Diario di viaggio del tartufaio: alla ricerca del tartufo nero estivo
di Flavio Rabitti
Solitamente, una “battuta di caccia al tartufo” inizia sempre con una levataccia; alle 05.00 del mattino si deve già essere pronti per salire in macchina (e per i tartufi più pregiati viene fatto anche di peggio), specialmente se il periodo nel quale si opera è un mese caldo. Questo è proprio il caso del tartufo nero estivo, volgarmente chiamato scorzone (Tuber aestivum Vittadini), che nell’Italia centrale matura proprio da giugno a tutto novembre.
Il mio fedele amico a quattro zampe, appena capisce che la giornata sarà dedicata alla “caccia al tartufo”, inizia ad aumentare i battiti cardiaci, la coda batte un ritmo continuo su qualsiasi cosa le si ponga vicino e la lingua si srotola arrivando a toccare le zampe anteriori. La ricerca deve essere un piacere per il cane, associata al gioco finché questo è cucciolo diventando poi con il tempo il “lavoro del branco”; il cane non deve essere mai addestrato per fame, non ci deve essere nessuna coercizione ed è indispensabile un feeling particolare fra le due parti. Solo così si arriva ad un rapporto simbiotico fra cane e tartufaio, lo stesso che lega il tartufo con le piante superiori e l’unico che può garantire un’assoluta armonia fra i due soggetti che, con il tempo, devono arrivare ad essere un’unica entità mossa dalla stessa identica passione.
L’addestramento del cane deve partire da un rispetto profondo dell’animale ed una conoscenza approfondita della sua etologia. (Foto di Flavio Rabitti)
Per iniziare la caccia al pregiato fungo è necessario possedere il tesserino di abilitazione alla ricerca e raccolta tartufi (rilasciato dopo il superamento di un apposito esame ed il pagamento di una tassa annuale), il vanghetto o vanghella (di determinate dimensioni, così come specificato nella legge regionale di riferimento), il “premio” per il cane (solitamente piccoli bocconcini, crocchette, biscotti per cani o wurstel di pollo/tacchino) e l’acqua (per abbeverare il cane ed il padrone). Almeno d’estate, come premio, sconsiglio di utilizzare biscotti per cani, crocchette o qualsiasi altro alimento secco; è meglio utilizzare un premio che abbia una qualche percentuale di umidità, così da non aumentare la disidratazione alla quale sarà soggetto il cane durante l’uscita.
Arrivati a destinazione ed essendo sicuri che nessuno ci abbia seguiti (a volte succede anche questo), possiamo iniziare la “caccia”; indossato il gilet (possibilmente con molte tasche) con tutto il necessario al suo interno (vedere paragrafo precedente), possiamo incamminarci verso la tartufaia. A volte il cammino per arrivare a destinazione può essere anche molto lungo, soprattutto se la macchina viene lasciata in bella vista su una strada frequentata; in tal caso si preferisce farsi un bel pezzo a piedi (anche diverse ore) invece che segnalare a tutti coloro che passano la presenza della pastura (altro termine per descrivere il luogo dove vengono rivenuti i tartufi).
Se il luogo non è conosciuto e siamo alla ricerca di nuove tartufaie è consigliabile utilizzare un GPS, che adesso è possibile reperire anche a buon mercato, con il quale segnalare il punto di partenza e magari le nuove tartufaie scoperte; in questo modo riusciremo tranquillamente a tornare alla macchina anche dopo ore ed ore di cammino o a ritrovare le tartufaie anche dopo anni, magari dopo che i punti che usavamo come riferimento sono stati per qualche motivo variati (per esempio dopo un taglio del bosco).
Arrivati sulla pastura ci apprestiamo ad iniziare la cerca; ci prepariamo ad impartire l’ordine al cane che, impaziente, inizia subito meticolosamente a battere la superficie. E’ importante conoscere a fondo il proprio cane, così da interpretare correttamente ogni suo movimento; con l’esperienza, difatti, riusciremo a capire quando il cane inizia a percepire il cono d’odore del pregiato fungo o quando invece il suo naso è riuscito ad intercettare una specie di scarso interesse alimentare. Durante la ricerca del tartufo è frequente, infatti, rinvenire altre specie non commestibili, come il Tuber excavatum Vittadini (che popola abbondantemente le zone interessate dal tartufo nero estivo); nonostante certe specie di queste possano essere utilizzate per preparare piatti al tartufo (solitamente previa cottura, anche se qualche problema gastro-intestinale possono comunque provocarlo), è vietata la loro commercializzazione ed il loro uso in cucina dovrebbe essere, in qualunque caso, molto limitato. Interessante è invece il loro uso per l’addestramento; difatti, dato che il loro ritrovamento è di consueto molto frequente, costituiscono un’ottima palestra per il cane che non deve essere punito al momento del ritrovamento (così come viene fatto da molti cavatori), ma anzi premiato (in fondo lui il suo dovere l’ha comunque fatto). Il cane, in questo modo, si abituerà a rinvenire qualsiasi specie di tartufo, dando a volte belle soddisfazioni anche al padrone (così facendo sono riuscito a trovare un tartufo rarissimo, il secondo esemplare in Italia, che mi hanno richiesto a scopo di ricerca).
Appena il cane percepisce nell’aria il cono d’odore del tartufo lo sguardo dell’animale si fa più attento, i movimenti più bruschi e fulminei, la coda inizia a muoversi più velocemente ed anche il passo aumenta. Arrivati sul punto preciso del terreno in cui si trova il tartufo il cane inizia a scavare; il mio battito aumenta, così come quello del cane, le zampe anteriori iniziano a muoversi sempre più velocemente nella terra fino ad arrivare ad un passo dal pregiato fungo. Impartisco l’ordine “fermo” e successivamente il “seduto”; il comando vocale deve essere sempre associato ad un ordine gestuale, così che il cane percepisca ambedue le componenti. Il fedele compagno si mette quindi seduto, muovendo a piccoli scatti le zampe anteriori dall’impazienza di vedere il frutto del suo lavoro. A questo punto si smuove dolcemente il terreno con l’ausilio del vanghetto, stando molto attenti a non scavare buche più grosse del dovuto, così da non arrecare alcun danno alla tartufaia. Il tartufo inizia a farsi vedere e, a questo punto, si rimuove con le mani la terra che lo avvolge; è proprio lui, un esemplare di Tuber aestivum Vitt. di media pezzatura, di buona maturazione e dall’ottimo profumo. A questo punto si deve premiare il cane che, come sempre, ha svolto un ottimo lavoro; lo si riempie di carezze e, dopo avergli fatto annusare il profumato carpoforo, lo si premia con una fettina di wurstel (io, onestamente, preferirei una fettina di tartufo, ma lei è più contenta così).
A sinistra un esemplare di Tuber aestivum Vittadini (tartufo nero estivo); a destra il Tuber exacavatum Vittadini (specie non commestibile), molto frequente nelle zone dove si rinviene il Tuber aestivum. (Foto di Flavio Rabitti)
Il cane, appena ricevuto il premio e soddisfatto del risultato, inizia nuovamente a battere la superficie del terreno alla ricerca di nuove profumate pietre preziose; il nostro dovere (che spesso purtroppo non viene fatto) è quello di ricoprire accuratamente il luogo di scavo, onde evitare la disidratazione del micelio fungino. Il vento è favorevole, le precipitazioni sono state tali da garantire un’adeguata irrigazione delle tartufaie ed il fedele compagno di ricerca è in ottima forma; tutto questo contribuisce a passare un’ottima giornata nel bosco ed a rinvenire un ottimo bottino, in compagnia del nostro amico a quattro zampe che riesce sempre a regalarci bellissime soddisfazioni. Passate diverse ore di cammino si arriva alla sera; il sole inizia a farsi sempre meno presente, la calura si fa meno asfissiante e la stanchezza inizia a farsi sentire (da ambedue le parti). Cane e padrone sono soddisfatti del lavoro svolto e tornano, con un passo meno sostenuto, al punto di partenza nel luogo dov’era cominciato il faticoso ma affascinante viaggio nel mondo del tartufo.
Un bel cestino di tartufi neri estivi (Tuber aestivum Vittadini) fa bella mostra di sé, risultato di un affiatamento perfetto fra cane e tartufaio. (Foto di Flavio Rabitti)
Arrivati a casa il cane deve essere premiato adeguatamente, solitamente con una bella cena appetitosa, diversa da quella che riceve quotidianamente. Anche il padrone però si merita un adeguato premio, un’abbondante cena, dove non può mancare almeno un piatto a base del preziosissimo e pregiato tartufo rinvenuto dopo una lunga giornata passata per i boschi toscani.
Flavio Rabitti, diplomato presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale di Firenze, è laureato in “Tutela e Gestione delle Risorse Faunistiche” alla Facoltà di Agraria di Firenze; appassionato di tartufi, accontenta i suoi clienti rinvenendo i preziosi funghi nei terreni boschivi dell’Azienda Agricola Rabitti, ubicati in svariate parti della Toscana.
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