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Il Caffè

Coffea arabica e Coffea canephora (robusta)

di Pietro Simoni

Coffea arabica
Coffea arabica L.

Prendiamo un caffè!: 6,5-7 grammi di caffè macinato, pressione dell’acqua a 8-9 atmosfere, temperatura dell’acqua 88-92 gradi, 25-30 secondi di contatto tra acqua e caffè macinato, 25-30 cc. di estratto in tazzina di porcellana bianca calda, 3-4 mm di crema sul caffè. Il caffè espresso è servito. Si beve subito, caldo, in uno o due sorsi e senza zucchero. Queste sarebbero le “regole” per l’espresso all’italiana. Poi, ciascuno farà il caffè come meglio crede.

In Italia il consumo totale di caffè è di circa 5,4 Kg pro capite e si calcola che ogni giorno si consumino circa 10 milioni di espressi al bar. Vi sono paesi dove si consuma molto più caffè che in Italia: il Lussemburgo con 16,7 kg. (!), la Finlandia con 12 Kg, la Danimarca e la Svezia con 8 kg e l’ Olanda con 10 Kg pro capite. La produzione totale di caffè nel 2010 è stata di circa 7 milioni di T: l’America Latina ne ha prodotti 4.2 milioni, con 2 milioni di T. prodotte dal Brasile (quasi un terzo della produzione mondiale), seguito dalla Colombia con circa 700 mila T., dal Guatemala con 300 mila T. e dal Mexico con 280 mila T. In Asia si sono prodotti 1,7 milioni di T. principalmente in Indonesia con 550 mila T. e in Vietnam con 460 mila T. In Africa la produzione, sempre nel 2010, è stata di 1,1 milioni di T., con 200 mila T. prodotte dall’Uganda, e 150 mila T. della Costa d’Avorio. Spesso i dati sul commercio mondiale vengono indicati in “sacchi” del peso di circa 60 Kg: il commercio mondiale totale corrisponde a circa 110 milioni di sacchi. In Europa, la Germania è il principale importatore, con 8,6 milioni di sacchi seguita dall’Italia con 5,8 milioni di sacchi.

Origini e diffusione

La pianta del caffè è originaria dell’Etiopia e da questa regione si è diffusa in Arabia e Yemen. Il termine “caffè” deriverebbe dall’arabo “qahwa” (che vuol dire “lo stimolante”), diventato poi “qahve” e finalmente “caffè”, oppure deriverebbe dalla regione etiope di “Kaffa”. I primi riferimenti certi risalgono all’anno mille con una descrizione del caffè da parte del medico arabo Avicenna (Ibn Sina, 980-1037) che lo utilizzava come medicina. Il caffè ha avuto una prima diffusione grazie agli Arabi che tra il 1300 e il 1400 lo diffusero in tutto il mondo islamico, come sostituto di bevande alcoliche vietate dal Corano e come bevanda energizzante e stimolante.

Tra leggenda e storia. Un racconto popolare turco narra che Allah abbia bevuto caffè nel giorno della creazione del mondo, tè il giorno successivo, per riposare, e vino il giorno del peccato originale. Per questa ragione il vino fu proibito agli uomini, ma fu dato loro il caffè “che porta il senno”. La leggenda racconta di un pastore, in Yemen, che osservò la strana eccitazione di alcune capre che avevano mangiato delle bacche rosse. Consultati i sacerdoti questi affermarono che si trattava di cibo del diavolo e quindi bruciarono i rami con le bacche che liberarono un intenso aroma: fu la scoperta del caffè tostato. Si racconta che il caffè sarebbe giunto in Europa quando i turchi, sconfitti nella battaglia di Vienna nel 1683, abbandonarono alcuni sacchi di caffè sul campo di battaglia. I sacchi di caffè vennero consegnati al re di Polonia Giovanni III, che li donò a un suo generale, Kulczycki che, pare, aprì la prima caffetteria a Vienna.

In realtà il caffè fece la sua comparsa in Europa, a Venezia, nel 1615, grazie al botanico Prospero Alpini e si diffuse lentamente in Europa particolarmente dopo il 1650. Verso la fine del 1600 l’aumento della domanda e lo sviluppo dei sistemi coloniali portarono la coltivazione nelle zone tropicali dell’Asia e successivamente verso le isole dei Caraibi (Martinica e Antille). Nel 1727 nacquero le prime piantagioni a Parà, nel nord del Brasile e nel 1730 la Spagna introdusse il caffè in Colombia e nel resto dell’America Latina e Centro America.

Le Caffetterie (i Caffè)

Nel 1457, ad Istambul, venne aperto un locale nel quale gli uomini consumavano caffè o tè, ascoltavano musica, giocavano a scacchi e conversavano. Queste caratteristiche furono le stesse dei primi locali aperti in Europa attorno al 1650. Alcune caffetterie italiane sono celebri: il Caffè Florian aperto nel 1720 a Venezia, il Caffè Greco a Roma nel 1760, il San Carlo a Torino nel 1822, il Pedrocchi a Padova nel 1831, e i più recenti ma altrettanto famosi caffè come Le Giubbe Rosse di Firenze e l’Aragno di Roma, seguito dai due Rosati, sempre a Roma. Molte caffetterie hanno avuto particolari evoluzioni: i caffè letterari frequentati da artisti, scrittori e intellettuali, sorti in Francia, Austria, Germania e Italia e i “café-chantant”, ambienti nei quali si presentavano spettacoli teatrali, sviluppatisi a Parigi dopo il 1850 e presto diffusi in tutta Europa. Attualmente, accanto alle caffetterie tradizionali si stanno affermando catene tipo “Starbucks”, con una presenza capillare in tutto il mondo, con una offerta standard di caffè, e una particolare attenzione ai consumatori giovani.

Napoli e il caffè. Il caffè si affermò a Napoli quando Maria Carolina D’Asburgo-Lorena, sposò Ferdinando di Borbone, nel 1768, e portò con sè l’abitudine del consumo del caffè dalla corte viennese. Un passo fondamentale per il fu l’invenzione nel 1800 della “caffettiera napoletana” diventata tanto popolare da essere soggetto di un celebre monologo di Eduardo de Filippo che teorizza l’importanza del piccolo cappuccio di carta da mettere sul beccuccio in modo da diminuire la perdita di aromi. Il caffè a Napoli è cultura e tradizione: “Ah, che bell’ò cafè,…….. che crema d’Arabia ch’è chisto cafè”, recita una canzone De André.

Coltivazione

Cenni botanici e agronomici

Appartiene alla Famiglia delle Rubiacee, Genere Coffea, che comprende circa 50 specie di cui solo 4 hanno interesse pratico: Coffea Arabica L. e Coffea Canephora L. (comunemente chiamato Robusta, scoperto nel 1895 in Congo, ora Zaire), Coffea Liberica Hiem e Coffea Excelsa Cheval. E’ un arbusto sempreverde con foglie lanceolate, ovali verde scuro intenso, carnose e lucide. I fiori sono bianchi di profumo intenso. Il frutto è una drupa, rossa a maturazione, di circa 1,5 cm. La riproduzione è per seme, in vivaio, e successiva messa a dimora con 3000/5000 piante a ha. Il caffè produce dal quarto fino circa al trentesimo anno. I rendimenti oscillano tra i 400 e i 1200 Kg/ha.
La pianta del caffè predilige terreni collinosi, dai 700 ai 1400 metri, compresi fra il 20° parallelo Nord e il 20° parallelo Sud, con temperature miti tra i 15 °C e i 25 °C e con piogge costanti. Le operazioni colturali sono la potatura, la pulizia del terreno, la concimazione, i trattamenti fitosanitari per il controllo delle malattie come la broca, Hypothenemus hampei, un coleottero che attacca il frutto e la roya, Hemileia vastatrix, un fungo che attacca le foglie.
La specie Arabica rappresenta i 3/4 della produzione mondiale ed è più delicato del Robusta. Il caffè che si ottiene è aromatico, poco amaro e contiene caffeina tra 0,8% e 1,5%. E’ coltivata prevalentemente in America Latina, Centro America, Caraibi e Messico. La specie Robusta è più resistente dell’Arabica e il caffè che si ricava ha sapore amaro, corposo e contiene dall’ 1,7 al 3,5% di caffeina. E’ coltivato principalmente in Asia e in Africa. Le varietà più conosciute di Arabica, sono “Moka” dello Yemen, “Bourbon Santos” dal nome del porto brasiliano e “Maragogype”, famoso per i suoi chicchi giganti, oltre a “Catuai”, “Caturra”, ecc. Il caffè più apprezzato al mondo è il “Jamaica Blue Mountain”, con una produzione limitatissima, ottimo anche il “Volcán de oro” del Guatemala, il “Tarrazu” del Costa Rica, e il “Caracolillo” del Nicaragua. Tra i Robusta, si segnala il Conillón (in Brasile), Java, Kouilou, e Niaolili, coltivati in Asia e Africa.

Raccolta e post-raccolta

La raccolta e le fasi di post-raccolta hanno una rilevante importanza per la qualità del caffè. La raccolta è complicata per la presenza simultanea sulla pianta di frutti maturi e di frutti a diversi stadi di maturazione. Le tecniche di raccolta si dividono in: a) “picking”, con raccolta manuale uno ad uno dei soli frutti giunti a maturazione. E’ un metodo costoso e faticoso, che necessita di molta mano d’opera, ma assicura qualità; b) “stripping”, che utilizza un attrezzo a “pettine” che stacca tutti i frutti dai rami. Altri sistemi prevedono l’ utilizzazione di macchine che scuotono i rami. I frutti raccolti devono essere trattati entro le quattro-sei ore dalla raccolta per evitare fermentazioni.

Trattamento umido. Il processo ha bisogno di molta acqua pulita. Le drupe raccolte passano nelle macchine che separano la polpa carnosa dal seme. Successivamente si procede a una fermentazione dei semi per circa 24-36 ore per poter rimuovere, con acqua corrente, la mucillagine che rimane attaccata al seme. Il caffè così “lavato” viene messo a essiccare al sole per vari giorni, su piattaforme in cemento fino a raggiungere il 12% di umidità. Il caffè secco ha ancora il tegumento esterno detto “pergamino” che viene eliminato meccanicamente. Il caffè così ottenuto è caffè verde “lavato” pronto per la commercializzazione. La utilizzazione di questo metodo implica un attento controllo degli effluenti per evitare contaminazioni.

Trattamento secco. Non si utilizza acqua e, dopo la separazione della polpa, si mettono i chicchi a seccare in modo che la mucillagine, una volta secca, si possa separare. Questo procedimento è molto più economico ma la qualità del caffè (caffè non lavato) è decisamente più bassa del caffè trattato con il metodo umido.

Caffè in Brasile e immigrazione italiana. Il caffè è arrivato in Brasile, portato dai francesi, nel 1727 a Belém nel Parà (nord est) e dopo il 1820 iniziò a espandersi tra Rio de Janeiro e Sao Paulo (Paraiba). La mano d’opera necessaria proveniva dagli schiavi. Dopo l’abolizione della schiavitù nel 1888 e la proclamazione della repubblica, i “fazendeiros” cercarono di sopperire alla mancanza di mano d’opera con immigrati stranieri e molti arrivarono dall’ Italia: tra il 1887 e il 1902 entrarono in Brasile quasi 900 mila italiani. Le condizioni di lavoro nelle piantagioni di caffè non erano molto diverse dal lavoro schiavista: i lavoratori percepivano un salario giornaliero, ma stagionale, e per le sole giornate lavorate. Erano teoricamente liberi, ma in pratica rimanevano legati al “fazendero” al quale dovevano pagare l’alloggio e l’alimentazione (che venivano scontati direttamente dal salario). Alla fine dell’anno spesso non solo non avevano accumulato risparmi, ma erano “debitori” del fazendero. In ogni caso lo sviluppo del caffè in Brasile è stato possibile solo con lo sforzo e il sacrificio principalmente degli immigrati italiani.

La tostatura

La tostatura è il processo che conferisce le caratteristiche peculiari al caffè. In Italia ci sono più di 600 imprese di torrefazione e anche torrefazioni artigianali. I metodi di tostatura sono a tamburo rotante o in letto fluido. Nel primo caso la tostatura avviene per conduzione-convezione del calore mentre nel secondo caso avviene per contatto con aria molto calda, in contro corrente. Con temperature del chicco sotto i 220 °C la tostatura è “light”, con 220-225 °C si ha una tostatura “media”, mentre attorno ai 230 °C la tostatura si definisce “dark”. La durata della tostatura è in media di 15 minuti circa.

La solubilizzazione (caffè solubile)

Il consumo di caffè solubile (o istantaneo) è in costante aumento nel mercato mondiale. Si ottiene a partire da caffè tostato che viene macinato, si procede quindi all’ estrazione delle frazioni solubili utilizzando acqua ad alta temperatura e pressione. Si ottiene un estratto che passa a una serie di evaporatori. Il prodotto ottenuto viene granulato e confezionato pronto all’uso.

La decaffeinizzazione

In base alle normative vigenti il caffè si considera decaffeinato se contiene meno di 0,1% di caffeina. Il processo è stato brevettato nel 1906 da Ludwig Roselius (Caffè Hag) ed esistono almeno quattro metodi per la decaffeinizzazione a partire dal caffè verde: il primo prevede l’ utilizzazione di acetato di etile, ed è il più usato, il secondo utilizza acqua e carbone attivo, un terzo cloruro di metilene mentre il quarto impiega anidride carbonica in condizioni critiche (allo stato liquido a 250 bar). Il caffè decaffeinato viene poi tostato. La caffeina estratta si usa in medicina o in bevande come Coca Cola, Red Bull, ecc.

Modi di preparazione del caffè

I principali metodi di preparazione della bevanda sono:

Decozione (per bollitura) alla turca

E’ il metodo “storico” e attualmente usato in Medio Oriente. Un pentolino alto e stretto di rame si mette direttamente sul fuoco con due parti di caffè macinato molto finemente, zucchero (a piacere) e dodici parti di acqua. Si porta a ebollizione, si lascia raffreddare, si mescola e si ripete l’operazione per due o tre volte, infine si attende la sedimentazione della polvere, si scalda e si consuma. Talvolta vengono aggiunti aromi come il cardamomo (Elettaria cardamomum).

Infusione

È un metodo molto diffuso e prevede di portare ad ebollizione l’acqua che poi si versa sul caffè macinato contenuto in un filtro, solitamente in carta, in ragione di circa 50 gr. di caffè per litro di acqua. L’infuso percola lentamente ed è raccolto in un contenitore. Da non confondere con il caffè “americano” che è invece ottenuto con la macchina per caffè espresso, ma utilizzando molta più acqua.

Alla napoletana

La napoletana (la cuccumella) sembra sia stata inventata nel 1819 e si diffuse in tutta Italia ed è stata utilizzata almeno fino agli anni ‘50-60, quando è stata “scalzata” dalla moka, inventata de Bialetti. La napoletana è di alluminio ed è formata da un serbatoio dell’acqua, dotato di una maniglia e di un piccolissimo forellino in alto, di un contenitore del caffè macinato, di un filtro che trattiene il caffè e di un serbatoio che raccoglie il liquido estratto. Le parti si incastrano tra di loro e si avvitano. Si pone la caffettiera sul fuoco, dal lato del serbatoio con l’acqua. Quando l’acqua entra in ebollizione, si spegne il fuoco e si capovolge la macchinetta in modo che l’acqua bollente si trovi nel serbatoio superiore da dove percola, passando attraverso il caffè, nel serbatoio inferiore. Il tempo “canonico” di “discesa” dell’acqua varia dai cinque ai dieci minuti.

La moka

La caffettiera moka (nome di un tipo di caffè e di una città dello Yemen) è un apparecchio in alluminio o acciaio, dalla forma caratteristica, inventata negli anni ‘30 da Alfonso Bialetti. E’ formata da una caldaia inferiore dotata di valvola di sicurezza, un contenitore per il caffè che si incastra nelle caldaia, un filtro con guarnizione e un serbatoio/bricco superiore che si avvita sulla caldaia inferiore. L’acqua viene messa nella caldaia inferiore. Si mette sul fuoco e l’acqua, per l’ aumento della pressione sale verso l’alto passando attraverso il caffè e quindi l’estratto passa nel contenitore superiore.

L’espresso

“Espresso”, ossia fatto “all’istante” e “espressamente” per il cliente. La macchina per l’espresso fu brevettata nel 1884 e presentata nello stesso anno all’Esposizione Generale di Torino da Angelo Moriondo, e successivamente perfezionata. La ditta Pavoni iniziò la produzione in serie nel 1905 mentre nel 1947 Achille Gaggia introdusse altre modifiche importanti.
Come abbiamo accennato all’inizio dell’articolo, per la preparazione dell’espresso si dovrebbero utilizzare circa 7 gr. di caffè per dose, acqua a 90 °C e alla pressione di 9 atmosfere e un tempo di infusione di circa 30 secondi. Poi dipende dalla mano del barista e dai gusti del cliente. La crema dovrebbe avere uno spessore di circa 3-4 mm, colore omogeneo, nocciola o rossiccio per gli arabica, marrone e grigio per i robusta, e la sua funzione è quella di trattenere le sostanze volatili. L’aroma deve essere quello particolare del caffè, di liquirizia, di frutta appassita e di tostatura. Il corpo è rappresentato dalla sensazione di densità e viscosità. Il gusto deve essere equilibrato armonico senza tracce di “bruciato”, di un amaro gradevole. L’importanza del caffè espresso in Italia è certificata dal fatto che esiste un Istituto Nazionale per l’Espresso italiano e altre associazioni di settore e una Università del caffè a Trieste.

Altre forme di preparazione

Un sistema che ha avuto una certa diffusione è la caffettiera a stantuffo, nella quale lo stantuffo dotato di filtro serve a separare la polvere di caffè dal liquido. La comparsa recente delle macchine mini-espresso per uso casalingo o da ufficio, che utilizzano caffè macinato sfuso o in cialde, permette di gustare in casa e in ufficio un caffè “quasi” come al bar. I distributori automatici di caffè utilizzano un sistema simile a quello delle macchine per l’espresso.

Caffeina e altri principi attivi del caffè

Il principale composto che caratterizza il caffè è la caffeina. E’ un alcaloide che, oltre che nel caffè, è presente nel cacao, nel tè, nella cola, nel guaranà e nella yerba mate. Le foglie di tè hanno un contenuto di caffeina all’incirca doppio (2-4%) rispetto ai semi di caffè (1-2%) ma, dato il diverso metodo di preparazione, una tazza di caffè contiene circa quattro volte più caffeina rispetto a una tazzina di tè. Gli effetti stimolanti della caffeina cominciano a manifestarsi dopo circa 15 minuti dalla assunzione di caffè: la caffeina favorisce il rilascio di adrenalina e noradrenalina che stimolano il sistema nervoso simpatico con conseguente aumento del battito cardiaco, dell’afflusso di sangue ai muscoli, con miglioramento dei riflessi e della capacità di concentrazione. La caffeina provoca un aumento della secrezione gastrica e un utilizzo prolungato può portare all’insorgenza di ulcera, esofagite e riflusso gastro-esofageo e un abuso può portare anche ad insonnia, nervosismo, ansia, irritabilità e battito cardiaco irregolare.

Economia del caffè e commercio internazionale

Per oltre 25 milioni di coltivatori e le loro famiglie il caffè costituisce la principale o l’esclusiva fonte di reddito. Per paesi dell’Africa come Uganda, Ruanda, Etiopia, il caffè rappresenta il principale prodotto di esportazione e in Centro America, in media, apporta il 5% del PIL e circa il 30% del valore delle esportazioni e occupa almeno 700 mila famiglie.
I prezzi e il mercato del caffè verde sono particolarmente instabili e, dalla cancellazione dell’ International Coffee Agreement, nel 1989, non ci sono accordi internazionali sui prezzi. Il caffè è una commodity che si presta a speculazioni, soprattutto con lo strumento dei futures. Attualmente i prezzi medi ponderati del caffè verde, CIF, sono compresi tra i 170 e i 190 centesimi di U$D la libra (circa 3 € al Kg.), mentre i prezzi al produttore sono circa 70 centesimi U$D la libra, (1,3 € al kg), e rappresentano il 5% del prezzo al consumatore (considerando un prezzo al consumo di circa 25 € al kg. per caffè tostato di qualità medio/buona). I prezzi si formano al Board of Trade di New York per la Arabica e al LIFFE di Londra per la Robusta; il caffè viene trattato anche nelle borse di Parigi, Brema e Le Havre. Gli acquirenti principali sono quattro imprese: Nestlé, Kraft, Procter & Gamble e Sara Lee. La torrefazione è concentrata in poche grandi multinazionali con Nestlè e Philip Morris/Kraft che controllano il 60% del mercato.

Commercio equo e solidale e caffè biologico

Una delle risposte, parziali, alla volatilità dei prezzi è data dallo sviluppo dei canali del commercio equo e solidale che puntano ad assicurare un prezzo adeguato e stabile nel tempo e a riconoscere un sovraprezzo per i caffè certificati biologico e per le buone pratiche agricole e sociali. Ma il Fair trade del caffè rappresenta solo il 3% del commercio mondiale e attualmente affronta difficoltà legate al prezzo, che per i caffè biologici è di circa il 40% maggiore a quello del caffè tradizionale, e dal consumo circoscritto ai consumi familiari.

Pietro Simoni, laureato in Scienze Alimentari, si occupa da più di 30 anni di Sviluppo Rurale in America Latina e di temi relativi all’alimentazione e alla povertà rurale. Ha collaborato con la Cooperazione Italiana, con la FAO, la UE e la Banca Mondiale. Attualmente collabora stabilmente come free-lance con l’IFAD.