lo, tro­va­no un nuovo modo di in­ter­ve­ni­re sui geni per gua­da­gna­re tempo nelle spe­ri­men­ta­zio­ni e af­fron­ta­re i nuovi nodi che la que­stio­ne am­bien­ta­le pone. De­ci­do­no così di svi­lup­pa­re il DNA ri­com­bi­nan­te. Gra­zie alla sco­per­ta degli en­zi­mi di re­stri­zio­ne, ca­pa­ci di ta­glia­re un pezzo di DNA, pos­so­no tra­spor­ta­re con pre­ci­sio­ne quel par­ti­co­la­re gene che espri­me un ca­rat­te­re agro­no­mi­co utile.
Tra l’ap­proc­cio pre­ce­den­te, fatto di ibri­da­zio­ni e d’in­cro­ci op­pu­re di ra­dia­zio­ni, e il nuovo ap­proc­cio, fon­da­to sul DNA ri­com­bi­nan­te, la dif­fe­ren­za è che la quan­ti­tà di geni spo­sta­ti è pic­co­la, uno o più geni. Non si spo­sta­no più cen­ti­na­ia o mi­glia­ia di geni che po­ten­zial­men­te pos­so­no cam­bia­re di po­si­zio­ne. Inol­tre, con la nuova tec­ni­ca si può con­trol­la­re con più pre­ci­sio­ne il cam­bia­men­to in atto. Così al­cu­ni ri­cer­ca­to­ri che ope­ra­no in di­ver­se strut­tu­re pub­bli­che tro­va­no anche il modo per sal­va­re al­cu­ne spe­cie ve­ge­ta­li che cor­ro­no il pe­ri­co­lo di estin­guer­si. Tra que­ste il melo della Valle d’Ao­sta, at­tac­ca­to da un co­leot­te­ro molto mo­le­sto che ha l’a­bi­tu­di­ne di ci­bar­si delle sue ra­di­ci; il po­mo­do­ro San Mar­za­no sen­si­bi­le alle vi­ro­si e il riso Car­na­ro­li at­tac­ca­to dal “mal del collo”.
Tra la fine del No­ve­cen­to e l’i­ni­zio del nuovo se­co­lo que­ste spe­ri­men­ta­zio­ni, volte a crea­re OGM per ri­sol­ve­re al­cu­ni pro­ble­mi ri­guar­dan­ti le no­stre spe­cia­li­tà ti­pi­che, ven­go­no bloc­ca­te da due mi­ni­stri: Al­fon­so Pe­co­ra­ro Sca­nio e Gian­ni Ale­man­no. Essi in­flig­go­no un colpo mor­ta­le a un’at­ti­vi­tà di ri­cer­ca pub­bli­ca che in Ita­lia è al­l’a­van­guar­dia. I no­stri scien­zia­ti vo­glio­no, in­fat­ti, af­fron­ta­re una serie di pro­ble­mi crea­ti dalla Ri­vo­lu­zio­ne verde e ve­do­no nelle nuove co­no­scen­ze e nei nuovi stru­men­ti tec­no­lo­gi­ci una seria pos­si­bi­li­tà per farlo. Ma isti­tu­zio­ni pub­bli­che e strut­tu­re so­cia­li, di co­mu­ne ac­cor­do, in­ter­rom­po­no que­ste at­ti­vi­tà che non ven­go­no più fi­nan­zia­te.
Si forma così una spu­ria al­lean­za, rin­chiu­sa nella tu­te­la di una ma­lin­te­sa ita­lia­ni­tà, frut­to del rag­gru­mar­si di sub­cul­tu­re che ri­spon­do­no im­pau­ri­te e rab­bio­se alla glo­ba­liz­za­zio­ne e ai nuovi equi­li­bri mon­dia­li, in cui emer­go­no Paesi con un tasso di cre­sci­ta prima inim­ma­gi­na­bi­le. Un’al­lean­za che preme sul go­ver­no per bloc­ca­re l’u­ti­liz­za­zio­ne in Ita­lia delle se­men­ti OGM re­go­lar­men­te ap­pro­va­te da Bru­xel­les; che ot­tie­ne dal Par­la­men­to leggi sul­l’e­ti­chet­ta­tu­ra degli ali­men­ti o sulla per­cen­tua­le di al­chil este­ri nel­l’o­lio d’o­li­va da usare come armi pun­ta­te verso gli or­ga­ni­smi eu­ro­pei – a cui è in­ve­ce de­man­da­to il com­pi­to di le­gi­fe­ra­re su tali ma­te­rie – per ten­ta­re di con­di­zio­nar­li nelle scel­te.
Emer­ge, dun­que, una sorta di neo­na­zio­na­li­smo au­tar­chi­co che esclu­de ogni col­la­bo­ra­zio­ne con le agri­col­tu­re di altri Paesi, con­si­de­ra­te come ne­mi­che da com­bat­te­re, e preme osti­na­ta­men­te sulle isti­tu­zio­ni per­ché si ri­pren­da­no quel­la so­vra­ni­tà na­zio­na­le che un tempo si era di­spo­sti a sa­cri­fi­ca­re per l’o­biet­ti­vo di un idea­le col­let­ti­vo eu­ro­peo.
Il tutto nasce dal­l’e­sa­spe­ra­zio­ne della ti­pi­ci­tà come stra­te­gia volta ad af­fron­ta­re la glo­ba­liz­za­zio­ne elu­den­do la com­pe­ti­zio­ne da costi. La scel­ta della ti­pi­ci­tà è così con­ce­pi­ta non solo come per­cor­so per dif­fe­ren­zia­re e dare un va­lo­re ag­giun­to ad un pro­dot­to. Un ali­men­to ti­pi­co non ha, in­fat­ti, con­cor­ren­ti e ap­par­tie­ne, però, a tutti i pro­dut­to­ri. Ha un va­lo­re im­ma­te­ria­le rac­chiu­so nella pro­ve­nien­za geo­gra­fi­ca e nel di­sci­pli­na­re di pro­du­zio­ne ri­ca­va­to dalla me­mo­ria sto­ri­ca del ter­ri­to­rio. Ma, a torto, tale per­cor­so viene ri­te­nu­to anche come l’u­ni­co ca­pa­ce di af­fron­ta­re i mer­ca­ti glo­ba­li. E così viene teo­riz­za­to in modo stru­men­ta­le un in­sa­na­bi­le con­tra­sto tra pro­du­zio­ni ti­pi­che e pian­te OGM, ne­gan­do così in ra­di­ce l’as­sun­to scien­ti­fi­co con cui i no­stri ri­cer­ca­to­ri ave­va­no av­via­to le nuove spe­ri­men­ta­zio­ni. E si fa pas­sa­re que­sta tesi an­ti­scien­ti­fi­ca me­dian­te una serie di pro­gram­mi pro­mo­zio­na­li e di co­mu­ni­ca­zio­ne in ma­te­ria di ali­men­ti, con un di­spen­dio enor­me e in­sen­sa­to di ri­sor­se pub­bli­che.
Sic­ché, at­tual­men­te il mer­ca­to degli OGM è quasi mo­no­po­liz­za­to da una sola mul­ti­na­zio­na­le, la Mon­san­to. E il mo­ti­vo sta nel fatto che ini­zial­men­te i bre­vet­ti pro­ve­ni­va­no dalle uni­ver­si­tà pub­bli­che; ma a se­gui­to delle cam­pa­gne pro­mo­zio­na­li al­l’in­se­gna della pa­ro­la d’or­di­ne priva di giu­sti­fi­ca­zio­ni scien­ti­fi­che “gli OGM sono dan­no­si alla sa­lu­te e al­l’am­bien­te”, la Mon­san­to ha ac­qui­sta­to gran parte dei bre­vet­ti dalle uni­ver­si­tà. E la scel­ta di que­sta im­pre­sa pri­va­ta di ef­fet­tua­re ri­cer­che solo su pian­te di ele­va­ta dif­fu­sio­ne, come il mais, e non su pro­du­zio­ni ti­pi­che è ov­via­men­te det­ta­ta da una con­ve­nien­za eco­no­mi­ca e non da un in­ten­to ma­le­vo­lo. È, in­fat­ti, la ri­cer­ca pub­bli­ca che do­vreb­be pun­ta­re a ri­sol­ve­re i pro­ble­mi delle pro­du­zio­ni di nic­chia. Dun­que, il teo­re­ma co­strui­to sulle cop­pie ti­pi­co/sano e OGM/dan­no­so, ti­pi­co/na­tu­ra­le e OGM/ar­ti­fi­cia­le, ti­pi­co/ita­lia­no e OGM/stra­nie­ro, ti­pi­co/im­pre­se lo­ca­li e OGM/mul­ti­na­zio­na­li, è ap­pun­to un teo­re­ma in­ven­ta­to in modo miope da chi è se­du­to sul ramo che egli stes­so è in­ten­to a se­ga­re.
La cul­tu­ra della ti­pi­ci­tà, da stru­men­to di co­no­scen­za delle di­stin­zio­ni e della sto­ria ali­men­ta­re, viene esa­spe­ra­ta fino al punto di tra­sfor­mar­la in arma di di­fe­sa eco­no­mi­ca nella com­pe­ti­zio­ne glo­ba­le.
Sic­ché, il con­si­de­re­vo­le pa­tri­mo­nio di ri­cer­che con­dot­te dal­l’I­sti­tu­to Na­zio­na­le di So­cio­lo­gia Ru­ra­le (INSOR) sui pro­dot­ti tra­di­zio­na­li di­ven­ta non già sus­si­dio di­dat­ti­co nelle scuo­le e nelle ag­gre­ga­zio­ni so­cia­li, ma ma­te­ria­le da di­stil­la­re in mar­chi e mar­chiet­ti da ap­por­re sulle eti­chet­te delle con­fe­zio­ni. E ogni ul­te­rio­re no­vi­tà che si di­sco­sta o sem­bra al­lon­ta­nar­si dal ti­pi­co viene sa­cri­fi­ca­ta in nome del made in Italy. Il tutto me­dian­te una co­mu­ni­ca­zio­ne sem­pli­fi­ca­ta, ag­gres­si­va, pro­vo­ca­to­ria, per lo più rea­liz­za­ta a spese del pub­bli­co era­rio.
E così, pro­prio ora che gli scam­bi non solo eco­no­mi­ci di­ven­ta­no nel mondo più ampi e ra­mi­fi­ca­ti, si ri­nun­cia in so­stan­za alla prin­ci­pa­le pre­ro­ga­ti­va che il no­stro Paese ha avuto in pas­sa­to: quel­la di as­si­mi­la­re altre cul­tu­re e ri­crear­le in modo così ori­gi­na­le da farle ap­pa­ri­re come se fos­se­ro sem­pre ap­par­te­nu­te al no­stro DNA.
In so­stan­za, si col­ti­va ar­ta­ta­men­te l’il­lu­sio­ne che la no­stra cul­tu­ra agroa­li­men­ta­re possa di­fen­der­si da quel­le dei Paesi emer­gen­ti con le leggi e i tri­bu­na­li e non in­ve­ce con l’in­no­va­zio­ne, la ri­cer­ca scien­ti­fi­ca, la crea­ti­vi­tà, il gusto di es­se­re imi­ta­ti per ri­ca­var­ne la spin­ta a su­pe­ra­re noi stes­si.


Oltre la spe­cie con spe­ran­ze ra­gio­ne­vo­li


Siamo ap­pe­na en­tra­ti in una nuova ri­vo­lu­zio­ne tec­no­lo­gi­ca. E ciò che tra­spa­re al­l’o­riz­zon­te è il su­pe­ra­men­to della se­pa­ra­zio­ne tra sto­ria della vita e sto­ria del­l’in­tel­li­gen­za. Le basi na­tu­ra­li della no­stra esi­sten­za smet­te­ran­no pre­sto di es­se­re un pre­sup­po­sto im­mo­di­fi­ca­bi­le del­l’a­gi­re umano. La no­stra na­tu­ra, nella sua in­te­rez­za, di­ven­te­rà un ri­sul­ta­to sto­ri­ca­men­te de­ter­mi­na­to della no­stra cul­tu­ra. L’in­tel­li­gen­za umana e quel­la non bio­lo­g­i­ca pre­sto si al­lee­ran­no. E così en­tre­re­mo nella co­sid­det­ta “Sin­go­la­ri­tà”.
E quan­do sfon­de­re­mo tale so­glia, sa­re­mo oltre la spe­cie, in una di­men­sio­ne non più “na­tu­ra­le” ma in­te­ra­men­te “cul­tu­ra­le” del­l’u­ma­no. A detta dei fu­tu­ro­lo­gi, tale con­di­zio­ne apri­reb­be pro­spet­ti­ve ine­di­te oggi dif­fi­ci­li da in­tra­ve­de­re. In una cul­tu­ra come quel­la ita­lia­na, nu­tri­ta di an­ti­mo­der­ni­smo e di sen­sa­zio­na­li­smo gior­na­li­sti­co, la sola evo­ca­zio­ne di sif­fat­te no­vi­tà su­sci­ta una rea­zio­ne di ri­get­to. Ma senza pec­ca­re di ot­ti­mi­smo tec­no­lo­gi­co e senza ri­cor­re­re ai gran­di rac­con­ti fan­ta­scien­ti­fi­ci, si pos­so­no sen­z’al­tro nu­tri­re quel­le che il fi­lo­so­fo e sto­ri­co della scien­za, Paolo Rossi, chia­ma­va spe­ran­ze ra­gio­ne­vo­li entro un fu­tu­ro in­cer­to e dif­fi­ci­le.
Tra l’A­po­ca­lis­se e le Gran­di Spe­ran­ze c’è la giu­sta mi­su­ra con cui guar­da­re al do­ma­ni a con­di­zio­ne, tut­ta­via, che in Ita­lia si ab­ban­do­ni la de­mo­niz­za­zio­ne della tec­ni­ca ap­pli­ca­ta alla na­tu­ra umana e alla na­tu­ra in ge­ne­ra­le. La vio­len­za della po­le­mi­ca ha sfio­ra­to ad­di­rit­tu­ra il pa­ra­dos­so. Al­l’on­co­lo­go Um­ber­to Ve­ro­ne­si che di­chia­ra­va “Se po­tes­si sce­glie­re, pre­fe­ri­rei nu­trir­mi di mais tran­sge­ni­co”, lo sto­ri­co Piero Be­vi­lac­qua re­pli­ca­va in modo pe­ren­to­rio: “Af­fer­mia­mo senza dif­fi­col­tà che, di fron­te a un mondo a così alto ri­schio, la fede in­con­di­zio­na­ta che anche in­tel­let­tua­li li­be­ri nu­tro­no nei con­fron­ti della tec­no­scien­za rap­pre­sen­ta un aspet­to co­sti­tu­ti­vo della su­per­sti­zio­ne con­tem­po­ra­nea”.
Lo stu­dio­so ac­cu­sa di at­teg­gia­men­to fi­dei­sti­co e su­per­sti­zio­so quei set­to­ri che si bat­to­no per la li­ber­tà della ri­cer­ca scien­ti­fi­ca da po­si­zio­ni lai­che. Per­ché? I ter­mi­ni fede e su­per­sti­zio­ne ti­ra­ti in ballo dallo sto­ri­co fanno emer­ge­re una no­vi­tà che non tutti col­go­no: oggi non solo i di­ver­si punti di vista sono per­ce­pi­ti come cre­den­ze o fedi, in­di­pen­den­te­men­te se que­ste siano re­li­gio­se o meno, ma anche i dati scien­ti­fi­ci sono as­si­mi­la­ti alle cre­den­ze. Da una parte della cul­tu­ra ita­lia­na il me­to­do scien­ti­fi­co non è più ri­co­no­sciu­to ed è con­si­de­ra­to su­per­fluo.
Gli in­tel­let­tua­li e gli scien­zia­ti che a esso con­ti­nua­no a ri­cor­re­re nella loro at­ti­vi­tà do­vreb­be­ro, per­tan­to, at­trez­zar­si per farlo va­le­re nella so­cie­tà me­dian­te un’a­zio­ne pe­da­go­gi­ca e un im­pe­gno ci­vi­le di ri­pen­sa­men­to della de­mo­cra­zia.


Oc­cor­re un’in­no­va­zio­ne so­cia­le


Che si debba porre mano alla de­mo­cra­zia, ai suoi fon­da­men­ti etici e ai modi di pro­dur­re de­ci­sio­ni con­di­vi­se, ap­pa­re ormai scon­ta­to in una so­cie­tà che di­ven­ta sem­pre più mul­ti­cul­tu­ra­le. Non si trat­ta solo di una mol­te­pli­ci­tà d’in­te­res­si par­ti­co­la­ri o di punti di vista li­mi­ta­ti, che si pos­so­no tra­scen­de­re in sin­te­si su­pe­rio­ri, ma di un plu­ra­li­smo che è parte in­te­gran­te del­l’o­pe­ra della ra­gio­ne pra­ti­ca li­be­ra, entro la cor­ni­ce di li­be­re isti­tu­zio­ni.
Di­nan­zi a que­sta no­vi­tà, le isti­tu­zio­ni po­li­ti­che do­vreb­be­ro as­su­me­re un at­teg­gia­men­to laico e tol­le­ran­te. Si trat­ta di ac­cet­ta­re il plu­ra­li­smo non come modus vi­ven­di o come ne­ces­si­tà, ma per ade­sio­ne pro­fon­da a un re­gi­me di li­ber­tà e ai suoi prin­ci­pi. Per­tan­to, l’i­dea stes­sa di lai­ci­tà, che non ri­guar­da più solo il rap­por­to tra Stato e con­fes­sio­ni re­li­gio­se, an­dreb­be ri­fon­da­ta.
La nuova lai­ci­tà pre­sup­po­ne uno Stato neu­tra­le tra le di­ver­se con­ce­zio­ni e in­di­pen­den­te da qua­lun­que dot­tri­na. Ma quan­do i dati scien­ti­fi­ci de­vo­no ne­ces­sa­ria­men­te sup­por­ta­re le de­ci­sio­ni, in che modo si po­tran­no di­fen­de­re da even­tua­li ma­ni­po­la­zio­ni? Non è sem­pli­ce ri­spon­de­re a que­sta do­man­da. Si può ten­ta­re qui di pro­spet­ta­re un’i­po­te­si. La nuova lai­ci­tà do­vreb­be pre­sup­por­re non già il mero ri­co­no­sci­men­to di una co­mu­ni­tà scien­ti­fi­ca che si au­to­ge­sti­sce nel pro­dur­re una co­no­scen­za af­fi­da­bi­le me­dian­te per­cor­si col­let­ti­vi di con­trol­lo e ap­pro­va­zio­ne, bensì l’im­mer­sio­ne degli scien­zia­ti nella so­cie­tà ci­vi­le per in­te­ra­gi­re con l’in­sie­me dei cit­ta­di­ni e con­tri­bui­re dal basso alla for­ma­zio­ne dei punti di vista.
Si trat­ta, in so­stan­za, di pro­dur­re un’in­no­va­zio­ne so­cia­le che cam­bia la qua­li­tà e l’e­sten­sio­ne delle re­la­zio­ni per fare in modo che la co­no­scen­za si dif­fon­da e di­ven­ti ef­fet­ti­vo di­rit­to di cit­ta­di­nan­za. A quel punto la scien­za e il me­to­do scien­ti­fi­co pos­so­no di­ven­ta­re con­cre­ta­men­te un pi­la­stro co­sti­tu­ti­vo della de­mo­cra­zia.
Ci vor­reb­be una po­li­ti­ca ca­pa­ce di de­li­nea­re pro­get­ti fat­ti­bi­li volti ad an­ti­ci­pa­re la forma ci­vi­le che le gran­di strut­tu­re della tec­noe­co­no­mia già co­min­cia­no a ri­di­se­gna­re in so­li­tu­di­ne e, dun­que, nel pe­ri­co­lo. Ma prima an­co­ra della po­li­ti­ca, avrem­mo bi­so­gno di una nuova etica che do­vreb­be ma­tu­ra­re nella so­cie­tà ci­vi­le. Di quale etica? A que­sta do­man­da ri­spon­de­rei con Aldo Schia­vo­ne così: “Di un’e­ti­ca che sap­pia tro­va­re il di­vi­no nel­l’ac­cre­scer­si delle fa­col­tà del­l’u­ma­no e non nella sa­cra­li­tà della na­tu­ra. Di un’e­ti­ca della tra­sfor­ma­zio­ne e non della con­ser­va­zio­ne; che ac­col­ga le re­spon­sa­bi­li­tà e non le re­spin­ga; che non ri­fiu­ti l’au­men­to il­li­mi­ta­to di po­ten­za, ma ne de­ter­mi­ni gli obiet­ti­vi; che non con­si­de­ri de­fi­ni­ti­vo nes­sun as­set­to bio­lo­g­i­co o so­cia­le, ma ac­cet­ti di con­si­de­rar­li tutti come fi­gu­re del mu­ta­men­to e della tran­si­zio­ne; che cer­chi le sue leggi non nella na­tu­ra, ma nel­l’in­tel­li­gen­za e nel­l’a­mo­re”.
È que­sto il li­vel­lo cui il di­bat­ti­to sulle bio­tec­no­lo­gie do­vreb­be ten­de­re per fa­vo­ri­re per­cor­si ef­fi­ca­ci, ben­ché com­ples­si, al fine di giun­ge­re a de­ci­sio­ni con­di­vi­se. Ma in Ita­lia le isti­tu­zio­ni (e anche i mass media) non ga­ran­ti­sco­no con­di­zio­ni d’im­par­zia­li­tà, in­di­pen­den­za e lai­ci­tà per un con­fron­to ci­vi­le tra le di­ver­se po­si­zio­ni. E nelle reti so­cia­li non na­sco­no an­co­ra azio­ni di mo­ni­to­rag­gio e cor­re­zio­ne (con ana­li­si di dati det­ta­glia­ti e ri­go­ro­si ri­cor­si alle fonti scien­ti­fi­che), in­ter­di­sci­pli­na­ri e gra­tui­te, a so­ste­gno delle per­so­ne che in­ten­do­no av­va­ler­se­ne nella for­ma­zio­ne delle opi­nio­ni.


Al­fon­so Pa­sca­le (1955) si oc­cu­pa di agri­col­tu­re ci­vi­li, cam­pa­gne ur­ba­ne e di tutto quel­lo che ruota in­tor­no al cibo. Col­la­bo­ra con isti­tu­ti per la ri­cer­ca so­cio-eco­no­mi­ca e la for­ma­zio­ne. Ha pub­bli­ca­to nu­me­ro­si saggi, tra cui “Par­ti­re dal ter­ri­to­rio” (RCE 2002), “Il ’68 delle cam­pa­gne” (RCE 2004) e, ul­ti­ma­men­te, “Ra­di­ci & Gemme. La so­cie­tà ci­vi­le delle cam­pa­gne dal­l’U­ni­tà ad oggi” (Ca­vi­na­to Edi­to­re In­ter­na­tio­nal, 2013), che ri­co­strui­sce fatti e idee ri­guar­dan­ti i ceti ru­ra­li, com­pre­si i pro­fes­sio­ni­sti e i tec­ni­ci, e il loro rap­por­to con lo Stato. Nel 1977 è stato tra i fon­da­to­ri della Con­fe­de­ra­zio­ne Ita­lia­na Agri­col­to­ri, in cui ha svol­to il ruolo di vice pre­si­den­te na­zio­na­le (1992-2002). Nel 2005 ha fon­da­to la Rete Fat­to­rie So­cia­li di cui è stato pre­si­den­te fino al 2011. Ha un sito per­so­na­le www.​alf​onso​pasc​ale.​it


 






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