Come mitigare l’impronta del carbonio
di Andrea Ambrosini
Premessa
L’impronta del carbonio è l’indice che esprime la quantità totale di gas serra, non solo anidride carbonica ma, per il settore agricolo, principalmente metano e protossido di azoto emessa nel corso dei processi produttivi.
Tra gli impatti che derivano dall’attività dell’uomo, sono da considerare le emissioni di gas che hanno un effetto serra, cioè quei gas trasparenti alle radiazioni solari ma che trattengono le radiazioni infrarosse emesse dalla superficie terrestre e dall’atmosfera: i principali gas a effetto serra (GHG) di origine agricola sono, oltre all’anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e protossido di azoto (N2O).
Il metano, si genera in fase di decomposizione della sostanza organica in ambiente povero di ossigeno, ossia nelle fermentazioni e del grosso intestino, nello stoccaggio degli effluenti di allevamento e nelle risaie in condizioni di sommersione.
Il protossido di azoto viene prodotto dalla trasformazione microbica dell’azoto nei suoli e nelle deiezioni. E’ ormai consolidata l’associazione tra l’emissione di GHG dalle attività umane, e l’andamento dei cambiamenti climatici nel nostro pianeta, manifestandosi con l’aumento della temperatura, l’innalzamento del livello del mare e lo scioglimento dei ghiacciai.
Gli effetti dei cambiamenti climatico sono percepibili anche per territori più definiti, come l’Europa e l’Italia, dove nel corso degli ultimi 200 anni la temperatura dell’aria è cresciuta di circa un grado per secolo.
Anche su scala regionale per la Lombardia sono chiari i segni del cambiamento climatico, soprattutto negli ultimi 25 anni, con le temperature in costante aumento di quasi 2 °C in poco più di 40 anni, e con un’evidente impennata dall’inizio degli anni ’80, e le precipitazioni in contrazione, anche se in maniera altalenante.
Aumentare l’efficienza produttiva
Dal momento che l’impronta del carbonio è riferita a un prodotto (latte, carne, uova, granelle, frutta, ecc.) o a una superficie agricola utilizzata, è evidente che una più alta efficienza produttiva che usi gli stessi input è in grado di ridurne l’entità.
L’obiettivo è minimizzare le emissioni di gas serra per unità di prodotto ottenuto, mediante una “intensificazione sostenibile” che migliori le produzioni senza apportare danni all’ecosistema.
Ridurre le emissioni
Per ridurre le emissioni intestinali di metano è possibile intervenire con diverse strategie.
Tra le più studiate ci sono quelle per limitare la produzione di metano a livello ruminale: riduzione della fibra dietetica (aumento della quota di mangimi o del rapporto concentrati/foraggi) e/o azioni più dirette verso la selezione della microflora del rumine (uso di grassi e di oli essenziali, integrazioni con acidi organici, probiotici, ecc).
Anche la selezione genetica si sta occupando di produrre animali che fisiologicamente siano predisposti a produrre meno metano.
Va però considerato che, volendo continuare a sfruttare il ruminante per la produzione di proteine ad alto valore biologico (latte e carne) da materie prime (fibra vegetale) altrimenti inutilizzabili dall’uomo e dai monogastrici, la via dello sfruttamento dei foraggi passa da un miglioramento della qualità complessiva e da un aumento della digeribilità della fibra.
Va anche considerato che l’uso di alcuni additivi, così come l’uso dei foraggi in quantità minime, possono essere soggette a vincoli da specifici disciplinari di produzione, quali (ad esempio) quella del formaggio Grana Padano o del Parmigiano Reggiano.
Il livello proteico della dieta fornita agli animali è proporzionale all’escrezione di composti azotati con le deiezioni, soprattutto con le urine.
Per questo motivo interventi di miglioramento dell’efficienza metabolica della proteina dietetica (riduzione della quantità di proteina ingerita, miglioramento del suo valore biologico, aumento delle sintesi proteiche interne per i ruminanti) possono avere un effetto di riduzione importante dell’azoto espulso.
Nella gestione delle deiezioni le misure che possono ridurre le emissioni di metano sono talvolta in contrasto con quelle che riducono le emissioni di protossido di azoto.
Per esempio, la gestione degli effluenti in forma di liquame riduce le emissioni di N2O, ma incrementa quelle di CH4, mentre per le deiezioni solide avviene il contrario.
Anche nello stoccaggio di effluenti solidi (letame, lettiere) ci possono essere effetti antagonisti: se la massa che si ottiene è compatta e poco porosa le emissioni di ammoniaca vengono sfavorite, ma possono aumentare quelle di protossido di azoto.
Una riduzione delle emissioni ammoniacali mediante tecniche e tecnologie evolute quali diete a basso tenore proteico, sistemi di rimozione rapida degli effluenti nei ricoveri, copertura degli stoccaggi dei liquami, incorporazione rapida degli effluenti all’atto dell’utilizzazione agronomica, ecc. ,comporta, invece, un effetto positivo anche sulle emissioni indirette di N2O.
La fertilizzazione azotata con le deiezioni animali può essere ottimizzata, o quantomeno migliorata, attraverso: la scelta coerente del momento di somministrazione, l’uso delle quantità migliori per le colture, il ricorso a tecnologie di precisione nei dosaggi e nei posizionamenti (agricoltura di precisione).
Con questi accorgimenti si ottiene un aumento dell’efficienza dell’azoto zootecnico ai fini della concimazione e una riduzione anche importante delle emissioni di NH3 e N2O e del rilascio dei nitrati nelle acque superficiali e di falda. Altro vantaggio interessante, è dato dal risparmio dei fertilizzanti di sintesi, con azzeramento delle emissioni di CO2 dovute alla loro produzione e distribuzione.
Produrre e risparmiare energia
La digestione anaerobica degli effluenti per la produzione di biogas è una tecnica ad elevata potenzialità di mitigazione delle emissioni di gas serra degli allevamenti, in quanto da un lato riduce le emissioni di metano nella fase di stoccaggio(soprattutto se anche la vasca del digestato residuale è coperta) e dall’altro produce energia “alternativa” a quella di fonte fossile, evitandone la produzione e le relative emissioni di CO2.
Anche tutti gli interventi di risparmio energetico e di aumento della efficienza energetica di macchine ed edifici, oltre all’installazione di impianti di produzione energetica da fonte rinnovabile (biomasse e solare), possono contribuire.
Sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera
Le tecniche di sequestro del carbonio sono tutte quelle pratiche agricole che tendono alla conservazione della fertilità del suolo perché aumentano il suo contenuto di sostanza organica (la cosiddetta agricoltura conservativa).
Le lavorazioni ridotte del terreno (aratura poco profonda, scarificazione superficiale, semina su sodo) modificano in misura minore l’assetto del suolo agricolo rispetto a una convenzionale aratura profonda, che invece accelera la decomposizione della sostanza organica, favorendo la conseguente emissione di gas serra.
Il passaggio da colture arative a colture permanenti riduce la decomposizione della sostanza organica e l’esposizione del suolo all’erosione, aumenta le riserve di carbonio nel suolo e, di conseguenza, la quantità di carbonio trasferito alla biomassa.
L’inserimento delle leguminose nella rotazione colturale riduce la richiesta di fertilizzanti azotati e le relative emissioni di gas serra, sia nella fase di produzione che di utilizzazione, oltre ad accrescere la sostanza organica del suolo.
Anche l’incorporazione dei residui colturali o il sovescio di coltivazioni intercalari fra due colture arative consente di ridurre le perdite di sostanza organica dal suolo e i rischi di erosione, migliorando al contempo la struttura del terreno, aumentando le produzioni, riducendo i rischi di ruscellamento e percolazione dei nitrati.
Conclusioni
Gli obiettivi citati, dovranno trovare le condizioni culturali, politiche, sociali ed infrastrutturali per consentire un capillare trasferimento di tali tecnologie, a costi accettabili. Si dovranno inoltre attuare, altre misure di sostegno per un utilizzo equilibrato del territorio con la migliore integrazione tra produzioni animali e vegetali in ogni area geografica, garanzia di sostenibilità nel lungo periodo. Resta indispensabile l’azione di formazione e di educazione alimentare e alla salute, per migliorare le condizioni di nutrizione e di vita delle popolazioni, riducendo da una parte gli eccessi di alimenti e dall’altra stimolando un consumo consapevole e responsabile del cittadino.
Giuseppe Andrea Ambrosini, è Agrotecnico iscritto al Collegio Interprovinciale degli Agrotecnici e Agrotecnici Laureati della provincia di Milano, Lodi e Monza Brianza. Dal 1993 al 1995 è stato Segretario della Consulta degli Agrotecnici di Milano e componente del Coordinamento Nazionale Agrotecnici. Nel 2007 è stato eletto Consigliere dello stesso Collegio, con delega del Presidente alla Comunicazione Istituzionale e alla Formazione Professionale. E’ funzionario dell’Ambiente – Tecnico Specialista presso la Regione Lombardia. http://www.agraria.org/rivista/curriculumambrosini.htm
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