Il veterinario non basta per avere zoo d’avanguardia!
di Giuliano Russini
Il presente lavoro è dedicato al biologo e divulgatore scientifico Giusto Benedetti, già direttore del Giardino Zoologico di Torino, recentemente scomparso.
“First of all one should mention with complete impartiality that for hundreds of years we have talked of zoological gardens and not of hospital for sick animals”
H. Hediger “Man and animals in the zoo: Zoo biology” 1970
L’obiettivo di questo articolo, è quello di cercare di fare un po’ di chiarezza, su alcuni fondamentali aspetti che riguardano la struttura dell’organico (e il ruolo di alcuni suoi membri) che dovrebbe avere un giardino zoologico, oggi preferenzialmente chiamato “zoo” e sul differente ruolo, in base alla diversa formazione scientifica (come anche la “forma mentis”), tra lo zoologo e il veterinario.
L’equivoco nasce da molteplici fattori, sia storici, che di formazione scientifica, come anche a causa di distorte percezioni e sopravvalutazioni del veterinario, troppo spesso (quasi sempre solo in Italia), forzatamente e volutamente lasciato uscire dai suoi canonici binari di competenza, cioè quelli relativi agli aspetti clinici e medico-sanitari degli animali, permettendogli di appropriarsi di competenze che non ha e che sono invece da sempre presenti nella formazione di una figura storicamente più antica e, in termini di gestione di tali strutture più completa, cioè quella del biologo, nello specifico dello zoologo.
Per evitare ogni forma di accusa, come una lotta di classe, di professione o quant’altro, diciamo subito che il presente articolo non ha lo scopo di sminuire la figura del veterinario che è l’unico professionista a cui spettano le cure sanitarie degli animali, la somministrazione di farmaci o terapie o, ove ce n’è bisogno e per le specie in cui è possibile farlo, nell’intervenire mediante chirurgia per ripristinarne la salute. Lo scopo invece è quello di ricondurre tale professionista, all’interno di una struttura come un giardino zoologico, alle sue mansioni ed enfatizzare la necessità di altre figure professionali – biologi, curatori e keepers in primis – senza le quali è illusorio che un acquario o zoo possa svolgere un efficace ruolo culturale e rispondere ad alti requisiti qualitativi nella cura degli animali (vedi anche il Decreto Legislativo 73/2005).
Partiamo dalla frase con cui inizia questo articolo, la cui filosofia in sintesi è che i giardini zoologici da sempre, non sono centri che ospitano animali malati, ma istituzioni che allevano ed espongono animali selvatici per scopi ben diversi da quelli che sono tradizionali con i domestici (il reddito, la compagnia ecc.).
A dichiarare questa frase fu Heini Hediger biologo ed etologo svizzero direttore del Tierpark Dählholzli a Berna (1938-1943), dello zoo di Basilea (1944-1953) e dello zoo di Zurigo (1954-1973), che è stato il padre scientifico della “zoobiologia”, cioè quella parte applicata della zoologia nel contesto specifico del giardino zoologico.
Biologi danesi durante una fase di censimento faunistico, 1970 – Veterinari inglesi al lavoro, 1969
L’autore sviluppò scientificamente alcuni dei principi già identificati dallo zoologo pratico tedesco Carl Hagenbeck che ad Amburgo aveva creato nel 1907 uno zoo con ampi spazi dove gli animali vivevano in complessi gruppi sociali e spesso in spazi delimitati da fossati invece che recinzioni; senza prolungarci troppo, questo principio che sfrutta complesse conoscenze zoologiche, biogeografiche, eco-etologiche e botaniche, riallacciati poi alle tecniche di architettura del paesaggio (landscape architecture), ha permesso agli zoo di uscire da uno stato di struttura predisposta solo per la contenzione e l’esposizione delle varie specie animali facenti uso di gabbie, come accadeva in passato fino agli anni ’50 del secolo scorso (in alcuni casi mantenendosi a livelli così bassi e primitivi, da essere dei veri e propri serragli; ahimè oggi per alcune strutture private e piccole, siamo ancora a questi livelli), senza tener conto delle loro esigenze, cioè del loro well-being.
Quindi l’artefice di questa dichiarazione era più che qualificato per farla!
Da questo pensiero si deducono due cose fondamentali, non esplicitamente dette, che sono:
1-Il ruolo cardine dei giardini zoologici, come degli acquari è quello di conservare le specie di fauna selvatica, delle varie aree biogeografiche del Pianeta Terra, in imminente pericolo d’estinzione, per poi rivolgersi a specie meno a rischio; il discorso si può estendere in alcuni casi, anche alle varie razze, sottorazze o varietà domestiche in pericolo d’estinzione.
2-Conservare una specie di fauna selvatica significa conoscerne bene la sua Storia Naturale, come la Storia Naturale del biotopo e ecosistema d’appartenenza, cioè significa conoscere la flora e le altre specie che compongo la fauna di quei luoghi, come anche la struttura del biotopo o ecosistema come la sua geografia.
Ciò significa dover studiare e quindi poi conoscere l’ecologia generale, alimentare, l’ecologia della specie (autoecologia) e di comunità (sinecologia), la biogeografia e in alcuni casi (vedi Russini Storia naturale del rapporto tra Uomo e Animali, Agraria.org, Rivista -> N. 120 – 15 marzo 2011), anche l’etnobiologia di una data specie, perché vengano riprodotte pedissequamente all’interno delle apposite aree di ostensione ove l’animale (dal più piccolo invertebrato, fino alle scimmie antropomorfe) verrà ospitato, affinché proprio il suo welfare venga garantito a valori adeguati.
Ma tali conoscenze, sono acquisibili solo su campo, solo studiando dapprima le specie in natura, quindi in parte sono storiche (da studi precedenti), in parte in corso di acquisizione, ed essendo queste, competenze del biologo da campo, il quale copre tutti i settori sopracitati, poiché sono parte della sua formazione, non possono essere improvvisati dal veterinario, indipendentemente che abbia solo esperienza clinica con specie domestiche o d’allevamento o anche di medicina della fauna selvatica, poiché comunque non sono mai state contemplate nel suo corso di studi.
Inoltre, contrariamente a quanto pensano molte persone anche nell’ambito del Ministero della Salute Italiano a cui afferisco i veterinari, non esiste una frattura tra queste conoscenze acquisite su campo e quello che si dovrebbe fare in uno zoo, ma anzi ne devono rappresentare la loro prosecuzione e applicazione più concreta; infine poiché il 100% della letteratura scientifica ecologica, ecoetologica, zoologica-botanica, di biologia di conservazione, di biogeografia e etnobiologia è opera di biologi (zoologi, botanici, ecologi, etologi, etnobiologi ecc.) se ne deduce facilmente che le figure dello zoologo e del veterinario, hanno un peso specifico ben diverso nel contesto di un giardino zoologico.
All’estero da sempre, negli zoo il curatore (cosa che in Italia non accade per le storture sopracitate, che sono anche politicamente volute), è sempre un biologo (sia esso un ornitologo, un entomologo, un ittiologo, un erpetologo o un paleontologo), esempi classici sono lo zoo di Parigi “Jardines des Plantes”, lo zoo che fu di Cuvier, o lo zoo di Londra “London Zoological Garden”, o lo zoo di Vienna (il più antico d’Europa) Tiergarten Schönbrunn , i quali hanno sempre avuto e hanno come curatore un biologo/a, mentre il veterinario si è sempre occupato e si occupa solamente della parte sanitaria e clinica, previa specializzazione nella medicina della fauna selvatica.
In strutture così prestigiose, senza citare quelle americane o australiane che applicano lo stesso principio, si trovano gli zookeeper (quelli che una volta si chiamavano guardiani degli animali), i quali si occupano di pulire le aree di ostensione, di foraggiare gli animali e poiché devono avere almeno un baccalaureato (quella che in Italia è la laurea di tre anni) in biologia/ecologia, possono svolgere lavoro anche di guide e di educazione.
Il veterinario, deve occuparsi dell’aspetto sanitario delle specie, come la somministrazione di medicamenti, o vaccini in periodi specifici e intervenire qualora accadesse, nel curare un animale per cui ne ha le competenze.
Ma ad esempio, tutti gli aspetti di alimentazione, i veterinari devono discuterli o essere supervisionati dal biologo curatore, sempre perché l’ecologia alimentare di un animale, non è qualcosa d’astratto, ma è ciò di cui la specie realmente si nutre in natura.
Infine, le aree di ostensione, come anche tutta la cartellonistica relativa alla tassonomia e che descrive la vita di una specie, non possono “assolutamente” essere competenza del veterinario, poiché richiedono le conoscenze prima descritte oltre che di tassonomia filogenetica e cladistica; si pensi nel caso della preparazione di un’area d’ostensione, a quali specie di piante si dovrebbero mettere per ricostruire una zona umida a canneti, tipica delle aree tropicali, come quelle del subcontinente indiano o di parte della foresta pluviale per ospitare una Tigre (Panthera tigris), oppure su come ricostruire una porzione a mangrovieto o di barriera corallina per ospitare le numerose specie di invertebrati e pesci che vi vivono.
Tutto questo può sembrare un puro esercizio di stile, ma è assolutamente dimostrato da qualche decennio, che ad esempio il tipo di vegetazione presente in una foresta tropicale asiatica come anche temperata, costituite da determinate specie vegetali (quali felci, cicadine, palme, fino alle ginkgoine in Cina, o tutte le epifite, ninfee e lebromeliacee presenti), a determinate densità, creano quell’insieme di condizione ambientali quali luminosità, umidità e temperatura che influenzano sicuramente il ciclo vitale della specie e funzionano anche come forma d’arricchimento ambientale naturale che è molto più stimolante per gli aspetti esplorativi, rispetto quello artificiale indotto mediante l’uso di pneumatici legati e penzolanti da un ramo d’albero autoctono, contro cui l’animale sfoga parte del suo surplus energetico.
Storicamente parlando poi, le prime protocattedre di veterinaria, nacquero a cavallo tra la prima e la seconda metà del XIX secolo, in Francia e Austria.
Ma mentre nei corsi universitari di biologia si studiava già la tassonomia degli invertebrati, dei vertebrati (fino a quel momento noti), si pensi ai corsi del biologo francese J.B. Lamarck, padre della teoria “dell’Eredità dei caratteri acquisiti”, come si studiava anche la botanica, l’entomologia e venivano costruiti i Musei di Storia Naturale e i primi giardini zoologici e le spedizione scientifiche dell’epoca degli “Hic sunt leones” e “Hic sunt dracones” erano formate da cacciatori e biologi (zoologi, botanici, etnologi), come anche da geologi (geografi, cartografi) e archeologi, nelle allora cattedre di veterinaria presenti nei vari archiginnasi, si formavano persone altamente qualificate nella conciatura delle pelli, nell’ambito della macellazione nei mattatoi, nell’ambito della ferratura dei cavalli e nella cura di animali, perlopiù cavalli, asini e cani utilizzati dagli eserciti, allora non meccanizzati.
Spesso infatti, i veterinari o lavoravano nelle varie campagne circostanti occupandosi del relativo bestiame o venivano arruolati negli eserciti, ma non ve n’era traccia, come non ce n’è anche oggi nei Musei di Storia Naturale e incominciavano solo allora a essere presenti in alcuni zoo, occupandosi della salute degli animali.
In sostanza ognuno deve limitarsi a far bene il proprio mestiere, e non pensare presuntuosamente approfittando di poteri politici, di essere un tuttologo.
Un esempio di zoologo e zookeeper in un Giardino Zoologico
Biologi russi del Giardino Zoologico di Mosca, in missione sul Lago Aral -1978
Conclusioni
Tale breve excursus sul ruolo dello zoologo e del veterinario all’interno di uno zoo, non deve essere presa come una lotta di classe, come una lotta tra ordini, tra chi è più potente o quant’altro, ma è solo una denuncia obiettiva, su quella che è una realtà del tutto distorta, tipicamente italiana, sul quello che deve essere il ruolo di un veterinario nel contesto di un giardino zoologico.
E’ chiaro che, il veterinario deve prendersi cura, intervenire terapeuticamente su un animale nel contesto di uno zoo, ma al di fuori di questo, non ha competenze inerenti la zooarchitettura delle aree di ostensione, o sui programmi ad esempio di accoppiamento naturale o allattamento naturale delle varie specie e nella compilazione di specifici registri tassonomici.
Soprattutto per particolari e rare specie animali, si pensi ad esempio nel caso dell’accoppiamento, agli uccelli del paradiso, alle varie specie di loricati (coccodrilli) o di altri rettili, o nel caso delle specie marine (invertebrati, pesci, rettili marini, mammiferi marini, uccelli marini) il veterinario non ha competenze poiché non vengono assolutamente contemplati nel corso di studio e invece necessitano di approfondite conoscenze sui costumi di vita che queste specie hanno in natura, sulla modalità di costruzione dei nidi o arene (lek), a cui sono associate forme di selezione sessuale fondamentali, affinché l’atto procreativo naturale giunga in porto.
In questo senso, se un biologo zoologo può ogni tanto somministrare per iniezione una dose vitaminica, come accade nei parchi naturali africani o per le specie più note, dove il dosaggio è ben stabilito in protocolli, somministrare mediante fucile una dose di sedativo, non si permetterà mai di creare un protocollo terapeutico per la cura di un carcinoma e l’estirpazione di un parassita nematode radicato in un animale, poiché queste sono competenze del veterinario (sempre previa acquisizione di una specializzazione in medicina della fauna selvatica, un veterinario specializzato sui gatti non può curare una anaconda), viceversa però, un veterinario non ha alcuna competenza per gestire un gruppo di coralli, o di squali o orche in un parco acquatico, come nel ricreare un’area per ospitare dei rinoceronti neri o bianchi, o nel decidere se separare o meno in gravidanza un femmina di ippopotamo o di varano di Komodo.
Per cui, all’estero, ove ho esperienza annosa, da sempre quando nasce un nuovo zoo, gli ispettori che vanno a controllare che tutto è in regola sono biologi e veterinari, e tra i requisiti che vengono richiesti perché uno zoo neonato sia considerato abile nelle sue funzioni, quindi può avere tutti i permessi per aprire e lavorare, c’è la richiesta che come curatore o direttore scientifico vi sia un biologo (uno zoologo, un ecologo ecc.) e ci sia una equipe di biologi, oltre qualificati zookeeper e oltre che il veterinario e le adeguate attrezzature (che si occupa naturalmente e spontaneamente solo dell’aspetto sanitario), cosa in Italia mai richiesta, per cui spesso nascono strutture del tutto non qualificate con aree di ostensione del tutto sotto standard e addirittura personale costituito da membri senza qualifica accademica, cioè non biologi che pretendono per passione di voler spiegare la zoologia e l’ecologia di una specie ai visitatori (con tutti i danni del caso), ma che nell’organigramma, hanno però il loro veterinario!
Giuliano Russini è laureato in Scienze Biologiche all’Università La Sapienza di Roma, con specializzazione in botanica e zoologia; successivamente ha conseguito in UK e Francia la specializzazione in etnobiogeografia. Lavora come curatore al Giardino Esotico di Hendaye, Francia. (e-mail: russinigiuliano@yahoo.it).
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